Cos’è il “backstop”, spiegato
Come funziona il meccanismo inserito nell'accordo su Brexit che vuole evitare la creazione di un "confine rigido" tra Irlanda e Irlanda del Nord, e perché è così contestato
La parola “backstop” è una delle più usate quando si parla dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea: si può tradurre come “rete di protezione” e diversamente da quanto si potrebbe pensare non arriva dalla politica, ma dal baseball, uno sport che in Europa non è particolarmente popolare. Il “backstop” indica il meccanismo che entrerà in vigore alla fine del 2020 (o più avanti, se venisse deciso diversamente) nel caso in cui Regno Unito e UE non troveranno un accordo complessivo sui loro rapporti post-Brexit che garantisca l’esistenza di un confine non rigido tra Irlanda (paese membro dell’UE) e Irlanda del Nord (regione del Regno Unito).
Il “backstop” è uno dei passaggi più complicati e criticati dell’accordo trovato lo scorso novembre tra il governo britannico di Theresa May e i negoziatori europei, e poi bocciato a larghissima maggioranza dal Parlamento britannico. Il 29 gennaio lo stesso Parlamento ha approvato un emendamento non vincolante che chiede al governo May di rinegoziare il “backstop” con l’UE, proposta che però i leader europei hanno escluso prima ancora di iniziare a discuterne. Ma cos’è esattamente il “backstop” e perché è diventato il centro delle discussioni delle ultime settimane su Brexit?
Perché si è voluto inserire il “backstop”
L’accordo su Brexit trovato tra May e UE, quello poi bocciato dal Parlamento britannico, stabilisce che dopo il 29 marzo si entri in un periodo di transizione di due anni (prolungabile), durante il quale tutte le attuali regole europee rimarranno in vigore: in questo periodo Regno Unito e UE cercheranno di concludere i complicati accordi commerciali per regolare i loro rapporti post-Brexit (ovviamente tutto questo succederà se UE e Regno Unito troveranno un primo accordo: in caso contrario, si arriverebbe subito allo scenario di “no deal“).
Durante i negoziati degli ultimi mesi, entrambe le parti si erano dette d’accordo sul fatto che una delle priorità dei futuri trattati doveva essere quella di evitare a tutti i costi la creazione di un “confine rigido” tra Irlanda e Irlanda del Nord, che dopo Brexit diventerà anche il confine tra Regno Unito e Unione Europea. La questione non era solo economica – il gran passaggio di merci e persone attraverso il confine Irlanda-Irlanda del Nord – ma anche e soprattutto politica. Per decenni l’Irlanda del Nord fu attraversata da una sanguinosa guerra civile tra gruppi cattolici che volevano l’unione con la Repubblica d’Irlanda e gruppi protestanti favorevoli a restare nel Regno Unito. Uno degli architravi degli accordi di pace che negli anni Novanta misero fine al conflitto fu la creazione di un confine aperto e facile da attraversare. Questo confine potrebbe venire meno in caso di applicazione di rigide regole doganali, uno scenario che soprattutto l’Irlanda voleva evitare.
Regno Unito e UE hanno così inserito nell’accordo il “backstop”, un meccanismo di emergenza che si attiverà solo nel caso in cui alla fine del periodo di transizione le due parti non saranno riuscite a firmare nuovi trattati in grado di garantire un confine non rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Nella sostanza, il “backstop” prevede che il Regno Unito rimanga nell’unione doganale a tempo indefinito, a meno che le due parti si accordino per una sua uscita. Prevede inoltre regole speciali per l’Irlanda del Nord, che sarà più integrata nel “mercato unico europeo” rispetto al resto del Regno Unito: in altre parole, per quanto riguarda le merci, è come se il confine tra UE e Regno Unito verrà spostato dalla linea che corre tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda al tratto di mare che separa l’Irlanda e la Gran Bretagna.
I negoziati
Inizialmente l’UE aveva proposto che l’Irlanda del Nord rimanesse anche dopo Brexit sia nell’unione doganale che nel mercato unico europeo: in questo modo, pensavano i negoziatori europei, si sarebbe evitato qualsiasi rischio di creazione di un “confine rigido” tra Irlanda e Irlanda del Nord. La proposta però non piacque a Theresa May, che sostenne che nessun leader del Regno Unito avrebbe accettato che una parte del Regno Unito fosse trattata costituzionalmente ed economicamente in maniera diversa dal resto del paese. Il rischio di una soluzione del genere, dissero i negoziatori britannici, era che si creasse una specie di “confine rigido” nel Mare d’Irlanda, cioè tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna.
Le due parti trovarono quindi una soluzione intermedia sul “backstop”. L’unione doganale, inizialmente prevista solo per l’Irlanda del Nord, sarebbe stata estesa a tutto il Regno Unito, di modo da non creare troppe differenze tra le varie regioni del paese. All’Irlanda del Nord sarebbe stato garantito comunque uno status diverso, perché sarebbe rimasta di fatto all’interno del “mercato unico europeo” per quanto riguarda lo scambio delle merci.
Cosa viene contestato del “backstop”
Diverse cose, ma due più di altre. La prima è che non ha una scadenza e l’unione doganale prevista dal “backstop” potrà terminare solo con il consenso reciproco di Regno Unito e UE. I sostenitori di una “hard Brexit”, soprattutto i conservatori che fanno parte dell’organizzazione parlamentare European Research Group, dicono che questa condizione rischia di legare in maniera indefinita il paese all’UE, impedendogli in futuro di concludere liberamente accordi commerciali con paesi terzi. In sostanza, sostengono che non sarebbe una vera Brexit.
La seconda è che il “backstop” prevede regole speciali per l’Irlanda del Nord, che sarà più integrata nel “mercato unico europeo” rispetto al resto del Regno Unito. L’idea che l’Irlanda del Nord riceva un trattamento diverso dal resto del paese è inaccettabile per moltissime forze politiche britanniche. Gli scozzesi del SNP, ad esempio, hanno minacciato un nuovo referendum sull’indipendenza se non venisse garantito loro lo stesso trattamento riservato ai nordirlandesi. Il DUP, il partito nazionalista nordirlandese favorevole all’integrazione con il Regno Unito, una formazione piccola ma che al momento garantisce la maggioranza al governo conservatore di Theresa May, è contrario per le ragioni opposte. Teme che differenziare il trattamento ricevuto dall’Irlanda del Nord rispetto al resto del paese sia il primo passo per separare la regione dal Regno Unito e integrarla nella Repubblica d’Irlanda.