Cos’hanno fatto gli Zen Circus prima di Sanremo
Sono uno dei gruppi più conosciuti della scena "indie rock" italiana, e partecipano al Festival per la prima volta con la canzone "L'amore è una dittatura"
Tra i partecipanti del Festival di Sanremo quest’anno ci sono anche gli Zen Circus, una band rock che nel corso degli anni si è fatta conoscere soprattutto negli ambienti della cosiddetta musica “indie”. La canzone con cui partecipano alla gara si intitola “L’amore è una dittatura” e questa sera, per la serata dedicata ai duetti, la canteranno insieme a Brunori Sas. Stando a quanto hanno dichiarato a Blogo, il loro sogno è «arrivare ultimi ma mi sa che non ce la faremo e quindi abbiamo abolito proprio l’idea che questa sia una competizione».
Gli Zen Circus si sono formati nel 1994 a Pisa: all’inizio erano solo Andrea Appino e Marcello Bruzzi e oggi, dopo vari cambi di formazione, sono composti da Appino, Karim Qqru, Massimiliano Schiavelli e Francesco Pellegrini. All’inizio il gruppo si chiamava solo The Zen, poi nel 2000 è stato aggiunto anche il “Circus” (il “The” si può pronunciare, o no). Hanno pubblicato in tutto dieci dischi, di cui i primi cinque tutti cantati in inglese. Il primo disco interamente in italiano è Andate tutti affanculo del 2009, che è stato seguito da Nati per subire del 2011, Canzoni contro la natura del 2014, La terza guerra mondiale del 2016 e Il fuoco in una stanza del 2018. Il cantante Appino ha anche pubblicato due dischi da solista, Il testamento del 2013 e Grande raccordo animale del 2015.
“L’amore è una dittatura”, la canzone degli Zen Circus a Sanremo
Ci hanno visti nuotare in acque alte fino alle ginocchia
Ed inchinarci alle zanzare pregandole di non mescolare
Il nostro sangue a quello dei topi arrivati in massa con le maree
Le porte aperte, i porti chiusi, e sorrisi agli sconosciuti
Che ci guardano attoniti mentre ci baciamo,
Da uomo a uomo, mano nella mano
Una sigaretta non lo racconta ci vuole forse una vita intera
O una canzone non certo questa,
Altri maestri, altri genitori
Che non rinfacciano quello che sei, quello che vuoi
Quello che eri
Esistere è giusto un momento
Chi vive nel tempo muore contento
E sì, ci hanno visti contare le pietre di questo deserto
Pazienza, perdere tempo con il cielo, farlo di lavoro
Pagati per immaginare qualcosa che non puoi fotografare
Mi spiego meglio, senza nascondermi dietro a cazzate
Scritte per caso in questa palestra dell’orrore
Ecco la pietra, ecco il peccato,
Un cane pastore lo fa per amore,
Non per denaro, non per rancore,
Non per la lana esiste il gregge
Né per la legge
Siamo delle antenne, dei televisori
Emettiamo storie che fanno rumore
Cerchiamo la donna della vita o l’uomo della morte
Strade interrotte, eterni sorrisi, figli sangue del nostro lavoro
Non ci somiglieranno, figli ormai del mondo intero
E perdere la monotonia di quando tutto era al suo posto
I topi cacciati, debellati, mostri tutti sotto al letto
E lasciar volare via quell’abbraccio conosciuto
Di chi in nome del tuo bene ha distrutto il tuo passato
Quando arrivi tu se ne vanno gli altri
Sai che non va bene ma ti piace arrangiarti
Come fanno in quei paesi che non sappiamo pronunciare
Ma che ci piace addomesticare a parole
Ero presente al momento dei fatti
Il fatto non sussiste
Mettetelo agli atti
Ma non hai paura di nessuno
Se non della tua statura
Hai la democrazia dentro al cuore
Ma l’amore è una dittatura
Fatta di imperativi categorici
Ma nessuna esecuzione
Mentre invece l’anarchia la trovi dentro ogni emozione
Tu stammi vicino, anzi lontano abbastanza
Per guardarti il viso dalla stanza dei miei occhi
Aperti o chiusi, non importa
Sono occhi quindi comunque una porta aperta
Il tempo passa lo senti da questo orologio
Mentre lavori dentro un bar, ad una pressa o in un ufficio e…
E speri ancora che qualcuno sia lì fuori ad aspettarti,
Non per chiederti dei soldi, neanche per derubarti,
Non per venderti la droga e soffiarti il posto di lavoro
Ma per urlarti in faccia, che sei l’unica, sei il solo
Sei l’unica, sei il solo