Sono veri i numeri di Salvini sull’immigrazione?
Li ha dati in una lettera al Corriere e sono corretti, ma se contestualizzati hanno un significato diverso da quello che suggerisce lui
Martedì il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera del ministro dell’Interno Matteo Salvini sul cosiddetto “caso Diciotti“, per il quale Salvini è accusato di sequestro di persona a scopo di coazione, omissione di atti d’ufficio e arresto illegale. Oltre a commentare la vicenda giudiziaria, chiedendo di non essere processato, Salvini ha messo in fila un po’ di numeri sull’immigrazione, interpretandoli come un successo del suo governo.
Avevo detto che avrei contrastato l’immigrazione clandestina e difeso i confini nazionali. Faccio parlare i numeri. Nel 2018 ci sono stati meno morti, 23.370 sbarchi contro i 119.369 dell’anno precedente. Il trend è confermato anche dalle prime settimane del 2019. Dall’inizio dell’anno a ieri si sono registrati 155 arrivi sulle nostre coste. Nello stesso periodo di un anno fa gli sbarchi furono 3.176. Non solo. Per la prima volta dopo anni, i rimpatri (306) sono superiori agli arrivi. E ancora. Nel 2018 gli immigrati in accoglienza erano 183 mila, oggi scesi a 133 mila. Calano gli immigrati, aumentano i risparmi. Risultato: abbiamo liberato risorse significative, subito investite per un piano di assunzioni straordinario per circa 8 mila donne e uomini delle forze dell’ordine.
I numeri elencati da Salvini provengono dai dati raccolti e elaborati dall’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e dal ministero dell’Interno italiano: sono corretti, ma per essere capiti devono essere contestualizzati. Una volta contestualizzati e interpretati, assumono un significato diverso da quello suggerito da Salvini e mostrano come diverse sue affermazioni recenti sull’immigrazione siano imprecise, false o discutibili.
Sbarchi
Salvini dice che nel 2018 sono sbarcati sulle coste italiane 23.370 migranti, contro i 119.369 del 2017, e aggiunge che il trend è confermato anche dalle prime settimane del 2019, quando si sono registrati 155 arrivi; nello stesso periodo del 2018 gli arrivi erano stati 3.176.
I numeri di Salvini sono corretti, ma vanno spiegati. Per valutare l’efficacia delle politiche migratorie dell’attuale governo, come vorrebbe fare Salvini, non ha molto senso prendere come riferimento i dati di tutto il 2018, perché nei primi mesi di quell’anno il governo era di centrosinistra e il presidente del Consiglio era Paolo Gentiloni (PD). Il calo degli sbarchi era già iniziato infatti con il governo Gentiloni, quando al ministero dell’Interno c’era Marco Minniti (PD), che aveva adottato i cosiddetti “decreti Minniti” e aveva concluso un controverso accordo con alcune milizie libiche che tra le altre cose si occupavano di traffico di esseri umani. Per interpretare al meglio i dati di Salvini, quindi, è più corretto confrontare il numero degli sbarchi in tre diversi periodi, come fece l’ISPI alla fine di settembre dello scorso anno: quello precedente alle “politiche Minniti” (16 luglio 2016-15 luglio 2017); quello delle “politiche Minniti” (16 luglio 2017-maggio 2018); e quello delle “politiche Salvini” (giugno 2018-gennaio 2019).
Nel primo periodo gli sbarchi erano 532 al giorno, nel secondo 117 e nel terzo 43: come si vede dai numeri, il crollo degli sbarchi decisamente più significativo si è verificato con le “politiche Minniti” (-78 per cento); con Salvini il trend negativo è proseguito, ma in maniera minore.
Morti
Sui migranti morti nel Mediterraneo centrale Salvini non dà numeri, ma si limita a dire che «ci sono stati meno morti». È un’affermazione molto discutibile, per diverse ragioni.
