Forse c’è una nuova strategia degli Stati Uniti in Medio Oriente
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha fatto un importante discorso al Cairo e ha detto due cose importanti: Obama ha sbagliato tutto e l'Iran va fermato ad ogni costo
Giovedì il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha tenuto un importante discorso all’Università americana del Cairo, in Egitto, che è stato definito una specie di «nuovo manifesto» della politica estera statunitense in Medio Oriente. Il luogo e il momento scelto da Pompeo non sono stati casuali: quasi esattamente dieci anni fa, l’allora presidente Barack Obama fece il suo famoso “discorso del Cairo“, in cui chiese ai leader autoritari della regione di concedere più libertà e aprì a un miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Iran.
Nel discorso di giovedì (qui il testo completo), Pompeo ha criticato duramente l’approccio di Obama: ha parlato di «incomprensioni fondamentali» sulla regione del Medio Oriente e ha accusato l’ex presidente di avere «sottovalutato la tenacia e brutalità dell’islamismo radicale». Parlando più in generale della presunta strategia futura degli Stati Uniti nella regione, Pompeo ha detto:
«La buona notizia. La buona notizia è questa. L’era della vergogna americana autoinflitta è finita, così come le politiche che hanno prodotto tanta inutile sofferenza. Ora arriva il vero nuovo inizio.»
Il discorso di Pompeo è stato particolarmente duro nei passaggi che hanno riguardato l’Iran, paese verso il quale Obama aveva adottato politiche concilianti, avviando negoziati soprattutto con quella parte del regime iraniano più moderato che ha ancora oggi come riferimento il presidente Hassan Rouhani.
Pompeo ha parlato della necessità di avviare una politica di “contenimento” e isolamento dell’Iran, anche con l’aiuto degli alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente. Tra le altre cose, ha detto che il suo obiettivo è di «espellere fino all’ultimo iraniano» presente in Siria, facendo riferimento a tutti i soldati, consiglieri militari e miliziani iraniani che negli ultimi anni hanno combattuto la guerra siriana dalla parte del presidente Bashar al Assad.
Quest’ultima affermazione ha attirato in particolare l’attenzione di giornalisti ed esperti. Il 19 dicembre, infatti, Trump aveva inaspettatamente annunciato l’immediato ritiro dei 2mila soldati statunitensi impiegati in Siria, lasciando stupefatti amici e alleati, soprattutto quelli che vedevano la presenza militare americana come freno alla crescente influenza dell’Iran in Medio Oriente. Pochi giorni fa l’amministrazione Trump, questa volta su iniziativa del consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, aveva fatto un mezzo passo indietro, lasciando intendere che il ritiro sarebbe stato per lo meno rimandato e avrebbe potuto riguardare solo una parte dei soldati in Siria. Il discorso di Pompeo sembra suggerire una cosa ancora diversa: cioè che il ruolo americano in Siria e in altre zone del Medio Oriente aumenterà rispetto al passato, obiettivo che difficilmente sarà raggiunto con il ritiro delle truppe.
Pompeo non ha fatto invece alcun riferimento né alle politiche repressive del regime egiziano di Abdel Fattah al Sisi, né alla guerra in Yemen, nella quale l’intervento militare dell’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, sta contribuendo a portare il paese alla catastrofe umanitaria.