Il censimento dei radical chic
Il nuovo libro di Giacomo Papi immagina, con umorismo e tempismo, un'Italia dove gli intellettuali sono perseguitati e schedati
In un momento in cui si discute moltissimo della crisi delle élite, dell’ascesa del populismo e dell’incapacità della classe intellettuale di mantenere il secolare ruolo di guida, è uscito per Feltrinelli Il censimento dei radical chic, il nuovo libro dello scrittore Giacomo Papi, che affronta questi temi in modo umoristico ma calzante. Il libro immagina un’Italia trascinata dalla rabbia della gente comune, manipolata da un astuto primo ministro che ne sfrutta le paure e le passioni, e incattivita verso gli intellettuali, visti come parassiti che la vogliono incantare. Il clima nazionale porta all’uccisione di uno di loro, il professor Giovanni Prospero, colpevole di aver citato Spinoza in un talk show. Il governo ne approfitta per istituire un “registro degli intellettuali”, per proteggerli e schedarli, e lancia una campagna di semplificazione della lingua e del pensiero, con nuove grammatiche, ministeri dell’Ignoranza e censori.
Di seguito potete leggere i capitoli 11 e 21, mentre il primo lo trovate qui.
Il libro, la cui pubblicazione è immaginata in questa Italia potenzialmente futura, è descritto come “approvato dall’Autorità garante per la Semplificazione della Lingua italiana”, come indicano anche le note correttive del Funzionario Redattore Ugo Nucci, Frun.
Oltre che scrittore, Giacomo Papi è anche autore televisivo, direttore della scuola di scrittura Belleville di Milano e della piattaforma di scrittura e lettura Typee; e collaboratore del Post.
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Capitolo 11
“Il mio problema è la noia, dottore.”
La vocina del ministro risuonava nell’ombra, calma ma percorsa da impercettibili fremiti d’ansia. Frequentava lo psicoterapeuta ogni giovedì pomeriggio, e parlava sdraiato su una dormeuse in stile Impero 17, senza mai fermarsi.
“Da quando ho capito come funzionano gli uomini, non mi diverto più.” Lo psicoterapeuta spostò il sedere sulla sedia. Quel paziente lo metteva a disagio da sempre perché era troppo intelligente per farsi incantare dai termini tecnici o per accontentarsi della banalità. Però, ogni tanto, doveva pur intervenire con qualche domanda professionale:
“Si ricorda quando ha capito come funzionano gli uomini?”.
Il ministro finì con calma di grattarsi la coscia sotto il sedere, dopodiché si ricompose e ridacchiò:
“Da ragazzino. Ero andato a fare i compiti dalla mia amica Olivia quando arrivò un altro bambino, una specie di cugino se non ricordo male, aveva un paio di anni meno di noi, si chiamava Jorma o Beda o Cosma… Uno di quei nomi da figlio di intellettuali di sinistra, ha presente?”.
Lo psicologo aveva presente. Si chiamava Giaime.
Il ministro alzò un ginocchio per grattare anche quello: “Avevo appena imparato un trucco di magia, quello che ti fa indovinare il numero che un altro ha pensato. Ha presente?”.
Lo psicologo non aveva presente e lo confessò. Il ministro spiegò:
“Si chiede a qualcuno di pensare un numero senza dirlo, poi gli si fa sommare un altro numero, per esempio 7, e sottrarre 3, aggiungere 20, togliere 10 e così via, e intanto si calcola mentalmente l’operazione che gli si chiede di fare senza considerare il numero iniziale. Alla ne gli si dice: ‘Adesso sottrai il numero che hai pensato’, in modo che il risultato sia la somma che hai deciso tu, non quella con il numero che ha pensato, ma il cretino non lo capisce e crede che tu gli leggi nel pensiero…”
Lo psicologo si era perso. In matematica e in magia era stato sempre scarsissimo. Il ministro gongolava.
“Doveva vederlo, Beda, o come diavolo si chiamava! Anche Olivia mi fissava piena di ammirazione. Feci da capo il trucco e, ogni volta che indovinavo, allo scemo gli crollava la mascella, come nei fumetti. Sentii che era in mio potere e che avrei potuto ordinargli di fare qualsiasi cosa.”
“Le dava piacere?” chiese lo psicologo.
