C’è un prima e un dopo i Soprano
Vent'anni fa, la sera del 10 gennaio 1999, venne trasmessa la prima puntata di una serie "storica"
di Pietro Cabrio
Da anni il mercato dell’intrattenimento è costituito in una parte sempre più importante dalle serie televisive. In queste settimane, per esempio, si è parlato molto di “Bandersnatch”, l’episodio interattivo della serie Black Mirror da cui sono nate molte discussioni, soprattutto sull’influenza che l’interattività potrà avere sulle cose che vedremo in futuro. “Bandersnatch” è la parte più recente del percorso evolutivo delle serie televisive, la cui origine risale esattamente a vent’anni fa, quando un’ora in prima serata su un canale via cavo statunitense iniziò a cambiare la storia della televisione e a trasformarla in parte in quella che è oggi.
Quell’ora in prima serata fu l’episodio pilota dei Soprano, la serie sulla vita di una famiglia mafiosa italoamericana del New Jersey che la sera del 10 gennaio 1999 il canale televisivo statunitense HBO trasmise negli Stati Uniti. Le premesse non facevano intravedere grosse novità: era l’ennesima sceneggiatura a tema mafioso italoamericano, un genere che fin dall’uscita del primo Padrino, quasi trent’anni prima, aveva occupato uno spazio enorme nell’immaginario culturale occidentale.
Nonostante questo, I Soprano cominciò nel 1999, entrò nel ventunesimo secolo e durò complessivamente sette stagioni distribuite in otto anni. Fu trasmesso anche in Italia, in tarda nottata da Mediaset e poi sui canali Rai, in entrambi i casi con uno scarso seguito. Vinse ventuno Emmy e cinque Golden Globe. Negli Stati Uniti la prima stagione registrò una media di 3,46 milioni di spettatori a episodio; l’ultima superò gli otto. La sera del 10 giugno 2007 circa 12 milioni di persone guardarono il leggendario episodio finale.
I Soprano inaugurarono un’era televisiva di narrazioni seriali complesse e antieroi problematici che prima erano rarissime e poi divennero talmente grandi da attirare i più noti personaggi dello spettacolo verso un genere che prima era considerato semplicemente minore. Nel cast dei Soprano inizialmente non figurava nessun grande nome; tanti attori erano conosciuti quasi esclusivamente per le parti secondarie avute in Quei bravi ragazzi, e uno – Steven Van Zandt – era famoso come chitarrista di Bruce Springsteen. Negli otto anni in cui venne trasmessa, tuttavia, la serie iniziò a richiamare attori di fama mondiale: per parti rilevanti, come Steve Buscemi e Peter Bogdanovich, o in brevi apparizioni, come nei casi di Annette Bening, Ben Kinglsey, Lady Gaga e Paul Dano.
La serie racconta la vita di Tony Soprano, boss mafioso interpretato da James Gandolfini, a capo di una delle principali cosche del New Jersey. Ciò che la rese così importante per la storia della televisione fu l’inedita profondità con cui gli autori, avendo a disposizione tredici episodi a stagione, seguirono le storie dei personaggi principali, a partire da Tony, l’unico ad apparire sempre: un criminale, ovviamente violento, razzista, probabilmente con disturbi psicopatici. Ed è anche un marito e padre di due figli adolescenti alle prese con problemi e inconvenienti comuni a tante altre persone, complicati inevitabilmente dalla sua connotazione mafiosa.
La serie ne sviscerò pensieri e ossessioni, a partire dal complicato rapporto con una madre autoritaria, anaffettiva e depressa, ritenuto fonte di attacchi d’ansia, sintomi di una crisi depressiva che lo portarono a visitare regolarmente una psicanalista, la dottoressa Melfi, con tutti i rischi che questo comportava per un boss mafioso.
L’universo criminale dei Soprano fu riprodotto in maniera estremamente realistica. Era composto interamente da uomini, talvolta occupati a far sparire qualcuno, talvolta preoccupati per le rette scolastiche dei figli, ed era contrastato da quello femminile, il lato del racconto da cui nascevano le riflessioni morali e le inquietudini di figli e mariti. Era come se gli uomini vivessero in un gioco mentre nella vita reale, tenuta in piedi dalle donne, si dimostravano continuamente fuori posto. Fin dalla prima stagione Carmela, la moglie di Tony, risulta in pieno conflitto tra questi ruoli: è una madre e si ritiene una brava persona, se non fosse la moglie di un boss della malavita.
