Cosa c’è nella bozza del decreto legge su reddito di cittadinanza e “quota 100”
Per la prima volta le misure più attese del governo sono state messe per iscritto, e verranno discusse in settimana
Circola da ieri sera una bozza del decreto legge contenente le misure che il governo intende attuare per l’entrata in vigore del reddito di cittadinanza e della “quota 100”, due importanti proposte fatte in campagna elettorale rispettivamente da Movimento 5 Stelle e Lega, i due partiti di governo. La bozza – ripresa da tutti i giornali e dalle principali agenzie di stampa – è datata 4 gennaio, è lunga 24 pagine, è composta da 27 articoli e dovrebbe essere discussa in Consiglio dei ministri fra lunedì e martedì. I primi 13 articoli riguardano il cosiddetto reddito di cittadinanza, i successivi 14 riguardano invece la cosiddetta “quota 100”. Si tratta appunto di una bozza: niente è definitivo e molte cose potrebbero cambiare. Ma intanto, è la prima volta che circola qualcosa di scritto sui due provvedimenti.
Il reddito di cittadinanza, che è in realtà un sussidio di povertà fortemente condizionato, è la principale proposta economica del Movimento 5 Stelle. La “quota 100” è la riforma delle pensioni fortemente voluta dalla Lega, per permettere di andare in pensione a chi ha 62 anni e ha versato contributi per 38 anni. Né il reddito di cittadinanza né “quota 100” erano state incluse nella legge di stabilità approvata con diverse difficoltà negli ultimi giorni del 2018. Nella legge di bilancio erano state però stanziate risorse per entrambe le proposte.
Il reddito di cittadinanza
La bozza parla sia di “reddito di cittadinanza” che di “pensione di cittadinanza” (per chi ha più di 65 anni). Nell’articolo 1 il reddito di cittadinanza è definito così: «Misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, della libera scelta del lavoro». Dovrebbe partire dal primo aprile ed è previsto che a beneficiarne possano essere un massimo di 1,4 milioni di nuclei familiari, per un totale di oltre 4 milioni di persone. Sono stati previsti anche incentivi per le aziende che dovessero assumere persone con un reddito di cittadinanza: parte del reddito verrebbe incassato dalle aziende in caso di assunzione a tempo indeterminato
Il reddito di cittadinanza è composto da una integrazione mensile al reddito, che secondo le stime fatte da Enrico Marro sul Corriere della Sera, potrebbero corrispondere a «un importo medio di circa 500 euro al mese a famiglia. Lo si vede dividendo i 6,1 miliardi a disposizione nel 2019 per 1,4 milioni di famiglie e poi per 9 mesi di erogazione, da aprile in poi». Per le famiglie in affitto è poi previsto un contributo aggiuntivo per un massimo di 280 euro al mese. Il reddito di cittadinanza sarà erogato su un’apposita carta, che sarà legata a certi vincoli: non si potrà ad esempio usare per il gioco d’azzardo, e solo una parte dei soldi potrà essere ritirata in contanti.
Potranno chiedere il reddito o la pensione di cittadinanza tutti i cittadini italiani, i cittadini dell’Unione Europea e gli stranieri con un permesso di soggiorno di lungo periodo. Tutti i richiedenti dovranno però essere stati in Italia «in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda». Anche un cittadino italiano che negli ultimi 10 anni dovesse aver avuto residenza all’estero, anche solo per un breve periodo, non potrebbe quindi chiedere il reddito di cittadinanza.
Per avere il reddito di cittadinanza bisognerà avere un Isee inferiore ai 9.360 euro e, nel caso di singole persone, un reddito familiare di meno di 6 mila euro. Come scrive Marro: «Il patrimonio immobiliare, al netto della prima casa, non può superare 30mila euro e quello mobiliare i 6mila euro». Chi dovesse dichiarare il falso per ottenere il reddito di cittadinanza rischierebbe fino a sei anni di carcere e non potrà chiedere un nuovo sussidio per 10 anni.
