Come gli Stati Uniti hanno scongiurato (per ora) che la Cina si allargasse in Groenlandia
Il progetto per la costruzione di tre aeroporti con un finanziamento cinese ha spinto la Difesa americana a chiedere l'intervento della Danimarca
di Nadia Corvino
Il Wall Street Journal ha raccontato in un articolo come le vivaci competizioni politico-economiche tra Cina e Stati Uniti stiano passando anche attraverso un enorme territorio ghiacciato di appena 56mila abitanti come la Groenlandia.
Verso la fine dello scorso anno la Danimarca aveva accettato di investire nel progetto della costruzione di due aeroporti in Groenlandia che serviranno a migliorare il sistema di trasporti del paese, oltre a renderlo più facilmente raggiungibile dai voli commerciali e turistici. Il territorio della Groenlandia – coperto da ghiaccio e neve per oltre l’80% della sua superficie – si trova a nordest del Canada ma appartiene, con grande autonomia, al regno di Danimarca.
L’offerta danese – dapprima rifiutata – è giunta dopo un dialogo con il ministero della Difesa degli Stati Uniti: prima della proposta di finanziamento da parte della Danimarca, il primo ministro groenlandese aveva infatti chiesto un prestito a banche cinesi statali per finanziare il progetto di tre aeroporti, tramite incontri che la stessa Danimarca aveva aiutato ad organizzare.
Parte del progetto serviva a un ampliamento dell’aeroporto di Nuuk, la capitale groenlandese in cui vivono 17mila persone e che si trova di fronte alle coste canadesi, che al momento non può essere raggiunto da tutti i tipi di aerei di linea.
Le banche cinesi – spiega l’articolo del Wall Street Journal – sembravano essere disponibili ad accettare l’accordo, che avrebbe previsto un prestito dell’equivalente di 555 milioni di dollari, a condizione che la costruzione fosse stata affidata a imprese cinesi.
Ma il possibile accordo aveva spinto l’allora segretario della difesa statunitense Jim Mattis (che nel frattempo si è dimesso per dissensi sulla politica americana in Siria) a chiedere un confronto al governo danese, per evitare che il progetto conducesse a una eventuale militarizzazione della zona da parte della Cina.
La Groenlandia oggi è formalmente una nazione del Regno di Danimarca: ha intrapreso da tempo diverse iniziative verso l’indipendenza, che sono culminate nel referendum del 2008 a favore dell’autogoverno, che ha dato al paese estesa autonomia.
Il controllo della Danimarca sulla Groenlandia era iniziato nel 1775, quando l’isola divenne una colonia danese: le fu concessa una parziale autonomia nel 1979. Prima di allora aveva goduto di un breve periodo di autonomia durante l’occupazione nazista della Danimarca, durante il quale la Groenlandia permise al governo statunitense di costruire aeroporti e basi militari sul proprio territorio, tuttora presenti.
Nel referendum del 2008 la maggioranza dei votanti è stata favorevole all’aumento delle aree di autonomia del governo del paese, e al referendum è seguita una legge grazie alla quale la Groenlandia potrà scegliere se affermare in futuro la propria indipendenza, e approvarla definitivamente tramite un referendum.
Aleqa Hammon, il primo ministro groenlandese in carica in quel periodo, aveva sostenuto che il primo ministro danese Rassmussen avesse ripetutamente rifiutato le richieste di prestito prima che si fosse reso manifesto l’interesse della Cina.
Data la grossa somma richiesta in prestito al governo cinese dalla Groenlandia, uno degli scenari possibili era quello che si era già creato in Sri Lanka, dove il governo, incapace di restituire il prestito cinese per la costruzione di un porto, ha dovuto concedere in affitto il porto e un’area di 60 chilometri quadrati per i prossimi 99 anni, per iniziare a ripagare il debito. Il porto si trova in un punto strategico per la sua vicinanza alla costa indiana e per la sua centralità rispetto alle rotte commerciali e militari dell’oceano Indiano.
Nel caso in cui il governo groenlandese avesse avuto delle difficoltà a ripagare il prestito, la Cina avrebbe potuto prendere il controllo sulle piste di atterraggio e utilizzarle per aerei da guerra, nello stesso paese dove si trova un’importante base militare statunitense che ha tra i suoi scopi l’individuazione di un possibile attacco missilistico. La prospettiva aveva allarmato il governo degli Stati Uniti, spiega il Wall Street Journal, e dopo la richiesta di un incontro al ministero della Difesa danese da parte di Mattis il governo danese ha approvato il finanziamento di due dei tre aeroporti: il governo statunitense si è offerto di partecipare con la costruzione di infrastrutture aeroportuali per l’atterraggio di aerei civili e militari. Il terzo aeroporto sarà costruito a spese della Groenlandia.
L’interesse internazionale nei confronti dei paesi dell’oceano Artico è dovuto sia alla loro posizione strategica di collegamento tra Asia, Europa e Nordamerica sia alla presenza di risorse non ancora sfruttate. Secondo il Geological Survey statunitense, nelle aree intorno all’oceano Artico sarebbe presente la più grande riserva di petrolio e gas del mondo, contenente il 13% delle risorse inesplorate di petrolio, il 30% di quelle di gas naturale e il 20% di quelle di gas naturale liquefatto.
Nel 2018 il governo cinese ha rilasciato delle dichiarazioni riguardo alla propria “politica Artica”, dicendo di voler sfruttare l’Artico per lo sviluppo della “Via della seta polare”, cioè nuove rotte commerciali tramite vie aperte dallo scioglimento dei ghiacci. Nel 2016 la Cina aveva già dimostrato il suo interesse nei confronti della Groenlandia offrendosi di acquistare una base navale abbandonata: il governo danese aveva rifiutato per non compromettere i propri rapporti con gli Stati Uniti, decidendo di rimetterla in funzione come deposito di materiale e sede di addestramento. La Cina inoltre possiede già delle miniere di uranio e metalli in Groenlandia, e una università statale ha recentemente annunciato che vi costruirà un’antenna per fare ricerca.
La costruzione di nuove infrastrutture è fondamentale per un paese che non ha strade che collegano le sue città. L’offerta di finanziamento della Danimarca seguita all’intercessione statunitense propone inoltre un tasso di interesse dell’1%, più basso di quello che i groenlandesi si aspettavano dagli accordi con la Cina. Tramite i risparmi sul costo del prestito, si stima che un viaggio turistico andata e ritorno dall’Europa verso la Groenlandia potrà costare circa 130 dollari in meno del previsto.
Questa proposta è stata però interpretata da alcuni osservatori locali come un tentativo di riaffermazione degli interessi statunitensi ed europei sulla Groenlandia. Le discussioni riguardo a chi avrebbe dovuto finanziare gli aeroporti hanno fatto perdere al governo l’appoggio della maggioranza in parlamento lo scorso settembre, creando una crisi politica che si è risolta il mese successivo tramite la formazione di una coalizione di minoranza.
Il governo groenlandese è infine riuscito a far approvare in parlamento il finanziamento da parte della Danimarca di due dei tre aeroporti solo a novembre, dopo discussioni dovute all’opposizione di chi è favorevole all’indipendenza groenlandese e di chi è contrario alla presenza delle attuali basi militari statunitensi sul suolo groenlandese.