Le date da segnarsi per Brexit
Ce n'è da tenervi impegnati per più di un mese: questa settimana May tornerà a Bruxelles per trattare, mentre entro febbraio ci si aspetta un secondo "meaningful vote" (che cos'è?)
Mancano meno di due mesi alla data fissata per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e la possibilità di un’uscita senza accordo, il famoso “no deal”, appare, se non probabile, almeno possibile. Per evitare questo scenario definito da molti catastrofico, governo e Parlamento britannico avranno sette settimane per trovare una soluzione e per convincere l’Unione Europea che sia quella giusta. Dopo che per alcune settimane il grosso dei giochi era stato proprio all’interno del parlamento britannico, nei prossimi giorni è invece atteso che vengano coinvolte maggiormente le autorità europee e questa è una guida delle principali date da segnarsi per seguire quello che succederà.
7 febbraio
Questa settimana, la prima ministra britannica Theresa May tornerà a Bruxelles per presentare alle autorità europee le richieste formulate nel voto della settimana scorsa da parte del Parlamento britannico: riaprire l’accordo sull’uscita dall’Unione negoziato lo scorso novembre per modificare il meccanismo del famoso “backstop” (che trovate spiegato per bene qui). I leader delle istituzioni europee hanno ripetuto oramai una dozzina di volte che non intendono riaprire il negoziato e quindi molti sostengono che la missione di May sia destinata a fallire.
13 febbraio
Sembra molto difficile che May possa tornare immediatamente da Bruxelles con un nuovo accordo in tasca da sottoporre al voto del Parlamento. Per questo ha già annunciato che indipendentemente dal risultato dei negoziati il 13 febbraio terrà una relazione alla Camera in cui annuncerà le sue intenzioni per l’immediato futuro.
14 febbraio
Accanto alla dichiarazione, May ha promesso di depositare anche una mozione che potrà essere emendata dai parlamentari. In questo modo, la Camera avrà la possibilità di votare su quello che ritiene essere il miglior piano d’azione per il futuro, in maniera non molto differente da come aveva già fatto la scorsa settimana.
Difficile dire oggi quali mozioni potrebbero ottenere la maggioranza, ma l’ultimo voto, quello della scorsa settimana, ha fornito diverse indicazioni: i sostenitori del secondo referendum hanno raccolto pochissimo appoggio tra gli altri parlamentari e quindi hanno rinunciato a presentare un emendamento. I sostenitori di un rinvio della scadenza del 29 marzo hanno presentato un emendamento ma sono stati sconfitti. L’unico emendamento a passare è stato quello sostenuto da May e che stabiliva (in maniera non vincolante) che in caso di mancata modifica dell’accordo i sottoscrittori dell’emendamento avrebbero votato l’accordo originale raggiunto da May.
Fine febbraio
Probabilmente entro la fine del mese ci sarà un secondo “meaningful vote” cioè un voto sull’accordo vero e proprio raggiunto lo scorso novembre e poi bocciato a gennaio da una storica maggioranza parlamentare. Sin da prima del voto, May aveva fatto intuire che in caso di sconfitta la sua strategia prevedeva ripresentare lo stesso accordo una seconda volta. Dopo la sconfitta è sembrata confermare questa sua intenzione.
L’accordo che sarà sottoposto al voto per la seconda volta sarà con ogni probabilità identico a quello bocciato a gennaio, sempre che l’Unione Europea non decida di cedere e di aprire a una rinegoziazione di qualche aspetto secondario dell’accordo (ad esempio modificando la dichiarazione politica che accompagna l’accordo, invece dell’accordo vero e proprio).
La speranza di May è quella di arrivare al voto a ridosso della scadenza del 29 marzo, in modo da riuscire a persuadere un numero sufficienti di parlamentari spaventati dalla prospettiva di “no deal” per ottenere la maggioranza che non è riuscita a raggiungere lo scorso gennaio.
– Leggi anche: Cosa accadrebbe in caso di “no deal”?
Febbraio-Marzo
È difficile immaginare cosa accadrà se l’accordo sarà sconfitto nel corso di un secondo voto. May, ad esempio, potrebbe dimettersi, potrebbero essere invocate nuove elezioni, May o un altro governo potrebbero chiedere all’Unione Europea una proroga della scadenza. Oppure, May potrebbe semplicemente optare per il “no deal”, cioè accettare l’imprevedibile scenario di un’uscita senza accordo.
Se invece May dovesse vincere il suo “meaningful vote” la situazione sarebbe più chiara. Una volta ratificato l’accordo, il Parlamento avrebbe poche settimane a disposizione per approvare tutta la legislazione che questo comporta: leggi che regolino la nuova situazione dei cittadini dell’Unione nel Regno Unito, altre leggi per stanziare il denaro con cui pagare i debiti con l’Unione e altre leggi ancora per approvare le altre decine di dettagli previsti dall’accordo. Secondo molti, questa serie di voti potrebbe essere trasformata dagli oppositori interni ed esterni di May in un percorso ad ostacoli che costringerà il governo a chiedere in ogni caso una proroga della scadenza di Brexit.
29 marzo
È la data più importante di tutte, il termine ultimo entro il quale il Regno Unito lascerà l’Unione Europea a meno di una proroga votata all’unanimità da parte di tutti gli stati membri. Esattamente due anni prima, infatti, il 29 marzo del 2017, il governo May aveva invocato l’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea, quello che ha innescato il negoziato e l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Se entro questa data May sarà riuscita a far approvare il suo accordo o una versione modificata, dal giorno successivo per gli abitanti del paese non cambierà nulla: entrerà infatti in vigore un periodo di quasi due anni durante il quale tutte le attuali regole europee rimarranno in vigore ed inizierà tra Regno Unito ed Unione Europea un secondo negoziato che si concentrerà in particolare sulle relazioni commerciali ed economiche.
Se invece l’uscita dovesse avvenire senza accordo di cambiamenti ce ne saranno molti, anche se è difficile prevedere esattamente quanti e quali. Quello che sembra certo è che i porti e le strade dell’Inghilterra meridionale saranno quasi completamente invase da un gigantesco ingorgo causato dalla necessità di introdurre, dal giorno alla notte, quei controlli di frontiera che erano stati assenti per oltre 30 anni.