È tempo di preoccuparsi dell’economia tedesca
Dopo avere resistito molto meglio di altri paesi alla crisi ora deve fare i conti con minori esportazioni e consumi, scrive l'Economist
L’ultimo numero dell’Economist ha dedicato diversi articoli alla Germania e ai timori sulla sua economia, che rischia di rallentare sensibilmente dopo essersi mostrata molto solida negli anni della crisi finanziaria ed economica globale. Minori esportazioni e consumi interni potrebbero causare una riduzione della crescita tedesca, con effetti che potrebbero riflettersi sulle economie di diversi altri paesi, che hanno già dimostrato di essere in difficoltà e di avere retto meno alla crisi: a cominciare dall’Italia.
Nel corso dell’ultimo anno, il prodotto interno lordo (PIL) della Germania è cresciuto dell’1,5 per cento, rispetto alla crescita del 2,2 per cento fatta registrare nel 2017. Secondo le previsioni della Commissione Europea, nel 2019 il PIL tedesco crescerà dell’1,1 per cento, al di sotto della media europea dell’1,5 per cento. Nelle stime la Germania è penultima, con l’Italia all’ultimo posto con appena lo 0,2 per cento di crescita e prospettive poco ottimistiche anche per gli anni seguenti.
Secondo gli analisti, il rallentamento dell’economia tedesca è stato causato da una combinazione di fattori diversi. Nel breve periodo, per esempio, hanno inciso le nuove regole sui test per le emissioni delle nuove automobili. Le norme più rigide hanno complicato la produzione e la vendita di nuovi veicoli, con una riduzione del fatturato del settore automobilistico, tra i più importanti per l’economia tedesca. Ampi tratti del Reno, il grande fiume che attraversa buona parte della Germania occidentale da nord a sud, sono rimasti poi non navigabili per settimane a causa della siccità, ritardando il trasporto di merci e materie prime. Questi e altri problemi hanno influito nel breve periodo, ma ci sono altri fattori più strutturali che potranno incidere nel medio termine.
Il problema più serio, scrive sempre l’Economist, sono le esportazioni. Quasi la metà del PIL della Germania è legato a ciò che il paese riesce a esportare, a fronte del 12 per cento del PIL per gli Stati Uniti o del 30 per cento del Regno Unito. La cosiddetta “guerra commerciale” tra governo statunitense e cinese, che potrebbe espandersi ad altri paesi e influire sull’economia europea, così come i rischi posti dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (Brexit), potrebbero influire sulle esportazioni e di conseguenza sugli affari delle piccole e medie industrie tedesche.
La Germania è del resto già in sofferenza sulle esportazioni, soprattutto a causa di una riduzione della domanda da parte della Cina, che a sua volta deve fare i conti con un rallentamento dell’economia. Il settore che più ha patito è stato quello dell’automobile: Volkswagen, il più grande produttore europeo di automobili, ha subìto il calo della domanda dalla Cina nella seconda metà del 2018, con conseguenze per il suo fatturato.
Le industrie tedesche vendono i loro prodotti all’estero soprattutto nei mercati statunitense, cinese e britannico. Tra “guerra commerciale” e Brexit, le previsioni economiche non sono positive per questi tre paesi, con conseguenze rilevanti per la Germania. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha inoltre minacciato più volte la possibilità di imporre dazi sulle importazioni di automobili europee. Se ciò dovesse avvenire, il PIL della Germania potrebbe ridursi di un ulteriore 0,2 per cento.
L’economia tedesca sta rallentando anche a causa di fattori interni. Nonostante il tasso di disoccupazione molto basso e un aumento dei salari, nell’ultimo anno i consumi sono cresciuti più lentamente rispetto al 2016 e al 2017. Secondo gli analisti, i cittadini tedeschi stanno risparmiando perché hanno meno fiducia nell’economia e si aspettano che le cose cambino, con un suo imminente peggioramento. A questo si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione, che porta più persone a prepararsi per la pensione e quindi a risparmiare qualche soldo. Inoltre, la produzione industriale è diminuita negli ultimi mesi e ci si aspetta che continui a farlo almeno per la prima metà del 2019, considerato come sono andate le cose nella seconda metà del 2018.
Nel breve periodo, la Germania e il governo di Angela Merkel hanno comunque ampi margini per contrastare il previsto rallentamento dell’economia. Da cinque anni i bilanci federali sono in attivo e il debito rispetto al PIL è pari al 60 per cento (in Italia è oltre il 131 per cento). Il governo ha risorse e mezzi per stimolare l’economia se necessario, a cominciare da incentivi per la ricerca e lo sviluppo e una maggiore spesa pubblica, anche per le infrastrutture.
Al di là delle misure nel breve periodo, la Germania rischia comunque di perdere il suo “vantaggio competitivo” con altri paesi. A partire dal 2020 è prevista una riduzione della forza lavoro, nonostante la politica espansiva sull’immigrazione portata avanti negli anni scorsi da Merkel, proprio per contrastare la riduzione della popolazione nella fascia di età lavorativa. La combinazione di una ridotta forza lavoro e delle minori esportazioni potrebbe incidere sulla crescita nella produzione, con limitazioni più generali per l’intera economia tedesca.
In un editoriale che accompagna l’articolo principale, l’Economist scrive che per rinvigorire la propria economia, la Germania dovrebbe estendere ulteriormente la spesa annunciata per le infrastrutture e incentivare gli investimenti privati, con una riduzione della loro tassazione. Meno tasse potrebbero controbilanciare le minori esportazioni, incentivando i consumi interni: “L’economia tedesca ha avuto una notevole crescita, ma iniziano ad apparire le prime crepe. È tempo di preoccuparsene”.