Otto canzoni di Sade
Che compie oggi sessant'anni, e nonostante non sia più molto attiva va ancora di moda
Negli anni Ottanta Sade Adu era la principessa del pop. Padre nigeriano e madre inglese, bella come il sole, capelli lisci e neri neri, elegantissima, nei video non muoveva mai un muscolo di più del necessario e anche quando ballava sembrava si stesse asciugando dopo la doccia. Belle canzoni, patinate anche quelle, e la rivelazione del primo disco. Un attimo dopo, quasi tutto fu uguale e datato.
Your love is king (Diamond life, 1984)
Arrivò che erano tutti pronti. Erano anni molto stylish, tempi duri per i duri, puri e spettinati. Lei invece era pettinatissima, e il primo singolo dal disco multimilionario era quasi jazz. In pratica, quello che sarebbe stata Norah Jones vent’anni dopo, ma con qualche fantasia in più.
When am I going to make a living (Diamond life, 1984)
Diamond life fu una fabbrica di canzoni imbattibili. Rispetto ai tre languidi singoli da classifica, “When am I going to make a living” aveva un bel ritmetto.
Why can’t we live together (Diamond life, 1984)
A una certa età si finisce per odiare i bonghi, per via dei disgraziati che fanno le ore piccole sotto casa tua: non sapendo fare nient’altro, suonano i bonghi (non sanno neanche suonare i bonghi, a dirla tutta). Fatti i conti, la canzone più immortale e riuscita di Diamond Life era immortale già da un pezzo. L’aveva scritta Timmy Thomas nel 1972 e i meriti di questa perfetta versione vanno equamente divisi tra Sade e il bonghista.
Love is stronger than pride (Stronger than pride, 1988)
Il secondo disco aveva retto bene, sulla scorta del successo del primo. Ma per trovare qualcosa di un po’ più pensato e originale, ci volle il terzo, che pure vendette assai meno (stiamo sempre parlando di milioni di copie). E in effetti, con questo mood sono-sveglia-o-stoancora-dormicchiando?, non si potevano scalare le classifiche. Però, brava: fu una bella idea.
Kiss of life (Love deluxe, 1992)
Di nuovo un sassofono come ai vecchi tempi: ma il tempo è un po’ più eccitante, e poi il modo in cui attacca le prime parole, come fossero una sola: “the-e-re must-havebeen-an-angel by my side…”.
Please send me someone to love (Philadelphia, 1993)
L’aveva scritta (e cantata) Percy Mayfield, che era anche l’autore di “Hit the road, Jack”. Sade la registrò per la colonna sonora di Philadelphia (dove c’erano altri brani notevoli, tra cui quelli di Bruce Springsteen e Neil Young), come avrebbe fatto Joss Stone se ci fosse stata Joss Stone. Ma con la voce di Sade.
Every word (Lovers rock, 2000)
“Every word” è stupenda: anche solo per la chitarra e quella specie di muezzin all’inizio che va’ a capire cosa dice. Lei sembra sempre che canti girata dall’altra parte, ma qui si capisce che è girata dall’altra parte per l’imbarazzo di mostrare che ci crede. Quando fa “every word, oooh, oooh”, è meravigliosa.
By your side (Lovers rock, 2000)
Dieci anni dopo, Sade forse sarebbe pronta a fare qualcosa di diverso. Quelle cose che a volte sono colpi di genio e a volte flop totali, ma i critici ci cascano sempre: un cd unplugged solo lei e i bonghi, una raccolta di canzoni lussemburghesi, un disco scritto da Baricco, un duetto con Zidane. Il singolo dall’ultimo suo disco era bello, patinato, perfettino: la sua voce è una cosa. Dovrebbe solo sporcarsi un po’ le mani: un concerto con la Bandabardò?