Inizia il processo agli indipendentisti catalani
Ci sono 12 imputati, tra cui mezzo governo che nell'ottobre 2017 appoggiò la secessione della Catalogna dalla Spagna: breve guida a un evento unico nel suo genere
Oggi inizia a Madrid, in Spagna, il processo a 12 persone catalane – tra leader politici e della cosiddetta società civile – accusati di avere tentato in modi diversi, e in alcuni casi incitando alla violenza, di ottenere l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Il processo, che il corrispondente a Madrid del New York Times ha definito «qualcosa che non si è mai visto finora in Spagna», riguarda gli eventi incredibili e inaspettati che si verificarono in Catalogna nell’autunno del 2017, tra cui la celebrazione di un referendum sull’indipendenza catalana considerato illegale dal governo e dalla magistratura spagnola, e la dichiarazione unilaterale di indipendenza proclamata dall’allora presidente catalano Carles Puigdemont con l’approvazione del Parlamento locale.
Nel processo che inizia oggi non saranno imputati tutti i leader catalani accusati di avere tentato la secessione della Catalogna: non ci sarà per esempio Puigdemont, che dopo avere lasciato la Spagna, e dopo una lunga vicenda giudiziaria, si trova oggi in Belgio, libero di muoversi in tutta l’Unione Europea a eccezione che in territorio spagnolo. Gli imputati verranno giudicati dal Tribunale supremo, che ha seguito il caso fin dalle sue fasi iniziali.
Cosa riguarda il processo
Il processo si riferisce ad alcuni eventi risalenti al settembre e all’ottobre del 2017, successi cioè durante la fase più acuta della crisi catalana.
Nelle settimane precedenti il governo indipendentista guidato da Carles Puigdemont era riuscito a far approvare al Parlamento catalano (a maggioranza indipendentista, allora come oggi) alcune leggi molto controverse che avevano l’obiettivo di preparare la strada all’organizzazione di un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Le leggi furono poi sospese dal Tribunale costituzionale spagnolo – l’equivalente della nostra Corte Costituzionale – e lo stesso referendum fu dichiarato illegale dalla magistratura di Madrid. Il governo catalano decise però di tirare dritto: organizzò in segreto il voto, sfruttando tra le altre cose la grande capacità organizzativa di alcune organizzazioni indipendentiste, e riuscì a recuperare urne e schede. Il referendum si tenne l’1 ottobre, vinse il Sì ma la partecipazione fu solo poco superiore al 40 per cento. Il risultato, naturalmente, non fu riconosciuto dal governo spagnolo.
Il processo riguarda in generale il piano del governo indipendentista catalano di Puigdemont e dei suoi alleati di ottenere la secessione della Catalogna dalla Spagna, obiettivo contrario alla Costituzione spagnola. In particolare, però, le accuse si riferiscono a due eventi precisi: le proteste del 20 settembre 2017 fuori dal ministero dell’Economia catalano e il referendum dell’1 ottobre.
Primo evento. Il 20 settembre 2017, quando il governo catalano aveva già annunciato il referendum ma c’era ancora grande incertezza sulla sua capacità di recuperare il materiale necessario per il voto, circa 40mila persone si riunirono di fronte al ministero dell’Economia catalano a Barcellona. La manifestazione era stata convocata dai leader delle due principali organizzazioni indipendentiste della società civile catalana, Jordi Sànchez (dell’Assemblea Nazionale Catalana, ANC) e Jordi Cuixart, di Òmnium: aveva l’obiettivo di protestare contro un’operazione della Guardia civile in corso all’interno dell’edificio, finalizzata ad arrestare diversi funzionari che si stavano occupando di organizzare il referendum per l’indipendenza. Durante le proteste, ci furono momenti di grande tensione: due auto della Guardia civile furono distrutte dai manifestanti e gli agenti rimasero bloccati per diverse ore prima che venissero predisposte le misure necessarie per farli uscire dall’edificio.
Sànchez e Cuixart sono imputati nel processo che inizia oggi: sono stati i primi leader indipendentisti ad andare in prigione e sono accusati di ribellione, il reato più grave tra quelli formulati dalla Procura generale spagnola.