“Un piacere sublime,” ridacchiò ancora il ministro, “il più grande che abbia mai provato.” Poi inspirò profondamente con il naso, quasi volesse riempire d’aria il vuoto che gli si era formato al centro del corpo, e si grattò la testa. Lo psicologo, intanto, si fissava le unghie, pensando che quella sera stessa avrebbe dovuto limarle.
“Diamo troppa importanza ai singoli,” disse il ministro, “invece, mi creda, non contano. L’uomo è un animale sociale. Ha mai osservato una folla durante una partita di calcio?” Lo psicologo trasalì perché con gli estranei e i pazienti non parlava mai della sua passione per l’Inter. Quando aveva cominciato a esercitare, era considerato disdicevole che un intellettuale amasse il calcio.
“Allo stadio mi ci portava mio padre da piccolo,” continuò il ministro, “ma a me non piaceva, io il calcio lo odiavo, così osservavo il pubblico. E guardando gli spettatori ho imparato che quando il pallone è lontano, le mani brulicano come un formicaio, ma quando l’azione si avvicina alla porta, le mani si immobilizzano tutte insieme.”
Nel silenzio che seguì lo psicologo osservò il pulviscolo danzare nel raggio di luce che filtrava da una fessura tra le tende. Il paziente continuò il monologo:
“Ci siamo illusi di essere liberi, invece le nostre emozioni hanno un andamento statistico. Gli uomini si muovono a sciami”.
Il ministro tacque di nuovo, poi sospirò:
“Lei lo sa perché gli intellettuali sono così importanti?”. Lo psicologo non lo sapeva, ma sapeva che era una domanda retorica e non doveva rispondere.
“E lo sa perché sono pericolosi?”
Lo psicologo non aveva mai pensato che potessero esserlo. La voce flautata del ministro riprese a vagare per la stanza:
“Perché le emozioni sono facili, elementari. Se impari i trucchi, le puoi governare, mentre i pensieri rimangono liberi, vanno dove dicono loro e complicano le cose. Dove comanda la ragione, la statistica muore”.
17 Sostituire “dormeuse in stile Impero” con un più generico, ma molto più popolare, “divanetto”. Frun
Capitolo 21
Dopo mesi di frenetica attività, la Commissione ministeriale per la Semplificazione Popolare della Lingua Italiana e la Sottocommissione per la Semplificazione popolare della Sintassi della Lingua Italiana annunciarono che la prima fase del loro lavoro poteva dirsi conclusa. La Nuova Grammatica della Lingua Italiana, uno snello manuale di appena 57 pagine, naturalmente disponibile anche online, stava per essere mandato in stampa ed essere distribuito gratuitamente ai cittadini. Conteneva misure assai popolari, come l’abolizione per decreto del congiuntivo in ogni sua forma e accezione, dei trapassati prossimi e remoti, della distinzione tra predicato nominale, attributo e apposizione (che nessuno in Italia aveva mai davvero capito) e dei segni d’interpunzione tutti “d’ora innanzi sostituiti dai tanto più espressivi e pratici emoticons Y”. Fu altresì intrapresa un’energica azione di facilitazione sintattica per scoraggiare l’ipotassi, cioè la strutturazione del discorso in periodi subordinati disposti su livelli multipli, a beneficio della paratassi, che consiste nell’attitudine a scrivere, parlare e pensare solo per frasi principali (ma spiegare la misura agli italiani si dimostrò talmente difficile che, dopo un paio di frustranti tentativi, ci si risolse a lasciare fare confidando nel fatto che la semplificazione sarebbe sopravvenuta spontaneamente).
La sottocommissione preposta approvò un’apposita tabella con le pene per i trasgressori, cioè per chi si fosse ostinato a parlare difficile: chi, per esempio, avesse citato in francese il filosofo Louis Althusser sarebbe andato incontro a una punizione molto più severa del povero cristo sorpreso a cantare per strada “Trottolino amoroso du du du da da da” oppure “gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”.
