Come funzionerà quindi la “flat tax” per le partite IVA
Doveva servire a far pagare meno ai piccoli contribuenti, ma grazie a un meccanismo particolare rischia di provocare guai e sarà sfruttata anche da chi guadagna più di 100 mila euro l'anno
La nuova “flat tax” per le partite IVA, contenuta nella legge di bilancio appena approvata, consentirà a chi ha redditi elevati di avere grossi sconti fiscali e, secondo molti esperti, produrrà un fortissimo incentivo a praticare elusione o addirittura evasione fiscale per ottenere ulteriori sconti. Di fatto, con il nuovo sistema, i professionisti e autonomi che guadagnano fino a 100 mila euro l’anno accederanno a un sistema di sconti fiscali che permetterà loro di pagare meno tasse rispetto a chi guadagna meno di loro ma ha stipendi da dipendente. Inoltre, sfruttando una serie di meccanismi di elusione fiscale, potranno riuscire a ottenere sconti molto significativi anche sui redditi superiori ai centomila euro.
Cominciamo dall’inizio. Il nuovo sistema riguarda le persone fisiche con partite IVA: professionisti, piccoli artigiani e altre figure autonome. “Flat tax”, cioè tassa piatta, indica che queste figure non saranno tassate tramite il sistema ad aliquote progressive dell’IRPEF (quello dei dipendenti, per intendersi) ma in base ad un’aliquota unica, finché resteranno entro un certo limite di fatturato annuale.
Il sistema introduce due nuovi limiti. Il primo inizierà dal primo gennaio ed è fissato a 65 mila euro. Le persone fisiche con partita IVA che nell’anno precedente non hanno fatturato più di questa cifra pagheranno sui loro ricavi dell’anno successivo un’unica imposta sostitutiva con aliquota al 15 per cento. Dal 2020 entrerà in vigore un altro regime agevolato che prevede un’aliquota al 20 per cento (calcolata però con un altro metodo) per chi nell’anno precedente ha fatturato meno di 100 mila euro.
Questo sistema è stato fortemente voluto dalla Lega, che da sempre ha tra i suoi sostenitori più fedeli i piccoli e medi lavoratori autonomi del Nord Italia. Presentata come una norma per aiutare le piccole partite IVA il sistema è stato allargato e, quando entrerà a pieno regime, riguarderà tutte le partite IVA possedute da persone fisiche, tranne il 20 per cento più ricco.
In molti hanno notato che il sistema creerà immediatamente una forte distorsione, aumentando il già cospicuo divario tra quante tasse pagano lavoratori autonomi e dipendenti, a netto vantaggio dei primi. Secondo il Sole 24 Ore, un professionista autonomo con un reddito di 64 mila euro l’anno pagherà in tasse circa 10 mila euro in meno rispetto a un dipendente che guadagna la stessa cifra. Anche scendendo di reddito la differenza rimane, in proporzione, quasi la stessa. Un professionista che fattura 30 mila euro pagherà circa 4 mila euro di tasse in meno rispetto a un dipendente che guadagna cifre simili.
Secondo esperti e commercialisti, il nuovo sistema avrà un altro effetto distorsivo potenzialmente ancora più problematico per il fisco e vantaggioso per il contribuente. Come abbiamo visto, il nuovo regime si applica in base ai redditi riscossi nel corso dell’anno precedente e continua ad applicarsi anche se nell’anno successivo vengono fatturati più di 65 mila euro. Insomma, nell’anno in cui il contribuente ha diritto al regime agevolato, l’aliquota rimane al 15 per cento indipendentemente da quanto sia grande il suo fatturato. L’unico effetto in caso di superamento della soglia è che dall’anno successivo ancora il contribuente non sarà più nel regime agevolato.
Significa che i professionisti non avranno alcuna convenienza a farsi pagare fatture che li porterebbero sopra i 65 mila euro. Saranno quindi incentivati a rimandarne l’incasso, così da concentrare i pagamenti nell’anno successivo e pagare quindi l’aliquota al 15 per cento anche sugli incassi che superano i 65 mila euro, per poi ripetere lo stesso procedimento l’anno successivo.
Scrive il Sole 24 Ore:
Si tratta di un effetto paradossale se si considera che un dottore commercialista, con compensi annui di 65mila euro, non avrebbe alcuna convenienza a incassarne ulteriori 10mila, in quanto con il passaggio al regime ordinario IRPEF si vedrebbe costretto a pagare quasi 11mila euro di imposte in più, a causa di una aliquota marginale superiore al 150 per cento.
E quindi:
Il disincentivo alla produzione di maggior reddito è così marcato che rischia di costituire un incentivo al frazionamento (elusivo) dei ricavi o, nel peggiore dei casi, all’occultamento degli stessi. Senza considerare che tali effetti saranno ulteriormente esasperati dal presumibile incremento delle addizionali Irpef, dovuto allo sblocco delle relative aliquote disposto dalla manovra di bilancio.
Anche per questa ragione, ha scritto Mario Sensini sul Corriere della Sera, moltissimi commercialisti da giorni hanno già suggerito ai loro clienti con i redditi più alti di non incassare più fatture nel corso del 2018, così da rimanere entro il limite dei 65 mila euro e concentrare i ricavi l’anno successivo, quando potranno godere del regime agevolato del 15 per cento.
L’effetto della norma, insomma, rischia di essere non solo a vantaggio di contribuenti già piuttosto benestanti e non bisognosi di particolari aiuti, ma rischia anche di produrre effetti distorsivi, disincentivando la produzione di nuovo reddito o addirittura incentivando pratiche illegali come elusione ed evasione fiscale. Secondo Dario Stevanto, professore di diritto tributario all’Università di Trieste, «gran parte delle energie degli italiani nel 2019 sarà dedicata a come rientrare o evitare di uscire dal regime forfettario. Proprio quello che un’imposta ben progettata non dovrebbe fare».