«Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?»
È la frase più famosa di "I guerrieri della notte", un film che fece parlare di sé ancor prima di uscire e che ora, quarant'anni dopo, è ancora considerato un cult
Quarant’anni fa uscì nei cinema americani I guerrieri della notte, diretto da Walter Hill: un film che fece molto parlare di sé e che ancora oggi è considerato uno dei film più controversi di sempre. Il film parlava di gang di New York in lotta tra loro e, seppur non fosse violentissimo, lo faceva senza esprimere un vero giudizio sulla questione. In più, già prima che il film uscisse, sulle locandine si poteva leggere questa scritta: «Questi sono gli eserciti della notte. Sono fatti da centomila persone. Per ogni poliziotto, ce ne sono cinque di loro. Potrebbero comandare, a New York».
Quello che molti probabilmente non capirono è che I guerrieri della notte era sì realistico in certi suoi elementi, ma non voleva esserlo in altri. Qualche anno fa Hill disse a Esquire: «Volevo fare una storia di fantasia, ma allo stesso tempo inserirci dei lampi di contemporaneità». Hill spiegò che il film non voleva giudicare ma solo raccontare, «accettando l’idea che le gang esistessero davvero». Fu forse per questo che I guerrieri della notte divenne un cult e che ancora oggi in tanti se lo ricordano e, se capita, riguardano.
Per spiegarlo a chi non l’ha mai visto, ci si mette comunque poco: I guerrieri della notte ha una storia essenziale, che andrebbe bene anche per un western. I membri di una banda devono tornare a casa, attraversando un luogo ostile in cui tutti li vogliono uccidere. Solo che il luogo ostile è New York, il viaggio viene fatto di notte, tra strade e metropolitane, e la banda è una gang di ragazzi in gilet di pelle.
Volendo entrare un po’ più nel dettaglio, la premessa del film è che a New York ci siano decine di gang, ognuna con il suo stile, il suo stemma e la sua divisa. Cyrus – il capo dei Riffs, la gang più grande – organizza fuori città una grande riunione a cui ogni gang partecipa con nove “delegati”. Lo scopo della riunione è allearsi per conquistare insieme la città.
Solo che Luther – il capo della gang dei Rogues – tradisce i patti e uccide Cyrus; riesce a non farsi scoprire e la colpa viene data ai Warriors. Conseguenza: i Warriors devono fare quasi 50 chilometri di strada per tornare prima dell’alba nella loro zona, a Coney Island, a sud di Brooklyn. Problema: tutte le altre gang della città li vogliono morti. Finale, dopo non poco trambusto: alcuni Warriors ce la fanno (e qualcuno trova pure il tempo di innamorarsi) e i Riffs scoprono la verità su Luther, facendogliela pagare. Fine del viaggio, fine della notte e fine del film.
I guerrieri della notte fu il terzo film di Hill, che lo girò poco prima dei quarant’anni, dopo aver diretto L’eroe della strada e Driver, l’imprendibile, un film su un pugile e un film su un autista-rapinatore senza nome. Parlando dei primi tre film di Hill, IndieWire ha scritto: «Se l’eroe della strada e Driver, l’imprendibile mostrarono il debito che Hill aveva nei confronti nella Nouvelle Vague e di Sam Peckipah [la più famosa corrente del cinema francese e uno dei migliori registi di western], I guerrieri della notte mostrò che era anche capace di mischiare quelle cose con una sensibilità popolare, da fumetto».
Hill girò il film adattando The Warriors, un romanzo di Sol Yurick che era uscito nel 1965: lo scrisse in reazione a West Side Story, che secondo lui mostrava una versione troppo romanzata di quello che erano le gang di strada di New York. Libro e film devono qualcosa anche all’Anabasi, un’opera di Senofonte del quarto secolo prima di Cristo, su un gruppo di mercenari greci che per tornare a casa dopo una battaglia deve fare molta strada in un territorio ostile dietro le linee nemiche.
Le riprese furono problematiche perché fatte quasi tutte di notte e spesso in aree non particolarmente raccomandabili. Si dice anzi che la produzione dovette pagare i membri di alcune vere gang per chiedere loro di vigilare sulla sicurezza del set. Ma i problemi principali furono quelli tra Hill e Thomas G. Waites, che nel film è Fox, uno degli Warriors. Non è ben chiaro perché ma i due non andavano per niente d’accordo: era un problema, perché Fox era il personaggio che avrebbe dovuto innamorarsi di Mercy, in quella che è la storia d’amore del film.
Hill decise però, senza dare molto preavviso a Waites, di far morire Fox e cambiare la sceneggiatura in modo che a innamorarsi di Mercy fosse Swan. Anche perché i due attori che li interpretavano – Deborah Van Valkenburgh e Michael Beck – sembravano andare molto d’accordo durante le riprese.
Sempre parlando di attori, David Patrick Kelly (che nel film è Luther) disse che, come spesso succede, la frase più famosa e citata di I guerrieri della notte non era in sceneggiatura e gli venne sul momento, ripensando a una frase che un anziano signore gli diceva quando era piccolo. In inglese la frase – ripetuta quattro volte e detta facendo quell’inquietante suono con le bottiglie di birra – è «Warriors, come out to play».
I guerrieri della notte incassò più di tre milioni di dollari già nel suo primo weekend ma fece subito discutere per il poster e perché si dice che dopo le proiezioni ci furono alcuni incidenti. Hill disse che la questione era semplice: tra i tanti spettatori c’erano anche, in quota maggiore che per gli altri film, i membri di alcune gang.
Il film non piacque a Roger Ebert del Chicago Sun-Times, che scrisse che si trattava di «un balletto di violenza mascolina stilizzata». Piacque invece a Pauline Keal del New York Times: scrisse che I guerrieri della notte era «rock visuale».