Cosa sta facendo Carlo Calenda?
Dice di voler costruire una lista unica che metta insieme tutti i democratici e i liberali: secondo i suoi avversari vuole prendersi il PD andando oltre il PD
L’ex ministro Carlo Calenda oggi è un semplice iscritto del Partito Democratico, e lo è da meno di un anno; nel partito non ha ruoli da dirigente né correnti, fondazioni o sostenitori organizzati. Eppure nell’ultimo anno è riuscito a diventare uno dei principali attori del partito e nel campo del centrosinistra: i suoi temi e le sue proposte sono al momento tra le poche ad alimentare discussioni e dibattiti in un momento in cui invece nella sinistra italiana apparirebbe invece tutto piuttosto immobile (a quasi un anno dalle elezioni politiche che hanno portato alle dimissioni di Matteo Renzi da segretario del PD, il nuovo segretario del partito deve ancora essere eletto: e il congresso in corso non sta ottenendo grandi attenzioni).
Calenda ci è riuscito grazie a una spiccata abilità comunicativa e al suo essere estraneo al gruppo dirigente del Partito Democratico, sfruttando la generosa attenzione che i media gli hanno concesso e approfittando della mancanza di leadership che coinvolge tutta l’area politica di centrosinistra, che da +Europa e dall’ex Scelta Civica arriva fino alla sinistra del PD. L’attivismo di Calenda nelle ultime settimane ha incrociato proprio la lunga fase congressuale del Partito Democratico, arrivando questo fine settimana al suo momento più importante.
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Alla convenzione del PD che si è svolta durante questo fine settimana – il passaggio che separa il congresso riservato agli iscritti al partito dalle primarie, aperte a tutti – Calenda è intervenuto e ha parlato secondo alcuni con un tono da segretario de facto, dicendo che il partito deve unirsi con altre forze politiche progressiste e liberali per formare un’unica lista alle prossime elezioni europee. Calenda ha chiesto quindi che alle primarie del prossimo 3 marzo gli elettori del PD vengano invitati non solo a votare per la scelta del segretario, ma che gli venga anche proposto di firmare un manifesto europeista promosso dallo stesso Calenda, “Siamo Europei“. Quando i giornalisti gli hanno chiesto chi avrebbe votato alle primarie, Calenda ha risposto che si recherà ai seggi ma che non voterà, visto che tutti e tre i candidati hanno già sottoscritto il suo manifesto.
«Il PD non basta più per niente», ha ribadito oggi Calenda in un’intervista al Corriere della Sera: «O si mette a disposizione di un progetto più ampio e convincente o rischia davvero di estinguersi». Calenda, insomma, non si presenta come possibile leader del PD ma come potenziale uomo-simbolo di qualcosa che verrà dopo il PD, inglobandolo.
È la seconda volta che Calenda ci prova, in meno di un anno. Nel giugno del 2018 aveva presentato un manifesto per un “fronte repubblicano”, pubblicato dal quotidiano Il Foglio, che però non ebbe un grande successo (aveva avuto poco successo l’anno prima anche un tentativo simile dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia). “Siamo Europei” è stata un’operazione politica studiata con maggior cura, sulla quale Calenda aveva trovato già importanti consensi prima di renderla pubblica. Nelle sue prime due settimane sembra avere avuto un discreto successo: circa 150 mila firme raccolte, tra cui i sindaci di Bologna, Milano e Firenze, alcune persone uscite dal Partito Democratico come il presidente della Toscana Enrico Rossi, e altre provenienti dell’area del centrosinistra, come l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Anche Nicola Zingaretti e Maurizio Martina, i due principali candidati alla segreteria del PD, hanno aderito genericamente al manifesto (ma senza sottoscrivere la proposta) mentre Roberto Giachetti, anche lui candidato alle primarie del PD, è apparso più freddo.
Il pensiero politico che emerge dal manifesto di Calenda ruota attorno a due punti fermi. Il primo: le forze politiche che si trovano al governo in Italia, e quelle simili in ascesa in molti paesi europei, hanno obiettivi autoritari e antidemocratici. Le prossime elezioni quindi non saranno elezioni normali, ma una vera e propria “battaglia per la democrazia”. Il secondo punto è che il modo migliore per vincere questo scontro è riunire all’interno di un’unica forza politica tutti (o quasi tutti, come vedremo tra poco) i movimenti che intendono difendere la “democrazia liberale”.