Secondo evento. Il referendum sull’indipendenza della Catalogna si tenne l’1 ottobre, nonostante sia il Tribunale costituzionale spagnolo che il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna lo avessero sospeso. Quel giorno il governo spagnolo di Mariano Rajoy (Partito popolare) mandò in Catalogna migliaia di agenti della Polizia nazionale e della Guardia civile, ordinando loro di bloccare le operazioni di voto: la polizia spagnola usò la violenza contro i manifestanti, diversi furono feriti, e il governo Rajoy fu criticato da mezzo mondo. La polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, fu invece accusata di essere stata a guardare, e in alcune occasioni di avere collaborato per la riuscita del referendum: l’allora capo dei Mossos, Josep Lluís Trapero, è oggi accusato di ribellione, ma il suo caso, a differenza di quello dei leader indipendentisti, non è di competenza del Tribunale supremo ma dell’Audiencía Nacional (un altro alto tribunale spagnolo).
I leader indipendentisti catalani sono accusati di non avere rispettato le sentenze dei tribunali sul referendum, di avere tentato di alterare il sistema costituzionale spagnolo puntando alla secessione, e di avere dichiarato l’indipendenza unilaterale della Catalogna sulla base di una discutibile legittimità derivante dai risultati del voto dell’1 ottobre. Tra gli imputati ci sono l’ex vicepresidente Oriol Junqueras (di Esquerra Republicana, ERC), il membro del governo più in vista dopo Puigdemont, e Carme Forcadell, ex presidente del Parlamento catalano, accusata in diverse occasioni di pilotare il dibattito parlamentare per favorire le posizioni indipendentiste.
Le accuse e il nodo centrale del processo
Il processo ai leader indipendentisti catalani è molto complicato, anche perché riguarda l’interpretazione di alcune norme del codice penale che non erano mai state tirate in ballo finora, come quella che fa riferimento alla ribellione, che prevede fino a 30 anni di carcere.
La ribellione, reato per il quale sono accusati dalla Procura nove imputati, si verifica con una protesta pubblica e violenta che ha l’obiettivo di alterare il sistema costituzionale spagnolo: in questo caso, propiziare la secessione di una parte del paese. Secondo la difesa, e secondo diversi penalisti che da mesi discutono delle accuse formulate dalla Procura, nelle azioni degli indipendentisti catalani non ci sarebbe stato l’uso della violenza, e quindi non si potrebbe parlare di ribellione (il movimento indipendentista catalano ha sempre rivendicato di essere pacifico). Se questa tesi dovesse convincere i giudici del Tribunale, potrebbe essere messa in discussione anche un’altra accusa, quella di sedizione, che è stata invece formulata per gli stessi nove imputati dall’Abogacía del Estado, un organo del ministero di Giustizia che presta assistenza giuridica allo stato. La sedizione è un reato meno grave della ribellione: prevede una protesta pubblica e violenta, ma con l’obiettivo di modificare le leggi o gli ordini delle autorità centrali, e non l’ordine costituzionale.
Tutti gli ex membri del governo Puigdemont saranno inoltre processati per malversazione, cioè l’uso di fondi pubblici per uno scopo diverso da quello inizialmente previsto: sono accusati di avere usato fondi destinati ad altro per organizzare e finanziare il referendum dell’1 ottobre. Inoltre, gli unici tre ex ministri che non saranno giudicati né per ribellione né per sedizione – Meritxell Borràs, Carles Mundó e Santi Vila – verranno processati per disobbedienza, un reato molto meno grave, che si verifica quando non vengono rispettati gli ordini dell’autorità: in questo caso, i tre sono accusati di non avere rispettato la decisione del Tribunale costituzionale di sospendere le due leggi approvate dal Parlamento catalano che avevano l’obiettivo di aprire la strada al referendum sull’indipendenza.
Come sarà il processo
Il Tribunale supremo ha accettato di sentire 500 testimoni, tra cui l’ex primo ministro Mariano Rajoy, l’attuale presidente del Parlamento catalano, l’indipendentista Roger Torrent, e la sindaca di Barcellona, Ada Colau. L’intero processo sarà trasmesso in streaming, ha assicurato il governo spagnolo, di modo da garantire la massima trasparenza possibile. Secondo i magistrati, la sentenza arriverà prima di agosto.