“Sovranismo”, la parola

La sentiamo sempre più spesso, soprattutto in Italia, e il suo significato è meno chiaro di quanto sembri: è diventata un sinonimo presentabile di "destra radicale"?

di Davide Maria De Luca

(GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
(GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

Lo scorso novembre il leader della Lega Matteo Salvini ha avuto qualche difficoltà quando, nel corso di un programma televisivo, ha cercato di spiegare il significato della parola “sovranismo” ad alcuni bambini di otto anni. «Sovranismo significa che alla fine la decisione la deve prendere ognuno di voi», ha cominciato Salvini, alludendo a un paragone tra la classe e l’Italia. «Significa che in questa classe si discute – come avviene ad esempio in Europa – poi però a decidere come si fanno i compiti, a decidere del vostro futuro, siete voi».

In quel momento Salvini ha avuto un momento di incertezza, come se si fosse appena reso conto che stava dicendo a una classe di bambini delle scuole elementari che possono fare quel che vogliono in fatto di studio e compiti, invece di dar retta a quello che dicono loro gli insegnanti e i genitori. Il resto della spiegazione si fa a quel punto piuttosto confuso e quando un bambino gli fa notare che il minuto a sua disposizione è scaduto, Salvini cerca invano di ottenere qualche altro secondo per recuperare.

Nonostante l’esempio non fosse proprio calzante, la spiegazione fornita da Salvini è formalmente corretta. Il “sovranismo”, come definito dall’enciclopedia Treccani, è la posizione politica di chi chiede di liberare i governi nazionali dai vincoli esterni, come trattati e organizzazioni internazionali. Secondo i sovranisti, in estrema sintesi, lo Stato deve poter esercitare il suo potere – essere “sovrano” – senza rispondere ad alcuna altra autorità superiore.

“Sovranismo” è una parola arrivata da pochissimo nel dibattito pubblico italiano (la Treccani l’ha inclusa nel suo dizionario soltanto nel 2017) ma in breve è diventata onnipresente, adottata per descrivere fenomeni politici nuovi che un nome non ce l’avevano ancora e non solo: il noto centro studi CENSIS ha inventato la categoria psicologica di “sovranismo psichico” per descrivere il supposto stato emotivo nel quale si troverebbero gli italiani in questo momento storico. Nel frattempo giornali e televisioni la usano quotidianamente come una sorta di “categoria pigliatutto” per mettere insieme partiti e leader politici all’apparenza eterogenei: dalla Lega di Matteo Salvini ai partiti al governo in Ungheria e Polonia, dal Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia (il vecchio Front National) allo UKIP britannico, passando per il presidente statunitense Donald Trump e persino per quello brasiliano Jair Bolsonaro (il tutto, però, avviene in Europa e in particolare in Italia: nel mondo anglosassone la parola “sovranismo” è praticamente sconosciuta e per riferirsi a questi leader e movimenti si usano termini come “nazionalisti”, “populisti”, “ultra conservatori” o, più semplicemente, “estrema destra”).

L’esatta origine della parola “sovranismo” è ancora discussa, ma si ritiene che nella sua moderna accezione sia nata in Francia alla fine degli anni Novanta, quando alcuni scienziati politici la presero in prestito dal nome del movimento per l’indipendenza del Quebec dal Canada e la utilizzarono per descrivere il crescente euroscetticismo di numerosi partiti e leader politici francesi, resi in quegli anni particolarmente agguerriti dalla creazione dell’euro e dai progetti di ulteriore integrazione politica nell’Unione Europea.

I “souverainist”, come vennero ribattezzati, erano “euroscettici” favorevoli a mantenere la propria moneta nazionale e contrari a qualsiasi ulteriore cessione di potere statale alle istituzioni europee. In quegli stessi anni il termine comparve per la prima volta sui media italiani, dove venne utilizzato sporadicamente per definire le prime pulsioni euroscettiche della Lega Nord di Umberto Bossi. Sia in Francia che in Italia, però, “sovranismo” restò per più di un decennio una parola confinata alle riviste e ai circoli accademici e ai margini della vita politica.

Le cose cambiarono quando la crisi economica del 2008 e la sua gestione da parte delle autorità europee provocarono una nuova ondata di diffidenza verso l’Europa e le sue istituzioni. Nel 2012 Marine Le Pen fu la prima politica europea di primo piano ad annunciare la nascita di una coalizione «souverainiste e patriote», “sovranista e patriota”. Con l’uso di quella parola Le Pen puntava a rinnovare l’immagine del Fronte National, ritenuto fino a quel momento un partito autoritario, neofascista e incompatibile con i valori repubblicani, ma allo stesso tempo mantenere un collegamento con il suo storico elettorato nazionalista e radicale.

Anche in Italia il termine iniziò a diffondersi grazie a una destra che cercava di rinnovare la sua immagine mantenendo intatte le sue radici. I primi a utilizzarlo furono i leader della destra sociale alla ricerca di un nuovo contenitore politico (il primato spetta probabilmente a Francesco Storace e Gianni Alemanno, che dopo varie peripezie hanno fondato il “Movimento nazionale per la sovranità”). Anche CasaPound cercò di riciclare la sua immagine creando “Sovranità”, un movimento che si presentò alleato con la Lega di Matteo Salvini alle elezioni regionali del 2015.

