Perché l’UE non vuole più negoziare l’accordo su Brexit?
Per non rimettere in discussione il "backstop", fortemente voluto dall'Irlanda, e per una questione di credibilità, tra le altre cose
Martedì sera il Parlamento britannico ha votato una serie di emendamenti su Brexit, dopo che lo scorso 15 gennaio aveva bocciato a larghissima maggioranza l’accordo trovato tra il governo di Theresa May e i negoziatori europei. Il Parlamento, che su Brexit è profondamente diviso, si è trovato d’accordo su due punti: che il governo dovrà fare tutto il possibile per evitare il “no deal“, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza accordo, scenario considerato da molti catastrofico; e che dovrà tornare a Bruxelles per rinegoziare il “backstop“, il meccanismo inserito nell’accordo tra May e UE per evitare la creazione di un “confine rigido” tra Irlanda e Irlanda del Nord.
C’è un problema però: il “backstop” – che è frutto di una lunga e complicata mediazione tra le parti – viene considerato «non rinegoziabile» dall’Unione Europea, così come tutto il resto dell’accordo. Lo dicono da settimane tutti i leader europei (con qualche eccezione, ma per ora poco rilevante) e lo hanno ribadito martedì sera il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Mercoledì sera il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha detto che l’accordo tra May e i negoziatori europei «è il migliore e l’unico possibile».
Se l’UE non accettasse di rinegoziare l’accordo e il Parlamento britannico restasse fermo sulle sue posizioni, quindi continuando a rifiutare l’intesa raggiunta tra May e UE, aumenterebbero le possibilità di arrivare al 29 marzo, data fissata per Brexit, senza alcun accordo, concretizzando il temuto scenario “no deal”.
Mancano 58 giorni al 29 marzo e la domanda che in molti si fanno è: perché l’Unione Europea si oppone in maniera così categorica a rinegoziare l’accordo? Ci sono almeno quattro ragioni, ma prima si deve partire dalla definizione di “backstop”.
Cos’è il “backstop”
L’accordo trovato tra May e UE stabilisce che dopo il 29 marzo Regno Unito e UE entrino in un periodo di transizione di due anni (prolungabile), durante il quale saranno in vigore le attuali regole europee. Durante questo periodo, le due parti negozieranno nuovi trattati per regolare i loro rapporti post-Brexit. Entrambi si sono detti d’accordo sul fatto che una delle priorità dei futuri trattati dovrà essere quella di evitare la creazione di un “confine rigido” tra Irlanda e Irlanda del Nord, che dopo Brexit diventerà anche il confine tra Regno Unito e Unione Europea. Per questo nell’accordo su Brexit è stato inserito il “backstop”, un meccanismo di emergenza che si attiverà solo nel caso in cui alla fine del periodo di transizione le due parti non saranno riuscite a trovare un accordo che garantisca un confine permeabile tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Evitare il “confine rigido” è una priorità per l’Irlanda, paese membro della UE. La questione non è solo economica – il gran passaggio di merci e persone attraverso il confine Irlanda-Irlanda del Nord – ma anche e soprattutto politica. Per decenni l’Irlanda del Nord è stata attraversata da una sanguinosa guerra civile tra gruppi cattolici che volevano l’unione con la Repubblica d’Irlanda e gruppi protestanti favorevoli a restare nel Regno Unito. Uno degli architravi degli accordi di pace che negli anni Novanta misero fine al conflitto è la creazione di un confine aperto e facile da attraversare. Questo confine potrebbe venire meno in caso di applicazione di rigide regole doganali.
Torniamo quindi alla domanda iniziale. Perché l’UE non vuole rinegoziare l’accordo, e tantomeno il “backstop”? Quattro ragioni, dicevamo.
Prima. L’accordo trovato tra UE e May è stato il risultato di mesi di difficili e faticosi negoziati, una specie di incastro perfetto tra esigenze molto diverse.
In particolare il “backstop”, cioè il passaggio dell’accordo che il Parlamento britannico vorrebbe modificare, è frutto di molte concessioni da entrambe le parti (più dalla parte del Regno Unito, comunque). Per l’Unione Europea rimetterlo in discussione sarebbe possibile solo il Regno Unito mostrasse la disponibilità a cedere su un altro punto dell’accordo altrettanto importante, come il mercato unico o l’unione doganale, cosa però che i negoziatori britannici hanno sempre escluso. Uno degli obiettivi principali di buona parte dei sostenitori di Brexit, infatti, è quello di rendere il governo britannico libero di firmare accordi commerciali con paesi terzi, scenario che non sarebbe possibile nel caso di permanenza del Regno Unito nell’unione doganale e nel mercato unico europeo.
