Omar al Bashir comincia a traballare?
Il presidente del Sudan, al potere da trent'anni, è l'obiettivo delle proteste che vanno avanti da quattro settimane in tutto il paese, e che chiedono le sue dimissioni
La città sudanese di El Gadarif è un posto senza particolari attrazioni o curiosità: si trova vicino al confine con l’Etiopia e l’Eritrea, è un centro per il commercio del sorgo e del sesamo ed è visivamente dominata dai suoi enormi silos di grano, costruiti per lo più in Russia. Quattro settimane fa, però, El Gadarif è diventata per la prima volta il centro dell’attenzione politica di tutto il paese: molti studenti delle scuole superiori si sono organizzati per andare al principale mercato della città a protestare contro i tagli ai sussidi per l’acquisto del pane. Hanno urlato slogan come «la gente è affamata» e «sei solo un ballerino», riferendosi in maniera dispregiativa all’abitudine del presidente sudanese Omar al Bashir, al potere da trent’anni, di ballare in pubblico.
Le forze di sicurezza sudanesi hanno reagito alle proteste uccidendo dieci manifestanti, tra cui tre bambini. Il giorno dopo ci sono state altre proteste, dirette per lo più contro la forza politica di governo, il Partito del congresso nazionale, e contro i servizi di intelligence, accusati più volte di torture e abusi. Nella settimana successiva si è cominciato a manifestare in città più grandi, tra cui la capitale Khartum, e a chiedere le dimissioni del presidente Bashir, la cui posizione poche volte in passato era sembrata traballante come ora.
Nonostante le proteste siano sembrate venire fuori dal nulla, ha scritto il Guardian, l’instabilità del Sudan arriva da lontano.
Nel corso degli ultimi anni il Sudan ha accumulato problemi nell’economia e in tutti gli ambiti della gestione del potere pubblico. La situazione economica del paese è piuttosto grave dalla secessione del Sud Sudan, nel 2011, che privò il governo sudanese di Bashir delle importanti riserve petrolifere del sud su cui aveva fatto affidamento fino a quel momento. Altri problemi hanno peggiorato la situazione: per esempio la crescente inflazione, che ha colpito per lo più la classe media, e il taglio ai sussidi per l’acquisto del pane, che ha provocato l’inizio delle ultime proteste a El Gadarif. Il sostegno a Bashir si è ridotto anche nelle aree che fino a poco tempo fa erano considerate sue “roccaforti”, nel nord del paese, per ragioni non solo economiche: le critiche al governo si sono concentrate sulla diffusissima corruzione presente in tutta la macchina amministrativa e di governo e sulle violenze compiute dalle forze di sicurezza sui manifestanti, le cui immagini sono state pubblicate e viste da moltissime persone attraverso i social media.
Le proteste delle ultime quattro settimane, ha scritto l’International Crisis Group (ICG), sono state sostenute da diversi partiti politici e organizzazioni di categoria: tra gli altri dal Partito comunista sudanese, dal Partito del congresso sudanese e da associazioni di medici, che sono attualmente in sciopero. Hanno riunito persone di diverse tribù ed etnie e hanno attirato molte donne. «Il centro delle proteste, comunque, sono cittadini sudanesi senza forti affiliazioni politiche, che incolpano dei loro problemi economici la malagestione e la cleptocrazia del partito di governo», ha aggiunto l’ICG.
Finora il governo sudanese ha risposto alle proteste usando la forza, secondo diverse organizzazioni per i diritti umani in maniera eccessiva e spropositata.
Giovedì, per esempio, a Khartum la polizia ha sparato contro i manifestanti che stavano cercando di arrivare al palazzo presidenziale per consegnare una lettera che chiedeva le dimissioni di Bashir: almeno due persone sono state uccise, un medico e un adolescente di 14 anni. Un’organizzazione di medici ha diffuso un comunicato per accusare le forze di sicurezza di avere bloccato l’arrivo delle ambulanze nei posti dove c’erano feriti e di avere assaltato un ospedale a Omdurman, a nord della capitale. Dall’inizio delle proteste, un mese fa, le persone uccise sono state più di 40, ha detto Amnesty International. «Più avanti andranno le proteste, più potremo vedere violenze e abusi da parte del governo sudanese», ha detto Jehanne Henry di Human Rights Watch.
Tra esperti e osservatori non c’è accordo su quello che potrà succedere ora. Nonostante le proteste siano particolari e per alcuni aspetti uniche nella storia recente del Sudan, Bashir ha dimostrato negli ultimi tre decenni di poter sopravvivere a conflitti, ad anni di sanzioni statunitensi e alla pressione dei tribunali internazionali che lo vorrebbero processare per il presunto genocidio compiuto dal suo governo in Darfur nel corso degli anni Duemila.
Secondo l’International Crisis Group, potrebbero realizzarsi tre scenari. Primo: Bashir rimane al suo posto usando la forza contro i manifestanti, decisione però che potrebbe fermare qualsiasi nuovo tentativo di avvicinamento del Sudan verso l’Occidente, di rimozione delle sanzioni statunitensi e di revisione dello status del paese come sostenitore del terrorismo. Secondo: le manifestazioni diventano ancora più numerose e convincono elementi scontenti del partito di governo o dell’esercito ad agire contro Bashir, togliendogli il potere. È uno scenario complicato, anche perché nel corso degli anni il presidente ha sistematicamente cambiato i capi delle forze di sicurezza, marginalizzando i suoi rivali e tenendo i diversi corpi di polizia e militari separati, di modo da controllarli meglio. Terzo: Bashir si dimette. È uno sviluppo per ora piuttosto remoto, anche perché rinunciare al potere vorrebbe dire per l’attuale presidente rischiare di essere coinvolto in processi per corruzione, e lasciare il Sudan significherebbe essere giudicato dalla Corte penale internazionale per le atrocità compiute in Darfur.