Primo: anche se in numeri assoluti nel 2018 ci sono stati meno morti rispetto al 2017 (1.311 contro 2.872, secondo i dati dell’UNHCR), la rotta del Mediterraneo centrale è diventata più pericolosa: ci sono più morti, e non meno, in proporzione a quanti partono. Nel mese di giugno 2018 si era registrato un morto per ogni 7 persone che tentavano la traversata; nei primi sei mesi del 2018 i morti erano stati invece uno per ogni 19, il doppio che nel 2017. Come segnalato dall’ISPI, inoltre, durante il periodo delle “politiche Salvini” il numero di migranti morti in media ogni giorno nel Mediterraneo centrale è stato per diversi mesi superiore a quello fatto registrare nel periodo delle “politiche Minniti”. In altre parole: nel periodo delle “politiche Salvini” tentare la traversata nel Mediterraneo centrale è diventato molto più pericoloso di prima, soprattutto a causa delle politiche anti-ong del governo Lega-M5S.
Secondo: le politiche anti-ong del governo, che hanno di fatto costretto quasi tutte le navi che prestavano soccorso ai migranti a terminare le proprie attività o a spostarsi in altri tratti del Mar Mediterraneo, hanno influito anche sul monitoraggio dei naufragi. Non essendoci più le ong a verificare la presenza di eventuali imbarcazioni in difficoltà di fronte alle coste libiche, si presume che negli ultimi mesi molte persone siano morte senza che arrivassero segnalazioni alle autorità competenti. Diversi soccorsi sono per esempio effettuati dalla cosiddetta “Guardia costiera libica”, che però è stata accusata di non rispondere alle chiamate di emergenza, di non intervenire in maniera tempestiva e in alcuni casi di lasciare annegare i migranti in mare.
Rimpatri
Salvini dice che «per la prima volta dopo anni, i rimpatri (306) sono superiori agli arrivi», un’affermazione che però non dà nessuna indicazione rispetto alle tendenze del passato. A vedere i numeri, invece, le politiche di Salvini non sembrano essere state finora così efficaci.
I rimpatri erano stati il punto centrale del discorso di Salvini sull’immigrazione, che in campagna elettorale ne aveva promessi mezzo milione. Nel 2018, però, i rimpatri completati dall’Italia sono stati circa 5mila, un numero piuttosto esiguo e soprattutto inferiore a quello fatto registrare nel 2017, 6.514. Nei primi mesi del governo Lega-M5S, inoltre, il numero di rimpatri è stato inferiore a quello riferito agli stessi mesi dell’anno precedente. Salvini finora non ha stipulato alcun nuovo accordo sui rimpatri con i paesi d’origine, cioè quelli da cui provengono i migranti. A fine ottobre il ministero dell’Interno aveva annunciato lo stanziamento di 12 milioni di euro per i rimpatri volontari assistiti, cioè progetti a favore di cittadini stranieri che si trovano irregolarmente sul territorio italiano o che pur essendo regolari vogliono tornare nel loro paese d’origine; Salvini ha inoltre detto che nei prossimi mesi si impegnerà a rafforzare gli accordi esistenti sui rimpatri e a farne di nuovi.
Accoglienza
Salvini ha detto: «nel 2018 gli immigrati in accoglienza erano 183mila, oggi scesi a 133mila. Calano gli immigrati, aumentano i risparmi».
Gli immigrati in accoglienza, però, sono calati non perché siano stati rimpatriati – come abbiamo visto il numero di rimpatri non è aumentato – ma perché sono stati semplicemente espulsi dai centri di accoglienza come conseguenza del cosiddetto “decreto sicurezza“, approvato in via definitiva dalla Camera lo scorso novembre. Tra le altre cose, il “decreto sicurezza” ha escluso dall’accoglienza migliaia di persone che sono in Italia regolarmente grazie al permesso umanitario, e che però con le nuove regole non possono più entrare nel circuito della seconda accoglienza, quello degli SPRAR. Espellerli dai centri di accoglienza significa farli finire per strada, escluderli dai processi di integrazione e renderli più vulnerabili.
Una delle conseguenze di rendere “irregolari” migranti che oggi sono “regolari”, per esempio consegnando dei decreti di espulsione e chi oggi è in possesso di un permesso umanitario, è inoltre aumentare il numero di “irregolari” in Italia, proprio il contrario di quello che continua a promettere Salvini.