Com’è che Haruki Murakami è diventato uno degli scrittori più importanti del mondo
Compie oggi 70 anni un autore giapponese per cui si usa spesso l'espressione “di culto”, a ragione
Haruki Murakami, lo scrittore giapponese più celebre al mondo, compie oggi 70 anni. I suoi libri sono tradotti in cinquanta lingue e hanno venduto milioni di copie, come nessun altro scrittore contemporaneo giapponese e come pochi scrittori che non scrivono in lingua inglese. Ha ammiratori incalliti che pensano che si meriterebbe di vincere il premio Nobel per la letteratura ma anche tanti detrattori, come spesso capita agli scrittori di grande successo che scrivono in uno stile facilmente accessibile.
Anche chi non fa parte né della prima né della seconda categoria ha molto probabilmente sentito parlare di lui, ma forse non ha mai capito perché sia considerato un autore “di culto”, come si dice: c’entrano un quinto romanzo diverso da tutti gli altri, qualche traduzione per far imparare l’inglese agli studenti giapponesi e, per quanto riguarda l’Italia, un personaggio di nome Kafka con qualche somiglianza col giovane Holden di J.D. Salinger.
Chi è Haruki Murakami e come sono i suoi romanzi, in generale
Prima di tutto: Haruki è il suo nome, Murakami il cognome. Qualcuno potrebbe fare confusione perché spesso viene chiamato “Murakami Haruki” nel rispetto dell’usanza giapponese di mettere prima il cognome e poi il nome.
È nato a Kyoto il 12 gennaio 1949, cioè durante il boom di nascite successivo alla Seconda guerra mondiale, ed è figlio unico di due insegnanti di letteratura giapponese. Pur essendo sempre stato interessato a sua volta alla letteratura, cominciò a scrivere solo a 29 anni: prima lavorò in un negozio di dischi e poi insieme a sua moglie aprì e gestì per sette anni, fino al 1981, un bar, il Peter Cat, dove si ascoltava musica jazz tutto il giorno ed erano appese fotografie di gatti dappertutto. Locali come il Peter Cat, i gatti e la musica jazz sono elementi molto familiari ai lettori di Murakami: ci sono nella maggior parte dei suoi romanzi. Una cosa in cui invece la vita di Murakami si differenzia da quella di molti suoi personaggi è la vita sentimentale: lui conobbe sua moglie quando studiava drammaturgia all’università e non ha mai divorziato, mentre molti dei protagonisti dei suoi libri hanno vicende sentimentali più complicate.
Una delle cose che più caratterizza la narrativa di Murakami emerge già da questi piccoli esempi: ritornano sempre certe cose. Oltre ai gatti e alla musica jazz, Murakami ripropone spesso alcuni tipi di personaggi, minuziose descrizioni di persone che cucinano, nomi particolari che hanno significati strani per i giapponesi e passaggi segreti, tra le altre cose. L’illustratore Grant Snider una volta li ha riassunti in una specie di tombola di Murakami, con cui si può giocare ogni volta che si legge un suo romanzo. Un’altra cosa che accomuna le opere di Murakami (quasi tutte) è poi un certo grado di surrealismo o “realismo magico”: capitano spesso cose strane o soprannaturali che i personaggi e i lettori non riescono mai a capire fino in fondo, e questa è una delle cose che più hanno contribuito al suo successo.