Una volta che il reddito di cittadinanza sarà diventato legge e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si dovrà presentare domanda ai Caf o agli uffici postali e sarà in seguito valutata dall’INPS, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Se ne potrà usufruire per un massimo di 18 mesi, eventualmente rinnovabili in seguito a una sospensione di un mese, durante la quale l’INPS valuterà che ci siano ancora tutti i requisiti necessari. Chi lo otterrà dovrà anche «consultare quotidianamente l’apposita piattaforma digitale dedicata al programma». Come detto negli ultimi mesi, i beneficiari saranno tenuti ad accettare almeno una delle tre «offerte di lavoro congrue» che saranno proposte loro. All’inizio, per i primi sei mesi, dovranno essere entro 100 chilometri da dove si ha residenza; poi entro i 250 e infine, dopo un anno, in tutta Italia. Se non ci saranno offerte durante il primo anno, nell’anno successivo si dovrà accettare ogni offerta, altrimenti si perderà diritto al reddito di cittadinanza. Marro spiega anche che:
I beneficiari del sussidio che non verranno convocati entro 60 giorni dai centri per l’impiego riceveranno l’«assegno di ricollocazione» da spendere presso agenzie private di collocamento, dove saranno affiancati da un tutor. Se un’azienda assume a tempo indeterminato un titolare del Rdc e non lo licenzia per almeno due anni, incasserà la parte di Rdc non erogata al lavoratore, fino a un massimo di 18 mesi.
Una delle questioni più rilevanti riguarda poi la clausola di salvaguardia. Come scrive Marra, «se le domande fossero troppe e di conseguenza la spesa prevista eccedesse lo stanziamento a disposizione (6,1 miliardi nel 2019, 7,7 nel 2020, 8 nel 2021 e 7,8 dal 2022) il governo procederebbe alla “rimodulazione dell’ammontare del beneficio”, verrebbe cioè ridotto, da quel momento in poi, il tetto di 780 euro».
“Quota 100”
Anche “quota 100” dovrebbe partire dal primo aprile, ma solo per i dipendenti privati che abbiano maturato i requisiti necessari entro il 31 dicembre 2018. Per gli altri, e per tutti i dipendenti pubblici, i tempi saranno spostati in là di qualche mese. Secondo le stime del governo, potranno sfruttare “quota 100” circa 300mila persone, 130mila delle quali sono dipendenti pubblici. I dipendenti pubblici che dovessero usufruire di “quota 100” dovrebbero però aspettare alcuni anni prima di poter avere la liquidazione.
Il pensionamento tramite “quota 100” sarà su base volontaria e prevederà ovviamente una pensione un po’ più bassa, perché si andrà in pensione avendo versato meno contributi. La bozza del decreto legge dice che per il 2019, il 2020 e il 2021 sarà introdotta «in via sperimentale» e che sarà in seguito adeguata alla speranza di vita.
Secondo quanto scritto nella bozza, chi andrà in pensione sfruttando “quota 100” (quindi a 62 anni) non potrà avere fino ai 67 anni dei lavori che portino un reddito annuale di oltre 5mila euro.
La bozza del decreto prevede anche una cosiddetta «opzione donna», per le donne dipendenti nate prima del 1959 e per le lavoratrici autonome nate prima del 1958, a patto che abbiano versato contributi per almeno 35 anni. Si parla anche del possibile ritorno di quella che è nota come Ape sociale, cioè la norma che consente a disoccupati e altre persone che si trovano in una situazione difficile di ricevere un assegno mensile che faccia da ponte fino al raggiungimento dei requisiti per ricevere una pensione.
Il 24° articolo della bozza parla anche della riforma della struttura direttiva di Inps e Inail, che si occupano di pensioni e assicurazioni nel caso di infortuni sul lavoro. È previsto che in entrambi gli enti siano reintrodotti dei consigli di amministrazione di 5 membri nominati dal governo.