Concretamente significa che alle prossime elezioni europee Calenda vorrebbe riunire in un’unica lista PD, +Europa e Italia in Comune (il movimento fondato tra gli altri dal sindaco di Parma Federico Pizzarotti), oltre a imprenditori, accademici e altri esponenti della cosiddetta società civile che condividono il suo manifesto. Il contenuto politico oltre ai due punti sopra elencati è ancora molto vago. Calenda ha parlato spesso della necessità di ripensare lo stato sociale e riportare al centro del discorso politico coloro che si sono sentiti esclusi dai processi sociali degli ultimi anni. Su molti altri temi, dall’Europa all’immigrazione, la sua posizione rimane quella di un convinto centrista liberale.
Calenda ha più volte ripetuto che intende il suo manifesto “Siamo Europei” come una sorta di servizio offerto alla sua area politica di appartenenza, e non come un veicolo di promozione personale. In più di un’occasione però ha fatto capire di sentirsi il “leader” naturale di questa lista. Pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto, per esempio, ha chiarito che la forza politica che ha in mente ha confini molto chiari personalmente stabiliti da lui stesso: a destra ci si fermerà prima di Forza Italia, mentre a sinistra saranno esclusi Liberi e Uguali e chi si trova più a sinistra.
Secondo Calenda e i suoi sostenitori i sondaggi danno la lista “Siamo Europei” tra il 20 e il 24 per cento alle prossime elezioni, mentre più dell’80 per cento degli elettori del PD e di +Europa sosterrebbero il suo progetto. I dirigenti e militanti di questi partiti però non sono altrettanto convinti che quella di Calenda sia la strada migliore da seguire. Nel PD, per esempio, molti sembrano guardare all’operazione con un certo fastidio e a considerare il suo “Siamo Europei” come un tentativo di conquistare il partito senza passare per le primarie. «Il manifesto di Calenda non è il Vangelo», ha detto per esempio Patrizia Toia, capogruppo del PD al Parlamento europeo, in un’intervista a Repubblica: «Quando sarà eletto il segretario, il partito deciderà le forme e i modi con cui correre alle europee».
Calenda si è personalmente scontrato con Toia per via di un manifesto europeista molto simile al suo promosso dagli europarlamentari del PD (lo trovate qui). Secondo Calenda questo manifesto sarebbe un attacco a “Siamo Europei” di cui domenica l’ex ministro ha minacciato di «prendere atto». I giornali riferiscono che l’incidente è stato risolto da una telefonata tra Calenda e il candidato segretario Nicola Zingaretti, considerato da Calenda l’ispiratore della manovra contro di lui.
Oggi andrò alla convenzione @pdnetwork. Se il documento dei parlamentari europei PD rimaneggiato nelle ultime ore da @GoffredoBettini si confermerà nei contenuti come un’operazione costruita contro #SiamoEuropei ne prenderò atto. Non possiamo combattere su 10 fronti. #chiarezza
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) February 3, 2019
Nonostante l’incidente sia stato apparentemente risolto, gli interventi dei tre candidati all’assemblea di domenica hanno fatto pensare a molti che i rapporti tra Calenda e il PD stiano effettivamente peggiorando mano a mano che le primarie si avvicinano. Alessandro Di Matteo, sulla Stampa, ha notato che nei loro interventi i tre candidati alla segreteria – Zingaretti, Martina e Giachetti – hanno usato per Calenda e la sua iniziativa espressioni come «contributo utile e importante» e altre che nel linguaggio della politica sono «un modo gentile per cominciare a prendere le distanze».
Mentre il PD appare cautamente avviato verso il distacco da Calenda, altri hanno già deciso di non seguire la strada indicata dal manifesto “Siamo Europei”. Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, ha detto che il suo partito si presenterà da solo e con il suo simbolo alle elezioni europee. Emma Bonino, fondatrice e punto di riferimento del partito, ha appoggiato la scelta spiegando che in elezioni basate sul sistema proporzionale, come le europee, è meglio andare divisi in tanti partiti ognuno con la propria identità piuttosto che uniti in un’unica lista anonima. Calenda ha risposto freddamente ricordando che c’è un altissimo rischio che +Europa e Italia in Comune non passino la soglia di sbarramento, che alle europee è prevista al 4 per cento, finendo per non eleggere nessuno con i loro voti.