Quello che è oggi identificato come il “sovranista” per eccellenza, Matteo Salvini, ha avuto in realtà un rapporto controverso con questo termine. Diventato segretario della Lega alla fine del 2013, Salvini radicalizzò la linea del partito, puntando tutto sull’uscita dall’euro, il tema “sovranista” per eccellenza, e sull’alleanza con i piccoli partiti dell’estrema destra. In quei mesi i giornali iniziarono a parlare della trasformazione “sovranista” della Lega (un termine che sui giornali sarebbe stato inserito tra virgolette ancora molto a lungo), ma Salvini si guardò bene dall’utilizzare pubblicamente quell’etichetta che per molti dirigenti e militanti era inevitabilmente associata alla difesa del potere assoluto dello Stato centrale – cioè “Roma ladrona” – a cui i leghisti erano da sempre ostili.

Tra il 2015 e il 2016, dopo il successo delle elezioni regionali del 2015, Salvini riuscì a liberarsi dei suoi avversari interni nella Lega: l’allora presidente della Lombardia Roberto Maroni, favorevole a un autonomismo “maturo” e moderato, e il sindaco di Verona Flavio Tosi, che puntava a trasformare la Lega in un tradizionale partito di centrodestra. Nel maggio del 2017, poco dopo aver stravinto il congresso della Lega battendo il suo avversario sostenuto da Maroni, Salvini poté finalmente annunciare che la Lega era diventata un vero e proprio «partito sovranista e lepenista», e che chi pensava che questo fosse in contrasto con le sue tradizioni era stato definitivamente sconfitto.

– Leggi anche: L’estremista, Come Matteo Salvini ha usato l’estrema destra per costruire la nuova Lega 

Quanto il successo di Salvini, Le Pen e gli altri leader “sovranisti” sia anche un successo del “sovranismo” come ideologia rimane molto dubbio. I leader polacchi del partito Diritto e Giustizia, per esempio, sembrano molto poco “sovranisti” nel loro sostegno alla NATO e nella loro volontà di continuare a ricevere ampi sussidi dall’Unione Europea, al punto da bloccare una controversa riforma della giustizia che avrebbe rischiato di produrre sanzioni economiche. “Sovranismo” sembra inoltre una definizione riduttiva per leader come l’ungherese Viktor Orbàn, la cui visione di “democrazia illiberale” è molto più ampia e radicale della semplice difesa delle prerogative dello stato nazionale.

Gli stessi Salvini e Le Pen sono sembrati sempre meno “sovranisti” man mano che si sono avvicinati alle più importanti elezioni dei loro paesi. Entrambi hanno abbandonato l’idea di uscire dall’euro e Salvini, durante i suoi primi sei mesi trascorsi al governo, è sembrato allontanarsene ulteriormente. Nessun leader “sovranista” ha oggi un progetto concreto di riforma dell’Unione Europea né tanto meno esiste un programma politico condiviso tra partiti di diversi nazioni. Anzi, quando il governo italiano ha tentato di portare al Consiglio dell’Unione Europea le sue istanze “sovraniste” sulla legge di bilancio, i suoi “alleati sovranisti” sono stati tra i primi a richiamarlo al rispetto delle regole comuni.

Quello che invece i “sovranisti” sono riusciti a fare una volta arrivati al governo (e quello su cui sembrano più concentrati quando non ci riescono) ha poco a che fare con il “sovranismo” e molto con i programmi tradizionali della destra radicale: chiusura delle frontiere agli stranieri, soprattutto se poveri e poco istruiti, difesa dei valori tradizionali e religiosi e lotta al multiculturalismo. Nei casi peggiori, come in Polonia e Ungheria, i programmi e gli obiettivi sono quelli dell’estrema destra autoritaria: erosione dei diritti delle minoranze, dell’indipendenza del potere giudiziario e dell’autonomia dei media.

Anche se esiste un “sovranismo di sinistra”, alimentato da quei partiti secondo cui la globalizzazione e l’attuale assetto dell’Unione Europea sono un ostacolo alla sviluppo sociale dei popoli, oggi “sovranismo” è diventato di fatto un sinonimo di destra radicale o estrema: una parola con cui alcune forze politiche, fino ad allora escluse dalla politica mainstream e dai governi, si sono presentate a un elettorato che, dopo la crisi, era diventato più incline ad accettare il loro messaggio. Sono stati gli stessi leader di quei partiti ad appropriarsi di un termine che – a differenza di “nazionalismo” e di “estrema destra” – non porta con sé connotazioni negative e che ha permesso loro di rivendicare una moderazione rispetto agli eccessi del passato (più o meno sincera che fosse).

Alle elezioni europee del prossimo maggio ci si aspetta un’affermazione importante, se non addirittura una vittoria, di questi partiti e movimenti cosiddetti “sovranisti”, che potrebbero riunirsi in un’unica lista e raccogliere un numero di consensi sufficiente per diventare determinanti nella formazione della prossima maggioranza al Parlamento europeo, e quindi influire sulla composizione della prossima Commissione. Mancano meno di cinque mesi alle elezioni, ma se davvero dovesse nascere una coalizione “sovranista”, per quanto i media e gli stessi leader dovessero utilizzare questo termine, sembra improbabile che a tenerli uniti sarà una vaga ideologia sul cui esatto significato nemmeno tutti appaiono d’accordo. Saranno più probabilmente i vecchi temi e slogan della destra radicale.