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Senza scendere nello specifico dei singoli romanzi di Murakami (sono quattordici a oggi), un’altra cosa che si trova in ognuno di essi è una scrittura molto semplice e chiara, vicina al minimalismo di scrittori americani come Raymond Carver, che peraltro Murakami ha tradotto in giapponese. Le somiglianze stilistiche con certi autori americani sono una delle cose che lo differenziano da altri scrittori giapponesi noti a livello internazionale. Nel 2005 un articolo del quotidiano britannico Telegraph che cercava di spiegare il già vivo «culto di Murakami» diceva:
In Giappone è visto come il più occidentale degli scrittori giapponesi, ma non è perché nei suoi libri si citano spesso film e musica occidentali, il colonnello Sanders della catena di fast food KFC, il baseball e la pizza. Lo scrittore Kazuo Ishiguro [che è di origine giapponese, ma scrive in inglese, ndr] dice: «Lo stile di vita dei personaggi di Haruki è molto più simile a quello dei giapponesi di oggi di quanto non possa sembrare ai lettori occidentali, che nei suoi libri tendono a distinguere tra elementi “occidentali” e giapponesi, dato che questi si presentano come poco familiari ed esotici. Ma bisogna ricordare che per un giapponese cresciuto dopo la Seconda guerra mondiale il jazz, il rock e i film di Hollywood sono familiari tanto quanto cose più tradizionali. Anzi, cose come il teatro kabuki, la cerimonia del tè e i romanzi di Kawabata gli risultano più lontani». Non sono le cose che cita a rendere Murakami occidentale per i giapponesi, ma il suo stile.
Da sempre infatti Murakami ha letto soprattutto narrativa americana, attribuendo la sua antipatia per quella giapponese a una reazione ai gusti di suo padre oltre che a una ribellione nei confronti delle rigidità della sua generazione. Le sue preferenze si notano anche tra gli autori che ha tradotto in giapponese, oltre a Carver: Truman Capote, Francis Scott Fitzgerald e J.D. Salinger, e una serie di romanzi di narrativa per bambini di Ursula K. le Guin, Gattivolanti.
A qualcuno i romanzi di Murakami potrebbero non piacere proprio per questo suo stile semplice, realistico e anche ripetitivo nelle sue descrizioni molto aderenti alla realtà. Lo ha spiegato bene Antonietta Pastore, una dei suoi traduttori italiani, in un’intervista all’Indice dei Libri del Mese della scorsa estate:
Come accade con i vecchi amici, a volte succede che Murakami mi irriti, o mi stanchi. Non perché i suoi testi siano particolarmente difficili, al contrario: scrive in un lingua piuttosto semplice che riproduce quella parlata, e non usa molti ideogrammi. Ma quando ripete quattro volte l’espressione “fazzoletti di carta” in una pagina, quando descrive maniacalmente i gesti che un personaggio compie nel lavarsi e nel vestirsi, o fa una dettagliata lista della spesa, confesso sinceramente che qualche improperio glielo lancio. Ma perché non taglia, mi chiedo spesso, perché non stringe? Tanto più che a tradurre si impiega molto più tempo che a leggere, e certe pagine mi sembrano interminabili. Poi, quando rileggo quello che ho scritto, mi rendo conto che invece ha ragione lui: perché nella vita succede proprio così, la gente dice e ridice sempre le stesse cose, ripete gli stessi gesti, cede alle proprie manie, e il fatto di rappresentare la realtà senza abbellirla è quello che rende i personaggi di Murakami così vicini al lettore, così umani e veri, le sue atmosfere così familiari e intime.
La storia del successo di Murakami
Anche se non cominciò a scrivere da giovanissimo, Murakami fu fin dall’inizio della sua carriera uno scrittore prolifico. Il suo primo romanzo, Ascolta la canzone nel vento, fu pubblicato nel 1979; nel 1980 uscì il secondo, Flipper, nel 1982 il terzo, Nel segno della pecora, e nel 1985 il quarto, La fine del mondo e il paese delle meraviglie. I primi due sono tra le poche opere realistiche di Murakami; a partire dal terzo compaiono infatti gli elementi surreali che poi si troveranno in quasi tutte le sue opere successive. A partire dal suo terzo romanzo Murakami cominciò ad accumulare buone critiche, ma fu con il quinto romanzo che ottenne un grande successo commerciale: Norwegian wood, che deve il suo nome all’omonima canzone dei Beatles, vendette due milioni di copie in un anno tra il 1987 e il 1988, e poi arrivò a quattro milioni.
