Il Parlamento britannico prova a prendere il controllo di Brexit
Oggi i deputati voteranno su una serie di emendamenti che potrebbero portare il governo a cambiare i suoi piani
Questa sera alle 20 ora italiana il Parlamento britannico proverà a togliere al governo di Theresa May la guida del processo che condurrà all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Per farlo, i deputati voteranno su una serie di emendamenti che potrebbero influenzare e, in alcuni casi, obbligare il governo britannico a seguire una strada che altrimenti non avrebbe percorso.
Il Parlamento sta cercando di prendere la guida di Brexit dopo che lo scorso 16 gennaio i deputati avevano respinto a larghissima maggioranza l’accordo raggiunto da May con l’Unione Europea. A votare contro erano stati sia i deputati favorevoli a rimanere nell’Unione sia i cosiddetti “hard Brexiteers”, i deputati che considerano l’accordo troppo favorevole all’Europa e che pur di uscire sono disposti ad accettare un “no deal“, un’uscita senza accordo piena di rischi e incertezze (qui una guida a chi sostiene cosa su Brexit).
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In tutto è stata depositata una dozzina di emendamenti in vista del voto di questa sera (li trovate qui spiegati da BBC). Sarà lo speaker John Bercow, l’equivalente del nostro presidente della Camera, a decidere quali potranno essere discussi e votati (Bercow è un personaggio eccentrico diventato piuttosto famoso e centrale in queste settimane). Nessuno degli emendamenti è vincolante per il governo, ma la loro eventuale approvazione avrà l’effetto di mettergli parecchia pressione.
L’eccezione a questa regola è l’emendamento presentato dalla laburista Yvette Cooper con lo scopo dichiarato di scongiurare l’eventualità di un “no deal”. Se fosse approvato, l’emendamento porterebbe attraverso una procedura relativamente contorta al voto su una legge che, una volta approvata, obbligherebbe il governo a chiedere all’Unione Europea di rimandare Brexit di alcuni mesi se non dovesse riuscire ad approvare un accordo (in base ai termini attuali il Regno Unito sarà automaticamente fuori dall’Unione Europea passata la mezzanotte del 29 marzo).
Per funzionare, però, questo piano ha bisogno che l’emendamento Cooper venga approvato e che una serie di votazioni successive raggiungano la maggioranza (il successo, insomma, non è garantito). Cooper può contare sul voto di parecchi laburisti e di alcuni conservatori, ma sembra difficile che il suo emendamento possa ottenere la maggioranza senza un esplicito appoggio del resto del partito, che però per il momento sembra piuttosto restio a concederlo (la posizione dei Laburisti su Brexit è da tempo abbastanza ambigua).
Un altro emendamento importante – e con più possibilità di passare – è l’emendamento “Brady”, dal nome del capogruppo del Partito Conservatore Graham Brady. Diverse fonti indicano che la stessa prima ministra May ha dato indicazioni di sostenerlo. Brady richiede al governo di modificare il “backstop”, una sorta di meccanismo di sicurezza introdotto nell’accordo negoziato da May con l’Unione Europea che serve a evitare uno scenario simile al “no deal” nel caso in cui la seconda fase di negoziati prevista dall’accordo dovesse fallire.
Il “backstop” è una delle principali ragioni che hanno spinto più di cento deputati conservatori e alleati del governo May a votare contro l’accordo lo scorso 16 gennaio. L’emendamento Brady chiede al governo di impegnarsi a modificare l’accordo in modo che le parti più controverse del backstop vengano rimosse. In caso di fallimento di questo tentativo, l’emendamento prevede di sostenere l’accordo originale raggiunto da May.
Secondo la stampa britannica, la prima ministra May intende usare l’emendamento Brady per ridurre le fila dei suoi nemici. L’emendamento infatti è pensato per attirare il voto di chi era critico nei confronti dell’accordo, proponendo un ultimo tentativo di modificarlo, senza però al contempo compromettere la posizione di May. La speranza della prima ministra, scrivono i giornali, è che a votare contro l’emendamento siano soltanto i più convinti tra i suoi avversari interni. Se i 100 e più dissidenti del 16 gennaio potessero essere ridotti a qualche decina, May potrebbe sperare di riuscire a ottenere una maggioranza quando dovrà tornerà a chiedere il voto sull’accordo, probabilmente intorno alla metà di febbraio.