Questa piccola azienda svizzera vuole salvare il mondo

Rimuovendo l'anidride carbonica dall'atmosfera e imprigionandola nel sottosuolo a prezzi molto bassi: ma sarà dura, spiega il NYT Magazine

(Climeworks)
(Climeworks)

Hinwil è una città di circa 11mila abitanti che si trova a circa 30 minuti di automobile da Zurigo, in Svizzera. È conosciuta da alcuni per essere il posto dove ha sede la Sauber, una storica scuderia di Formula 1, e da altri (per ora pochi) come il luogo più promettente per sperimentare nuovi sistemi per sottrarre anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera e ridurre in questo modo gli effetti del riscaldamento globale. L’azienda che si sta occupando del progetto è ancora piccola, ma come racconta un lungo articolo del New York Times Magazine ha grandissime ambizioni per sé stessa e per il mondo intero.

La CO2 è tra i principali responsabili dell’effetto serra: insieme ad altri gas, impedisce alla Terra di disperdere il proprio calore accumulato dai raggi solari, comportando un aumento della temperatura globale che causa il cambiamento climatico (scioglimento fuori controllo dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, eventi atmosferici sempre più estremi e molto altro). L’immissione di CO2 nell’atmosfera è aumentata enormemente nell’ultimo secolo a causa delle attività umane, il cui ruolo nel riscaldamento globale è ormai scientificamente dimostrato. Più CO2 continuiamo a produrre, più diventa difficile tenere sotto controllo il cambiamento del clima, da qui la necessità e l’impegno dei paesi del mondo per ridurre le emissioni e studiare nuove soluzioni per ridurre la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera.

Partendo da questi presupposti, e dalle previsioni molto pessimistiche degli scienziati, Cristoph Gebald e Jan Wurzbacher, due imprenditori tedeschi, hanno fondato l’azienda Climeworks per rimuovere la CO2 dall’atmosfera. Il loro impianto di prova a Hinwil esiste dal 2017 e si trova sul tetto di un termovalorizzatore, che brucia rifiuti per produrre energia elettrica. È formato da una dozzina di grandi sistemi di “cattura diretta dell’aria”, che esteticamente assomigliano a grandi lavatrici. Al loro interno hanno ventole che aspirano l’aria dall’esterno e la convogliano verso una particolare sostanza assorbente, costituita da microscopici granuli ai quali la CO2 si lega per reazione chimica separandosi dal resto dell’aria.

Periodicamente la sostanza assorbente viene riscaldata dal sistema, in modo che rilasci l’anidride carbonica, che viene poi immagazzinata sotto pressione in contenitori in pressione. Parte della CO2 ottenuta con questo sistema viene venduta a una fabbrica che per conto di Coca-Cola si occupa di produrre bibite gasate. Il gas viene aggiunto alle bevande rendendole frizzanti, come avviene in qualsiasi altro stabilimento per la produzione di acqua e bibite gasate. Altra CO2 viene invece convogliata verso una serra dove sono coltivati ortaggi, sfruttando la capacità delle piante di utilizzare l’anidride carbonica per produrre l’energia di cui hanno bisogno.

Gebald e Wurzbacher si conoscono dal 2003, quando frequentavano il Politecnico di Zurigo. Chiacchierando del più e del meno si dissero che avrebbero potuto fare insieme gli imprenditori, anche se all’epoca non avevano idea di cosa avrebbe prodotto la loro azienda. Si specializzarono nel settore della riduzione delle emissioni inquinanti e infine lavorarono a un primo progetto per valutare le opportunità economiche della sottrazione di CO2 dall’atmosfera. Poi trovarono alcuni investitori interessati al loro progetto e nel 2009 fondarono Climeworks.

Anche se ci sono diverse altre aziende in giro per il mondo che stanno sperimentando sistemi analoghi, Climeworks è la prima che sta cercando di sviluppare un modello per vendere la CO2 a tonnellate. L’impresa non è per nulla facile, sia per le sfide tecnologiche che pone, sia per quelle economiche. Attualmente infatti Climeworks è in perdita: ha dovuto spendere tra i 3 e i 4 milioni di dollari per sviluppare e installare i macchinari nel sito di Hinwil, i quali a loro volta richiedono notevoli quantità di energia elettrica per poter funzionare. Tenuto conto dell’investimento iniziale, attualmente la rimozione di una tonnellata di CO2 dall’aria costa a Climeworks tra i 500 e i 600 dollari. Il denaro per ora non è un problema, grazie alla raccolta di nuovi fondi per circa 50 milioni di dollari, ma in molti si chiedono comunque se l’iniziativa possa diventare redditizia ed entro quanto tempo.

(Climeworks)

I cofondatori di Climeworks dicono comunque di avere le idee chiare su come espandere le loro attività. In una prima fase confidano di vendere la loro CO2 ad altre aziende di bibite e a coltivatori che utilizzano le serre, interessate a farsi un po’ di pubblicità dicendo di vendere prodotti più sostenibili per l’ambiente. Come ricorda il NYT Magazine, si parla comunque di un mercato molto ristretto, che necessita di circa 6 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una frazione minuscola se confrontata con i 37 miliardi di tonnellate di anidride carbonica emessi nell’atmosfera ogni anno.

