In Sudan si protesta contro il presidente Omar al Bashir
Le manifestazioni vanno avanti da una settimana e hanno già provocato morti e feriti: Bashir è al potere dal 1989
A Khartum, la capitale del Sudan, centinaia di persone hanno cercato di raggiungere la residenza del presidente sudanese Omar al Bashir per chiederne le dimissioni. I manifestanti sono stati dispersi dalla polizia, che ha usato gas lacrimogeno e ha sparato colpi in aria. Bashir è presidente del Sudan dal 1989, quando prese il potere con un colpo di stato. Le proteste contro di lui sono cominciate circa una settimana fa: sono state provocate da un aumento dei prezzi e dalla carenza di cibo e carburante. La manifestazione di oggi è stata organizzata da un gruppo di sindacati con il sostegno del Partito della Nazione (anche noto come Umma), uno dei principali partiti di opposizione.
Per ora non ci sono conferme ufficiali che negli scontri di oggi tra manifestanti e polizia ci siano stati morti o feriti. Secondo «resoconti attendibili» raccolti dall’organizzazione per la difesa dei diritti umani Amnesty International, nelle proteste dei giorni scorsi 37 persone erano state uccise dalla polizia e dall’esercito, che avrebbero sparato munizioni vere sulla folla. Secondo uno dei capi dell’opposizione sudanese, inoltre, durante il fine settimana sarebbero state uccise 22 persone: il governo ha ammesso che ci sono stati dei morti senza comunicare però un numero ufficiale.
Nei video e nelle immagini diffuse su internet da attivisti e politici sudanesi, si vedono i manifestanti intonare canti patriottici e slogan usati anche nelle proteste del 2010 e del 2011, quelle della cosiddetta “Primavera Araba”. I manifestanti stanno chiedendo che Bashir si dimetta e lasci il potere a un «governo di transizione di tecnici con un mandato approvato da tutte le parti della società sudanese». Nella petizione scritta dai manifestanti si dice inoltre che le proteste non violente, inclusi gli scioperi generali, andranno avanti finché non finirà il regime guidato da Bashir.
Oggi Bashir non si trova a Khartum ma a Wad Madani, il capoluogo dello stato di Gezira, a sud della capitale. Lunedì, in risposta alle proteste, il presidente aveva annunciato provvedimenti per stimolare l’economia. Contro Bashir ci sono due mandati di arresto dalla Corte penale internazionale, del 2009 e del 2010, emessi per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio per il suo ruolo nel cosiddetto “conflitto del Darfur”, una ribellione di alcune etnie nei confronti del governo centrale sudanese iniziata nel 2003 e che secondo le Nazioni Unite causò la morte di 300mila persone.
Nell’ultimo anno in Sudan c’è stata una grossa svalutazione della moneta, la sterlina sudanese, e i prezzi sono cresciuti moltissimo. Per fare fronte a una mancanza di denaro contante, il governo ha imposto alle banche di limitare la possibilità di ritirare denaro. Nel 2020 dovrebbero esserci nuove elezioni presidenziali e i parlamentari che sostengono Bashir stanno promuovendo una modifica della Costituzione che permetterebbe al presidente di ricandidarsi.