Gli Stati Uniti si stanno rimangiando il ritiro dalla Siria
Dopo le promesse di Trump che avevano stupito alleati e avversari, il governo statunitense sta mettendo le mani avanti
Il governo statunitense sta ripensando i tempi e i modi del ritiro dei suoi soldati dalla Siria, annunciato lo scorso 19 dicembre dal presidente Donald Trump tra lo stupore e l’incredulità di amici e avversari. Trump aveva detto che nel giro di 30 giorni i circa 2mila soldati statunitensi impiegati nel nord-est e nel sud-est della Siria sarebbero tornati a casa, perché lo Stato Islamico (o ISIS) era stato sconfitto. La decisione era stata criticata da molti, tra cui diversi esponenti dell’amministrazione e politici Repubblicani, ed era stata tra le altre cose la causa delle dimissioni del segretario della Difesa, Jim Mattis.
Domenica, però, il consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha stabilito alcune condizioni per il ritiro dalla Siria: ha annunciato che i militari statunitensi rimarranno in territorio siriano fino a che lo Stato Islamico non sarà sconfitto definitivamente e fino a che la Turchia non darà sufficienti garanzie che non attaccherà i curdi, importanti alleati degli Stati Uniti nella guerra contro l’ISIS ma arcinemici del governo turco del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Per essere soddisfatte entrambe le condizioni potrebbero essere necessari molti mesi, se non anni.
Domenica lo stesso Trump ha usato toni più cauti di quelli usati in precedenza e ha negato di avere mai detto che il ritiro sarebbe avvenuto rapidamente. In realtà, nell’annuncio di dicembre Trump aveva parlato di 30 giorni per realizzare il ritiro dei soldati, tempo poi prolungato a quattro mesi.
Le ultime dichiarazioni della Casa Bianca sembrano avere aggiustato il tiro su una decisione – quella annunciata da Trump il 19 dicembre – che era stata considerata da molti impossibile da rispettare dal punto di vista logistico, e molto poco saggia dal punto di vista strategico.
Il ritiro dei soldati statunitensi dalla Siria sembrava infatti andare contro tutto quello che l’amministrazione aveva detto di voler fare in Siria nei mesi precedenti: assicurarsi che l’ISIS venisse completamente sconfitto, impedire ai turchi di massacrare i curdi, e contrapporsi alla presenza in territorio siriano dell’Iran, importante alleato del presidente siriano Bashar al Assad e interessato a creare una specie di “corridoio” tra l’Iran e il sud del Libano, passando da Iraq e Siria. Domenica Bolton ha di fatto rimandato il ritiro dei soldati statunitensi dal nord-est della Siria, dove operano i curdi contro l’ISIS, ma non solo: ha suggerito che alcune delle truppe americane presenti nel sud-est, quelle usate per controllare il flusso di armi e soldati iraniani, potrebbero rimanere in Siria più a lungo, allo scopo di limitare l’influenza dell’Iran.
Secondo il Washington Post, l’impegno statunitense in Siria contro l’Iran è un punto molto divisivo all’interno dell’amministrazione Trump. Il segretario di stato Mike Pompeo, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, e l’inviato speciale di Trump per la Siria, l’ex diplomatico James Jeffrey, sarebbero tutti convinti che l’obiettivo degli Stati Uniti non dovrebbe essere solo la sconfitta dell’ISIS, ma anche il contenimento dell’Iran in Siria. Un funzionario sentito dal Washington Post ha detto però che Trump non avrebbe mai appoggiato personalmente questa idea, e la scorsa settimana, durante una riunione di gabinetto, avrebbe detto che la leadership iraniana «può fare quello che vuole in Siria».
Secondo diversi analisti, comunque, il mezzo passo indietro dell’amministrazione Trump non cambierà molto le cose nei rapporti tra gli Stati Uniti e i curdi, che contano sulla presenza statunitense in Siria per proteggersi dagli eventuali attacchi della Turchia. Come ha scritto Volker Perthes, direttore dell’Istituto tedesco per la sicurezza e gli affari internazionali, i curdi hanno capito che l’appoggio degli americani non durerà ancora per molto, perché il ritiro dei soldati dal nord-est della Siria ci sarà, prima o poi. Per questo è probabile che i curdi inizieranno a cercare protezione nel regime di Assad, con cui negli ultimi anni hanno quasi sempre rispettato una specie di accordo di reciproca non aggressione.
It really doesn’t make much of a strategic difference whether #US withdrawal from #Syria is slowed down or not. Kurdish #PYD now definitely knows: US support will not be there for long, but Damascus will be there forever. So why shouldn’t they seek an arrangement with Damascus?
— Volker Perthes (@volkerperthes) January 7, 2019
Questa settimana diversi esponenti dell’amministrazione Trump stanno incontrando gli alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, per assicurare loro che il governo americano continuerà a lavorare per mantenere gli impegni già avviati, nonostante la crescente confusione all’interno della Casa Bianca. Tra gli altri saranno in Medio Oriente anche Mike Pompeo, che visiterà tutti e sei i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Oman) oltre che Egitto e Giordania, e lo stesso John Bolton, che dopo essere stato in Israele è arrivato in Turchia accompagnato dall’inviato speciale James Jeffrey.