Norwegian wood è un altro dei pochi romanzi di Murakami con una trama e un’ambientazione realistiche: parla di alcuni di giovani che negli anni Sessanta stringono amicizie e si innamorano, e del ricordo che ne conserva a distanza di anni il protagonista. È un romanzo malinconico e nostalgico che piacque moltissimo agli adolescenti. Successivamente, a partire da Dance dance dance, romanzo del 1988 in cui torna uno dei personaggi dei primi tre libri, Murakami tornò a raccontare soprattutto storie strane e surreali, ma il suo successo non ne risentì.
All’estero si cominciò a conoscerlo a partire dal 1989 quando uscirono le prime traduzioni in inglese di Nel segno della pecora e Norwegian wood. In realtà furono pubblicate da un editore giapponese come testi per insegnare l’inglese agli studenti giapponesi a cui i romanzi di Murakami erano familiari, ma aprirono comunque la strada al successo internazionale del loro autore, facendolo conoscere piano piano al pubblico anglosassone. Nel settembre del 1990 il New Yorker pubblicò il primo dei tanti racconti di Murakami che da allora si sono visti sulle sue pagine, e l’anno successivo lo scrittore si trasferì negli Stati Uniti per lavorare prima come ricercatore e poi come professore alla prestigiosa Università di Princeton.
Il vero e proprio successo internazionale, almeno tra i lettori di lingua inglese, arrivò però nel 1997, con la pubblicazione di L’uccello che girava le viti del mondo: è il suo ottavo romanzo e lo fece diventare uno dei tre o quattro più famosi scrittori giapponesi al mondo. Nel frattempo in Giappone il suo rapporto con i lettori si intensificò grazie a un sito – che ora non esiste più – in cui, molto prima dello sviluppo dei social network, Murakami rispondeva alle domande degli utenti, più o meno su qualsiasi argomento, dalla paura dei tumori alla setta Aum Shinrikyō, che nel 1995 organizzò l’attentato al sarin nella metropolitana di Tokyo. Qualcuno gli chiese se quelle delle seppie fossero braccia o gambe e Murakami rispose: «Prova a immaginare una seppia con dieci guanti e poi con dieci calzini, poi decidi quale delle due immagini preferisci».
Murakami in Italia
Dopo le traduzioni in inglese i libri di Murakami cominciarono ad arrivare anche in Italia, inizialmente senza il successo degli anni recenti, tanto che furono pubblicati da case editrici diverse, come capita di solito agli autori stranieri che non trovano un proprio pubblico. Il suo primo romanzo tradotto in italiano fu Nel segno della pecora, che Longanesi pubblicò come Sotto il segno della pecora nel 1992. Il successivo fu il più accessibile Norwegian wood: uscì per Feltrinelli nel 1993 con il titolo Tokyo Blues. Einaudi, che oggi è l’editore italiano consolidato di Murakami, pubblicò Dance dance dance nel 1996, ma inizialmente non si occupò né di L’uccello che girava le viti del mondo, pubblicato da Baldini e Castoldi nel 1999, né di A sud del confine, a ovest del sole, uscito di nuovo per Feltrinelli nel 2000.
Einaudi diventò definitivamente l’editore italiano di Murakami nel 2001 con La ragazza dello Sputnik, e oggi ha 25 suoi titoli in catalogo. Si dovette però aspettare la pubblicazione di Kafka sulla spiaggia nel 2008 perché anche in Italia Murakami diventasse uno scrittore da bestseller. È quello con un protagonista simile a Holden Caulfield, protagonista del famoso libro di Salinger: è una specie di romanzo di formazione e in Giappone uscì proprio insieme alla traduzione di Il giovane Holden di Murakami. Oggi i romanzi di Murakami sono i tascabili più venduti di Einaudi, tra quelli di autori contemporanei, e c’è molta attesa per la seconda parte del suo ultimo romanzo, L’assassinio del commendatore: uscirà a fine gennaio e l’edizione italiana si può già prenotare qui o qui.