I lottatori bambini della Thailandia
Iniziano a lottare fin dai sei anni, per denaro e per diventare famosi, a volte a costo della vita: alcuni vorrebbero vietarlo, ma le famiglie si oppongono
A novembre poco più a sud di Bangkok, in Thailandia, un ragazzino di 13 anni è morto in seguito a un’emorragia celebrale provocata dai colpi del suo avversario durante un incontro di muay thai. Nei giorni seguenti è circolato un video dell’incontro in cui si vede l’avversario, un altro ragazzino, accanirsi sulla sua testa priva di protezioni dopo averlo messo al tappeto al terzo round. Il tredicenne è morto due giorni dopo l’incontro; aveva iniziato a combattere a otto anni e secondo i media thailandesi da allora aveva gareggiato in oltre 170 incontri. La sua morte ha fatto emergere nuovamente i problemi legati alla pericolosità del muay thai e in molti, soprattutto gli attivisti per i diritti dei minori, vorrebbero vietarlo almeno sotto una certa età.
Il muay thai è lo sport nazionale della Thailandia. La sua storia risale a oltre 500 anni fa, quando i guerrieri thailandesi svilupparono questa arte marziale per difendersi dagli invasori dei paesi confinanti. Oggi in Thailandia centinaia di migliaia di bambini e bambine thailandesi competono negli incontri di muay thai per vincere i premi in denaro. I genitori sono convinti che in questo modo i ragazzini staranno fuori dai guai e lontano da droghe e delinquenza, ma soprattutto potranno aiutare economicamente la famiglia. Il New York Times ne ha parlato raccontando come spesso alcuni inizino a lottare già a partire dai sei anni, soprattutto nelle zone rurali, e del giro di scommesse che coinvolge gli incontri tra bambini.
Il muay thai, noto anche come boxe thailandese, viene definito la “scienza degli otto arti”, perché gli sfidanti possono usare una combinazione di pugni, calci, gomitate e ginocchiate per colpirsi a vicenda, a differenza del pugilato e del kick boxing, dove se ne possono usare rispettivamente solo due (le mani) e quattro (le mani e i piedi). Gli incontri sono composti da cinque round della durata di tre minuti ciascuno.
Le famiglie più povere vedono nel muay thai un modo per uscire dalla povertà: iscrivono i loro figli e le loro figlie fin da piccoli nelle palestre e li fanno gareggiare negli incontri dove si possono ottenere fino a 600 dollari a vittoria. Ma il giro di soldi maggiore è quello delle scommesse, che attira uomini del posto e turisti. Gli incontri tra minorenni non sono totalmente legali, ma gli organizzatori usano alcuni cavilli e l’opacità delle leggi per continuare a mandare avanti i loro affari. Le leggi della Thailandia prevedono che i boxeur con più di 15 anni si debbano registrare per poter combattere, mentre per chi ha meno di 15 anni le regole non sono così rigide e tecnicamente basta il consenso dei genitori. Tra il 2010 e il 2017 sono stati registrati legalmente solo 10.373 boxeur con meno di 15 anni, ma si stima che regolarmente competano oltre 200 mila bambini in tutta la Thailandia.
I bambini vengono mandati in “campi di allenamento” fin dai sei anni, dove iniziano a combattere con vecchi guantoni e sacchi di fortuna. Durante le competizioni i migliori vengono selezionati per combattere negli stadi di Lumpini e Rajadamnern di Bangkok, la capitale, dove si vincono i premi maggiori e si raggiunge la fama. La giornata di chi si allena viene scandita dagli allenamenti e dalla disciplina: le palestre funzionano come collegi e i giovani combattenti vivono insieme separati dalle proprie famiglie. La rivista Forbes nel 2013 descrisse la giornata tipo dei bambini thailandesi che competono negli incontri di muay thai: sveglia alle 4 e mezza del mattino e corsa di dieci chilometri al buio. Poi allenamenti sul ring dalle 6 e mezza alle 7, scuola, e di nuovo allenamenti. La sera ci sono gli incontri, dove il giro di scommesse porta le vincite anche a migliaia di dollari per round. Tra le storie riportate da Forbes c’era anche quella di un ragazzino, Phetsiam, che aveva iniziato a combattere per costruire ai propri genitori una casa nuova. Le sue vittorie venivano misurate in base all’avanzare dei lavori: fino a quel momento avevano permesso di posare le fondamenta, le travi di sostegno e il tetto.
I critici e gli attivisti dei diritti dei bambini lo hanno definito una forma di abuso e di lavoro minorile, ma gli organizzatori degli incontri sono sempre riusciti ad aggirare le leggi sulla protezione dei minori e sul lavoro minorile: sarebbe illegale farli competere se guadagnassero qualcosa in ogni caso, mentre è legale che competano per un premio in denaro. Per molte famiglie la boxe rappresenta un’entrata extra potenzialmente risolutiva, soprattutto per gli abitanti delle campagne la cui unica forma di sostentamento è la coltivazione del riso: i boxeur bambini possono guadagnare in una notte quello che i loro genitori guadagnano con il raccolto di un anno intero. Possono vincere dai 60 ai 600 dollari per un incontro, e molto di più se riescono a mettere al tappeto l’avversario.
Uno studio pubblicato recentemente da centri di ricerca indipendenti thailandesi ha mostrato gli effetti che i colpi ricevuti durante gli incontri di boxe hanno su questi bambini: in particolare il loro sviluppo celebrale e cognitivo sarebbe più lento rispetto ai coetanei che non praticano il muay thai, senza contare il rischio di danni celebrali che le botte in testa comportano.
Il Parlamento sta studiando una legge per impedire che bambini con meno di 12 anni competano, ma è una proposta impopolare – soprattutto per il giro di denaro che sta dietro agli incontri – che già altre volte non era stata approvata. Nel 1999 un centro di protezione per i diritti dell’infanzia aveva chiesto al governo della Thailandia di vietare la boxe per i minori. La proposta non era stata accolta perché gli abitanti delle campagne si erano lamentati che senza i premi in denaro derivanti dalle vittorie dei figli l’economia locale sarebbe collassata. Per questo motivo il governo promulgò una legge in cui era richiesto solo il consenso dei genitori per permettere ai bambini di combattere. Ora le associazioni di boxe professionistica vorrebbero che l’età minima per gareggiare venisse fissata a 10 anni invece che a 12.