Climeworks sta però scommettendo sui progressi tecnologici dei prossimi anni per rendere più rapida ed economica la rimozione della CO2, potendola poi offrire a prezzi più bassi. Uno dei settori di maggiore interesse riguarda la produzione di combustibili che si possono ottenere combinando la CO2 con l’idrogeno, da utilizzare al posto dei combustibili fossili. Questa idea, che viene esplorata ormai da anni, potrebbe consentire di ridurre significativamente la produzione di nuova CO2, permettendo una sorta di riciclo delle emissioni.

Gebald e Wurzbacher pensano comunque ancora più in grande e alla possibilità di non trasformare l’anidride carbonica in nuovi prodotti, ma di sottrarla dall’atmosfera e pomparla nelle profondità della Terra, dove si legherebbe poi agli strati rocciosi. Un progetto pilota di Climeworks è in corso vicino a Reykjavik, in Islanda, e sta dando risultati incoraggianti anche se con qualche complicazione tecnica. Il problema di fondo è però un altro: a oggi nessun governo o istituzione ha dimostrato di avere particolare interesse ad acquistare CO2 sottratta dall’atmosfera.

(Climeworks)

Nonostante susciti ancora molto scetticismo – tra scienziati, tecnici ed economisti – la sottrazione dell’anidride carbonica viene proposta ormai da tempo come uno dei sistemi che potrebbero aiutarci a far perlomeno rallentare il riscaldamento globale. Ammesso che funzioni, quella proposta dalle aziende come Climeworks non sarebbe “la” soluzione, ma solo un pezzo della risoluzione del problema. Secondo le stime più ottimistiche, per evitare un catastrofico aumento della temperatura di circa 3 °C entro la fine del secolo, dovremo ridurre enormemente le emissioni di CO2 nei prossimi decenni. Dagli attuali 37 miliardi di tonnellate all’anno, dovremmo scendere a non più di 20 miliardi di tonnellate annue entro il 2030, per poi raggiungere zero emissioni entro il 2050. Considerato come stanno andando le cose ora, e come sono andate negli ultimi decenni, sembra impossibile poter raggiungere un obiettivo simile.

La quantità di CO2 rimossa attualmente da Climeworks è marginale rispetto alle dimensioni del problema, ma non per questo è meno importante, almeno secondo i suo fondatori. L’IPCC, la divisione delle Nazioni Unite che si occupa degli studi scientifici sul riscaldamento globale, ha scritto nel suo rapporto più recente che per ridurre l’aumento della temperatura media globale dovrebbero essere prese in considerazione più soluzioni, da integrare e usare insieme, comprese quelle per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Produrne molta meno, insomma, potrebbe non essere sufficiente, soprattutto nel caso in cui non fossero mantenute le promesse dei governi per immetterne minori quantità.

Prelevare la CO2 e metterla nel sottosuolo può apparire come raccogliere la polvere e nasconderla sotto al tappeto, ma i sostenitori di questo sistema ritengono invece che sia una soluzione nell’ordine delle cose e in linea con quanto abbiamo fatto per più di un secolo. Dalla Rivoluzione industriale in poi, abbiamo prodotto CO2 bruciando i combustibili fossili (carbone, gas, petrolio) e grandi quantità di legname, entrambi riserve di anidride carbonica. Ora l’idea è di fare il contrario, riportando la CO2 dove era rimasta immagazzinata per miliardi di anni.

Entro la metà del 2020, Climeworks conta di raggiungere una diffusione dei suoi sistemi tale da rendere possibile la rimozione dell’1 per cento circa delle emissioni annue di CO2. Per raggiungere questo obiettivo, il costo delle strumentazioni dovrà ridursi notevolmente e di svariate volte: in cinque anni da 600 dollari a 200 dollari per tonnellata di anidride carbonica sottratta (scendere oltre, con le attuali tecnologie e la loro disponibilità, sembra improbabile). I costi di manutenzione del sistema incidono molto, così come quelli per sostituire i filtri e i costi energetici per pompare così tanta aria.

(Climeworks)

Anche se in diverse parti del mondo sono stati sperimentati sistemi di scambio di quote di anidride carbonica, in modo che le aziende virtuose potessero beneficiarne vendendo le loro inutilizzate a quelle più inquinanti, a oggi non esiste un mercato vero e proprio per la CO2. Gebald e Wurzbacher dicono che le cose potrebbero cambiare con l’introduzione di specifiche imposte da parte dei governi. Un’azienda che produce inevitabilmente emissioni, come una compagnia aerea, potrebbe essere obbligata a pagare per la rimozione di una quantità di anidride carbonica equivalente a quella che produce in un anno con i suoi aeroplani e attività al suolo. Potrebbero anche essere avviati piani di incentivi e sovvenzioni per indurre le aziende a investire in sistemi di sottrazione dell’anidride carbonica e per la loro conservazione nel sottosuolo.

L’immissione di alcuni tipi di gas nel sottosuolo è una pratica piuttosto diffusa, per esempio per fare aumentare la pressione nei pozzi dai quali si estrae il petrolio. Si stima che ogni anno in giro per il mondo siano pompate nel sottosuolo 34 milioni di tonnellate di anidride carbonica a un costo che, a seconda dei luoghi e delle tecnologie utilizzate, oscilla tra i 2 e i 15 dollari per tonnellata. I ricercatori stimano che in tutto si possano pompare nel sottosuolo fino a 25mila miliardi di tonnellate di CO2. Lo spazio teoricamente c’è, la tecnologia per farlo anche, ma non ancora certezze sulla sostenibilità economica di una simile impresa.