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  • Venerdì 8 febbraio 2019

Luciano Ligabue in nove canzoni

Da riascoltare oggi che presenterà il suo nuovo disco a Sanremo, "Start"

(ANSA)
(ANSA)

Stasera al Festival di Sanremo 2019 uno degli ospiti sarà Luciano Ligabue, che presenterà il suo nuovo disco, Start, e farà un omaggio a Francesco Guccini. Per chi vuole ripassare le sue canzoni più famose, e per gli altri, queste sono le nove canzoni migliori scelte da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, per il suo libro Playlist.

Luciano Ligabue
(1960, Correggio, Reggio Emilia)

Ligabue ha costruito un mito nazionale del rocker di provincia secondo solo a quello imbattibile di Vasco, e riempie stadi e cuori di passioni sincere. Ha un’umiltà rara, non le dice mai grosse, cerca invano di non fare il guru: e benché faccia praticamente la stessa canzone da sempre, azzecca ogni volta le parole. Se imparasse anche a cantare i ritornelli – chiedere troppo – sarebbe grandissimo.

Ho messo via
(Sopravvissuti e sopravviventi, 1993)

Ottima ballata del genere ripetitivo – ho messo via questo, ho messo via quello eccetera – prima di una lunga serie. 
C’è un verso per chi pretende di spiegargli come debba scrivere le canzoni: “ho messo via un po’ di consigli, dicono è più facile: li ho messi via perché a sbagliare sono bravissimo da me”.

A che ora è la fine del mondo?
(A che ora è la fine del mondo?, 1994)

Era “It’s the end of the world as we know it” dei REM, che Ligabue riscrisse restando fedele al tema della fine del mondo, ma virandolo su una prospettiva di rincoglionimento televisivo nazionale. L’idea gli venne, dice, quando Berlusconi sostenne che le sue televisioni non avevano influito sulla vittoria elettorale di Forza Italia.

Non dovete badare al cantante
(Buon compleanno Elvis, 1995)

“Certe vite passano, leggere come le canzoni”
Billy Joel ha “Piano man”, Ligabue ha “Non dovete badare al cantante”: ironici e leggeri autoritratti di musicisti, e in questo caso anche un avvertimento imbarazzato ai fans troppo incantati.
“Non dovete badare al cantante, quello lì che si crede una star”

Viva!
(Buon compleanno Elvis, 1995)

“Questa qua è per te, e anche se non è un granché ti volevo solo dire che era qui in fondo a me”. Ascoltando bene il testo, pur con qualche dubbio, è bello pensare che parli di sua madre: “quanta vita mi hai passato, non la chiedi indietro mai”.

I ragazzi sono in giro

(Buon compleanno Elvis, 1995)

Gran rocchettone di quelli che fan saltare anche le tribune. Il “vagano, vagano…” all’inizio viene da Amarcord di Fellini.

Leggero

(Buon compleanno Elvis, 1995)

“E ti vedi con una, che fa il tuo stesso giro
Bellissima, la più bella. Parte piano piano e ti pare di vederle, le macchine: e dondolano, “al ritmo di chi è lì dentro per potersi consolare”. Poi un po’ alla volta “senti le vene piene di ciò che sei”, e al secondo refrain fa il botto, staccandosi, leggera e potente, dalle cose terrene che ha raccontato fino a lì: “Legge-e-e-ro!, nel vestito migliore…”.

Il giorno di dolore che uno ha
(Su e giù da un palco, 1997)

Il tema è un modello canonico del rock: stai su, tieni duro. Fu dedicata a un amico malato di una malattia grave. È un esempio tipico della grandezza di Ligabue nel costruire e raccontare le strofe, e della sua contemporanea pigrizia nel trattare il refrain come un semplice punto e accapo per riattaccare con la strofa successiva.
Ligabue la introduce così, ai concerti: «una canzone scritta in un momento particolare, scritta per un momento tragico. E che ha finito per rappresentare forse la possibilità di far capire che il mondo è tutt’altro che il posto che vorremmo, ma facendo i conti ognuno di noi può affrontare e mettersi alle spalle con la propria forza il giorno di dolore che uno ha».

Ho perso le parole

(Radiofreccia, 1998)

“Sei bella che fai male
sei bella che si balla solo come vuoi tu
non servono parole
so che lo sai
le mie parole non servon più”

Fu scritta per la colonna sonora di Radiofreccia, il primo film di Ligabue, dedicato a una compagnia di giovani di provincia e ai tempi delle radio libere.

Happy hour
(Nome e cognome, 2005)

Fu il tormentone dell’estate 2006, non solo musicale (venne adottata
 da uno spot telefonico, strumento infallibile e già abbondantemente rodato per entrare nelle orecchie 
di tutta la nazione). Divennero comuni anche i versi e il concetto 
sulle aspirazioni alla celebrità e sui comportamenti asserviti ai cliché mi-si-nota-di-più, espressi con la sintesi metaforica dell’happy 
hour, rito ormai polveroso di socialità indotta: “Sei già dentro l’happy hour!”.