Seconda. Il Parlamento britannico ha votato a maggioranza di modificare il “backstop”, ma non ha detto niente su come modificarlo. Anche se l’UE decidesse di cedere sul primo punto, quindi accettare di rinegoziare il “backstop” senza nulla in cambio, non ci sarebbe una nuova versione del “backstop” in grado di mettere d’accordo la maggioranza dei parlamentari britannici.
Per alcuni parlamentari, come i sostenitori della “hard Brexit” (una “Brexit dura”), il problema del “backstop” è che obbliga il Regno Unito a rimanere nell’unione doganale, condizione che viene considerata inaccettabile e un tradimento delle promesse fatte in campagna elettorale. Altri parlamentari, però, la pensano diversamente e non si oppongono in maniera così categorica alla permanenza del Regno Unito nell’unione doganale: sono quelli favorevoli a una “soft Brexit” o “Norway plus”, che prevede per esempio la possibilità di rimanere di fatto nel “mercato unico” senza essere costretti ad adottare alcune particolari politiche comuni e sottostare alla giurisdizione della Corte di giustizia dell’UE.
Data la situazione, perché l’Unione Europea dovrebbe accettare di riaprire i negoziati quando mancano sia una proposta alternativa sia la certezza che un eventuale nuovo accordo venga approvato dal Parlamento britannico, a causa delle sue divisioni interne?
Terza. Rifiutare di rinegoziare il “backstop”, soprattutto in mancanza di proposte concrete alternative o disponibilità del Regno Unito a fare altre concessioni, ha un significato particolare per l’UE in quanto istituzione: vuol dire mostrare di tenere più agli stati che hanno scelto di rimanere, come l’Irlanda, rispetto a chi ha scelto di andarsene, il Regno Unito, nonostante quest’ultimo sia più ricco e influente. L’Irlanda è il paese che ha insistito di più affinché l’UE inserisse il meccanismo del “backstop” all’interno dell’accordo su Brexit, di modo da assicurarsi che per nessuna ragione tra Irlanda e Irlanda del Nord si crei di nuovo un “confine rigido”, come negli anni del conflitto.
Il punto è che l’obiettivo primario dell’UE è la propria sopravvivenza, un tema molto discusso negli ultimi anni a causa della crescita di movimenti antieuropeisti e partiti politici euroscettici.
Brexit è sicuramente una delle sfide più grandi che l’UE ha dovuto affrontare nel corso della sua storia, ma non è l’unica. Di recente ci sono stati diversi momenti complicati per le istituzioni europee: per esempio la ribellione al modello di democrazia liberale in Polonia e Ungheria, e la dichiarazione unilaterale di indipendenza del governo catalano guidato dall’ex presidente Carles Puigdemont, che nell’ottobre 2017 annunciò la secessione della Catalogna dalla Spagna. Di fronte a queste sfide, le istituzioni europee hanno sempre cercato di “fare blocco”, cioè di schierarsi dalla parte di chi voleva rimanere nell’organizzazione, alle regole dell’organizzazione, cercando di far pagare un costo sufficientemente alto a chi invece voleva andarsene o voleva qualcosa che metteva a rischio gli equilibri esistenti.
Quarta. C’è infine una questione di credibilità. L’Unione Europea dice da tempo che i negoziati sono finiti e cambiare idea ora, senza oltretutto avere alcuna garanzia dal governo britannico, potrebbe indebolirla molto. I leader europei sanno di essere in una posizione di forza, anche solo per il fatto di avere trovato una linea comune e di essere in grado di sostenerla; al contrario il Regno Unito si è mostrato scostante, litigioso e diviso, e potrebbe essere la parte più danneggiata da un eventuale scenario di “no deal”.
Per tutte queste ragioni, l’UE deciderà probabilmente di rifiutare la richiesta di Theresa May di rinegoziare il “backstop”. Se May non riuscirà a ottenere un nuovo accordo, si dovrà presentare di nuovo al Parlamento britannico il 13 febbraio e dovrà spiegare le sue intenzioni, su cui i parlamentari voteranno il giorno successivo.