Che cosa fa la Banca d’Italia?
Perché è un'istituzione di grande autonomia e indipendenza, ma anche un interlocutore importante su cui i governi cercano di intervenire
La scorsa settimana i vicepresidenti del Consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono tornati ad attaccare la Banca d’Italia. Secondo i capi di Lega e Movimento 5 Stelle, i vertici della banca centrale italiana andrebbero “azzerati” poiché non sono stati capaci di prevenire la crisi che negli ultimi anni ha colpito diverse banche del nostro paese, da Monte dei Paschi a Carige.
Salvini e Di Maio non sono i soli ad aver criticato Banca d’Italia per le sue supposte mancanze negli ultimi anni. Anche l’ex segretario del PD Matteo Renzi aveva criticato l’istituto, chiedendo che il suo attuale governatore Ignazio Visco non venisse riconfermato. In altre parole Banca d’Italia continua a restare un argomento di discussione e divisione tra le forze politiche. E questo perché, nonostante l’arrivo dell’euro e delle nuove regole bancarie europee ne abbiano fortemente ridimensionato il ruolo, rimane ancora un’istituzione con funzioni molto importanti – che condizionano i risultati economici che i governi vogliono ottenere ed esibire – e indipendente, o quasi, dal potere politico.
Cosa fa una banca centrale?
Con poco più di un secolo di storia alle spalle, le banche centrali sono creature relativamente nuove nell’ecosistema economico. Sono nate quasi ovunque come banche private con la funzione di “banca delle banche” alle quali i governi concedevano particolari privilegi e responsabilità (come quella di emettere moneta o di vigilare sulle altre banche). Nel corso del Novecento queste particolari “responsabilità” sono aumentate, fino al punto da rendere necessaria la loro trasformazione in enti pubblici, con vari gradi di indipendenza dal potere politico (è un tema, quello della loro indipendenza, tra i più discussi e controversi ancora oggi).
In Italia questo passaggio avvenne nel 1936, quando la Banca d’Italia, creata come società privata dalla fusione di quattro delle principali banche del paese, fu trasformata in un istituto di diritto pubblico, qualifica che ha ancora nonostante quello che si sente spesso dire (con la legge bancaria del ’36 di fatto tutto il sistema bancario italiano fu reso pubblico e lo rimase praticamente fino agli anni Novanta).
I vertici della Banca d’Italia, infatti, come il governatore e i suoi vice, sono nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio. A parte questo passaggio, però, il governo non ha altro modo diretto di influenzare l’istituto che da decenni mantiene una tradizione di indipendenza e autonomia dal potere politico e può contare su un personale preparato e selezionato rigorosamente che si considera una sorta di élite della pubblica amministrazione.
Per quasi tutto il dopoguerra la Banca d’Italia, come le sue omologhe in giro per il mondo, si è occupata di regolare la quantità di moneta in circolazione (alzando o abbassando il tasso di interesse con cui prestava denaro alle altre banche), di vigilare sulle banche che operavano in Italia e di fare studi e ricerche su tematiche economiche. Con l’entrata nell’euro la prima funzione è cessata: non è più la Banca d’Italia a decidere i tassi di interesse. Se ne occupa invece la BCE, all’interno della quale la Banca d’Italia ha i suoi rappresentanti come tutte le altre banche centrali degli stati membri.
Non è invece stato toccato il servizio studi della Banca d’Italia, che produce alcune delle più importanti ricerche nazionali in campo economico e statistico. Anche le attività di vigilanza secondaria, come quelle contro il riciclaggio, sono svolte autonomamente dalla banca. La parte più importante delle attività di controllo, quella che riguarda le banche, ha invece una storia più complicata.
La vigilanza
La vigilanza è uno degli aspetti più complessi e controversi dell’attività della Banca d’Italia e certamente quello di cui si è parlato di più negli ultimi anni. La responsabilità di controllare i bilanci delle banche e la loro stabilità finanziaria, oltre che la loro aderenza agli standard internazionali, è svolta da Banca d’Italia in collaborazione con una serie di istituzioni europee: ad esempio l’ESFS, il “sistema di vigilanza finanziario” che riguarda tutta l’Unione Europea, oppure l’EBA, l’autorità bancaria europea, quella che organizza i famosi “stress test” sulle condizioni delle banche, o l’SSM, il “meccanismo di supervisione unico” previsto dall’Unione bancaria che si applica a tutti i paesi dell’euro e che consente alla Banca centrale europea di vigilare sulle banche degli stati aderenti.
Sembra tutto molto complicato, ed in effetti lo è. Per fortuna quello che è importante sapere è invece abbastanza semplice: l’attività di controllare le banche è in ultima analisi responsabilità delle autorità europee, le quali collaborano direttamente con la Banca d’Italia o lasciano che sia lei a svolgere la prima fase di sorveglianza. Prendiamo ad esempio il caso con il quale le vicende di cronaca ci hanno reso più familiari negli ultimi anni: quello della vigilanza bancaria.
Le nuove regole arrivate dopo la crisi del 2008 stabiliscono che sulle banche cosiddette “significative”, cioè le più grandi e più importanti per le economie degli stati membri, la BCE vigili in maniera diretta (in Italia c’è una dozzina di banche considerate “significative”). Vigilare in maniera diretta significa che i regolatori europei tengono sotto stretto controllo i bilanci delle banche nella lista e possono richiedere ai loro manager di compiere o meno determinate operazioni (ad esempio, aumentare il capitale della banca) o addirittura possono ordinare il commissariamento dell’istituto in casi particolarmente gravi (come è avvenuto nei primi giorni di gennaio con Carige).
Quando c’è bisogno di interventi sul campo, i team di ispettori sono formati da un coordinatore scelto dalla BCE e da una squadra di ispettori della Banca d’Italia. Quando si trovano “in missione” gli ispettori della Banca d’Italia e della BCE lavorano come degli “investigatori” finanziari. Esaminano documenti, controllano gli archivi e interrogano i dipendenti della banca sotto ispezione. Ma non hanno i poteri della magistratura: non possono obbligare le persone a rispondere e se qualcuno si rifiuta di aprire un cassetto dove suppongono possa nascondersi della documentazione importante, non hanno modo di costringerlo a farlo. Anche per queste ragioni la loro attività spesso non riesce a produrre prove di eventuali irregolarità o reati commessi dai vertici della banca sotto ispezione.
Per quanto riguarda invece le banche considerate “non significative” la vigilanza è direttamente competenza della Banca d’Italia, anche se la responsabilità ultima e le decisioni sulle regole da applicare appartengono sempre alle autorità europee. La Banca d’Italia gestisce in maniera autonoma le ispezione alle banche “non significative”.
Questa serie di responsabilità e autorevolezze rende la Banca d’Italia una struttura indipendente ma un potenziale alleato importante per i governi, soprattutto in termini di comunicazione: per fare un esempio la nomina controversa di cui si è parlato nei giorni scorsi riguarda un dirigente che aveva criticato il progetto del governo sul reddito di cittadinanza.