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  • Martedì 22 gennaio 2019

Il governo ha chiuso un grosso centro per migranti, e non si capisce perché

Si trova a Castelnuovo di Porto, vicino a Roma, e sembra che funzionasse bene: circa 150 persone finiranno per strada

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

Ieri sera il governo ha avvertito la cooperativa che gestisce un centro per migranti a Castelnuovo di Porto, a nord di Roma, che la struttura dovrà chiudere entro il 31 gennaio. I 503 ospiti verranno divisi in base alla loro condizione: le persone che stanno aspettando una risposta alla loro domanda di protezione verranno spostati in CAS – centri di emergenza – mentre circa 150 persone che hanno un permesso di soggiorno per motivi umanitari per effetto del recente decreto sicurezza non possono essere spostati in alcuna struttura, e finiranno per strada. La motivazione della chiusura del centro non è ancora chiara, anche se alcuni politici locali della Lega – il cui segretario Matteo Salvini è ministro dell’Interno – hanno accusato la struttura di essere un covo di spacciatori, senza fornire prove.

Il centro che verrà chiuso è un Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), un tipo di struttura gestita direttamente dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture. In Italia non ce ne sono moltissimi: sono strutture un po’ a metà fra i centri di emergenza – i CAS – e il circuito della seconda accoglienza, cioè quello degli SPRAR, considerato quello più virtuoso. Ospitano decine di persone, perlopiù richiedenti asilo la cui situazione non è ancora ben definita, e sono di medio-grandi dimensioni. Proprio a causa delle loro dimensioni sono spesso difficili da gestire, nonostante in teoria dovrebbero rivolgersi a persone vulnerabili come i richiedenti asilo.

I CARA di Catania e Bari funzionano così così, e per questo compaiono spesso nelle cronache come esempi negativi di integrazione. Al CARA di Castelnuovo, invece, la situazione era molto diversa. Avvenire racconta che il rapporto col paese, che ha circa 8.500 abitanti, era «positivo»: a confermarlo è stato lo stesso sindaco Riccardo Travaglini, eletto nel 2017 con una lista civica vicina al centrosinistra: «Il modello d’integrazione funzionava: uno dei primi atti, dopo il grande caos di “mafia capitale”, è stato la sottoscrizione di un protocollo d’intesa con la Prefettura per progetti culturali e di volontariato (museo di arti e mestieri, rassegne fotografiche, corsi di teatro), ma soprattutto per l’inserimento scolastico dei bambini, che da domani saranno costretti a lasciare aula, maestre e compagni senza sapere dove andranno e cosa li aspetta», ha raccontato ad Avvenire, aggiungendo che il Comune aveva collaborato con la prefettura nella gestione del centro. Circa 80 degli ospiti, inoltre, erano impegnati in lavori socialmente utili all’interno del Comune.

Repubblica racconta che le procedure di chiusura sono iniziate già stamattina. Sembra che il ministero dell’Interno abbia fatto sapere al centro le regioni a cui saranno destinati i richiedenti asilo – Toscana, Umbria, Lombardia – ma non le strutture, anche se secondo Avvenire saranno dei CAS (quindi meno attrezzati a sostenere percorsi di integrazione). Scrive Repubblica:

A decine questa mattina, con le proprie cose in un sacco, erano alla fermata dell’autobus in cerca di un passaggio verso Roma mentre gli altri sono stati divisi in gruppi tra uomini, donne e bambini per essere trasferiti. I primi 30 sono stati portati via in autobus già questa mattina, un altro gruppo di 75 verrà trasferito domani.

Per effetto del decreto sicurezza convertito in legge poche settimane fa, le persone che hanno un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non possono più entrare nel circuito di seconda accoglienza, cioè quello degli SPRAR, né rinnovare il loro permesso: di fatto, finiscono in una condizione di irregolarità, causando enormi problemi a loro e ai comuni in cui vanno a vivere. Sembra che anche le persone espulse dal CARA di Castelnuovo di Porto faranno questa fine.

Secondo una nota diffusa dal Comune di Castelnuovo del Porto, inoltre, la chiusura del centro comporterà il licenziamento delle 107 persone che se ne occupavano, soprattutto quelle della cooperativa Auxilium (che aveva in gestione la struttura dal 2014). Per il 24 gennaio, i principali sindacati hanno già convocato una protesta sotto al ministero dello Sviluppo Economico con le cooperative coinvolte.