La sceneggiatura prevedeva la morte di molti personaggi principali, e questo veniva inizialmente ritenuto un rischio per la riuscita della serie: fu invece un successo, stimolò l’attenzione del pubblico e contribuì a rendere l’universo criminale ancora più realistico. Le frequenti morti importanti erano anche temute dal cast, tanto gli attori ci tenevano a farne parte. Prima di girare la seconda stagione, per esempio, Tony Sirico, che interpretava Paulie Gualtieri, si rivolse a uno degli autori dicendogli che se la storia fosse proseguita con la sua morte, lo avrebbe ammazzato a sua volta.
I Soprano fecero la fortuna della HBO, la terza rete a cui venne proposta dall’ideatore David Chase. L’influenza che ebbe nel mondo del cinema e della televisione grazie alle persone che ci lavorarono fu consistente. Lo sceneggiatore Terence Winter fu poi creatore della serie Boardwalk Empire e autore di The Wolf of Wall Street. Matthew Weiner lavorò alla sceneggiatura e poi fu creatore di Mad Men, altra serie televisiva ritenuta fra le più rilevanti mai prodotte.
La sceneggiatura nacque innanzitutto dai frequenti racconti che Chase era solito fare a proposito di sua madre, mentre fu la moglie a convincerlo a farci qualcosa. A metà anni Novanta la propose alla sua agenzia: originariamente era però un film con Robert De Niro nella parte di Tony e Anne Bancroft nella parte della madre Livia. Gli dissero che non avrebbe mai funzionato, ma continuò a lavorarci. L’idea di una serie saltò fuori nei colloqui con la casa di produzione Brillstein-Grey. Si parlò di fare Il Padrino come serie televisiva. A Chase non suonò per niente bene, ma da lì iniziò a mettere insieme spontaneamente tutto il resto: Tony, la moglie, i due figli, la psicanalista in un dramma orientato verso il punto di vista femminile, senza renderlo troppo evidente.
La prima rete a cui venne proposto fu Fox, che rifiutò. Poi fu il turno della CBS, ma nemmeno lì funzionò: ci furono perplessità sul ruolo della psicoanalisi e l’idea di un boss “debole” non piacque. A circa due anni dalla stesura dei primi copioni, uno dei capi della casa di produzione di Chase informò i suoi agenti di un ultimo tentativo con HBO. Ne seguì un incontro tra Chase e il presidente, Chris Albrecht. La rete aveva da poco iniziato a investire sulle serie: nel 1998 sarebbe iniziato Sex and The City, che divenne un fenomeno mondiale, mentre nel 1997 il dramma penitenziario Oz. HBO decise quindi di investire anche sui Soprano e nel 1997 ordinò due “episodi pilota”. Nei dieci anni successivi divenne la prima serie drammatica a riscuotere un’enorme popolarità e la capostipite dei primi successi del genere negli anni Duemila, tutti firmati HBO, come Six Feet Under e The Wire.
Per celebrare i vent’anni del primo episodio – oltre all’annuncio di un prequel (The Many Saints of Newark) e al panel organizzato con gli attori della serie in cui è stato dato molto spazio al ricordo di James Gandolfini, morto a Roma nel 2013 – i critici televisivi statunitensi Matt Zoller Seitz e Alan Sepinwall hanno pubblicato una raccolta di conversazioni su ciascun episodio. Nel libro, Chase rivela anche molte storie sugli attori del cast. L’attrice Nancy Marchand, per esempio, che interpretava la madre di Tony, era malata al tempo delle riprese e la sceneggiatura iniziale prevedeva la morte del suo personaggio prima della terza stagione, come poi invece avvenne. La presenza di Livia fu prolungata su desiderio della stessa Marchand, la quale voleva sfruttare il poco tempo che la malattia le concedeva recitando.
Su Gandolfini gli aneddoti sono diversi, anche se il più curioso rimane il modo in cui venne scritturato. Si presentò al primo casting, ma dopo aver iniziato l’audizione si interruppe e disse di volere tornare un altro giorno perché non si sentiva in forma. Al secondo appuntamento non si fece vivo. A Chase venne detto che l’assenza era dovuta alla morte della madre, anche se era morta anni prima. Agli autori non importò: gli assegnarono ugualmente la parte perché la ritenevano cucita su di lui. Fra la quarta e la quinta stagione, quando la produzione stava rinegoziando i contratti, Gandolfini parlò con Chase e disse: «Voglio tornare, perché è la miglior parte che abbia mai avuto. Ma non voglio tornare perché, non importa per quanto tempo resti sotto la doccia, non riesco a levarmi di dosso la puzza di questo tizio».