Nonostante l’ingaggio di altri cinquecento scrivani selezionati tra i laureati delle classi più umili, però, la riforma più importante, quella del lessico, che avrebbe davvero riavvicinato il popolo all’élite, si rivelò più complicata del previsto. Per dare nuovo impulso, il Primo ministro dell’Interno decise, dunque, una visita ufficiale al ministero dell’Ignoranza. Quando il giorno arrivò, sorrise, dichiarò, strinse mani, scattò selfie circondato da una folla di commissari e dirigenti plaudenti, poi a fine mattinata, dopo un giro trionfale, il presidente della Commissione gli domandò istruzioni precise in favore di telecamere, e il ministro sbottò con l’abituale schietta allegria:
“Ma fate un po’ quel cazzo che vi pare! Vi pago!”.
Sottocommissari, funzionari e giornalisti lo guardarono spersi, e il ministro spiegò:
“Ma sì, prendete quel dizionario, come si chiama, dei sinonimi e dei contrari, e per ogni significato scegliete un solo termine, il più facile; dopodiché aprite un dizionario normale e cancellate ogni parola anche vagamente difficile, senza pietà, non voglio più vocaboli tecnici astratti!”
“Ma ‘astratto’ è un vocabolo astratto!” fece notare furbetto un giornalista.
“‘Licenziamento’, invece, è concreto,” replicò il ministro, facendosi serio. “Basta con la robaccia buonista come ‘sfruttamento’, ‘alienazione’, ‘plusvalore’, ‘schiavitù’…”
“E con i termini collettivi come ci comportiamo?” chiese un sottocommissario.
“Tipo?” chiese il ministro.
“Tipo ‘gente’, ‘folla’, ‘esercito’, ‘popolo’…”
“Quelli teniamoli,” decise il Primo ministro.
“Giusto per avere un’idea,” chiese un altro sottocommissario. “Un buon dizionario contiene circa 145 mila parole. Lei quante ne vorrebbe?”
Il ministro dell’Interno fece una smorfia per far capire che stava pensando, poi si grattò sotto l’ascella e decretò:
“Direi che un terzo basta e avanza. Semplifichiamo! Sfrondiamo! Sfoltiamo! Con meno di 50mila parole si può dire qualsiasi cosa!”.
I funzionari applaudirono felici. Un tale potere di scelta, di vita e di morte su ogni parola, andava al di là dei loro più megalomaniaci49 sogni di gloria. Ma disboscare 100 mila parole si rivelò un’impresa, nonostante il bonus stanzionato ai neoassunti ogni dieci parole abolite. Si sperava che la misura avrebbe consentito di superare abbondantemente50 la quota indicata, invece la cernita proseguì a rilento, dato il gran numero di termini di cui nessuno conosceva il significato. Contrariamente agli annunci roboanti, quindi, il Nuovo dizionario delle parole abolite tardava a essere dato alle stampe.
Malgrado questo, l’accoglienza della Nuova Grammatica fu in genere ottima. Il fascino della trasgressione fu avvertito soltanto da un’in ma minoranza di piantagrane per i quali i libri – benché soltanto scoraggiati e non espressamente vietati – tornarono ad apparire come oggetti erotici. Per qualcuno possederli diventò una sfida, quasi una moda. Una ragazza fu sorpresa dai controllori in metropolitana con La vita agra di Bianciardi nascosta nei leggings; un altro fu scoperto mentre nascondeva una copia dei Parerga e paralipomena di Arthur Schopenhauer dentro la “Gazzetta dello Sport”. Insomma: bambinate, fatti isolati. Si moltiplicarono le segnalazioni da parte dei servizi segreti, ma ogni volta si rivelarono infondate. Incurante degli allarmi, il Governo tirò dritto per la sua strada. I cani sciolti, invece, si stavano muovendo. Progettavano azioni grandiose o gesti simbolici, ma rimanevano invisibili anche a se stessi non sapendo niente l’uno dell’altro. La guerra esercitava il suo richiamo su colti e ignoranti, ricchi e plebei, perché era l’unica esperienza che, in decenni di pace e abbondanza, era stata ritirata dal mercato; l’unica merce che nessuno aveva potuto comprare.
49 “Megalomaniaci” sarebbe una parola vietata. Però è efficace. Frun
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Sostituire con “rosei”. Funzionario Redattore Capo Salvo Pelucco, Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana (II sez.)
50 Non resisto. Lo sapete qual è il contrario di “Abbondantemente”? Facile! Va bene, d’accordo, ho capito: mi cancello da solo. Ciao! 😉 Frun
“A Berlino Petrarca dice la verità”!
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano