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  • Lunedì 24 dicembre 2018

La polizia kenyana dice che Silvia Romano è viva

E si troverebbe ancora in Kenya: a oltre un mese di distanza, si ritiene che il rapimento sia stato compiuto da criminali comuni

Un'immagine del villaggio di Chakama, in Kenia, dove è stata rapita Silvia Romano. (ANSA/CLAUDIO ACCOGLI)
Un'immagine del villaggio di Chakama, in Kenia, dove è stata rapita Silvia Romano. (ANSA/CLAUDIO ACCOGLI)

Aggiornamento del 25 dicembre: La polizia kenyana ha detto che, secondo le sue informazioni, la volontaria italiana Silvia Romano rapita lo scorso 20 novembre vicino a Malindi sarebbe viva e si troverebbe tuttora in Kenya. Lo ha fatto sapere il comandante della polizia regionale Noah Mwivanda: «Abbiamo informazioni cruciali, che non vi possiamo rivelare, che ci fanno pensare con certezza che Silvia Romano sia ancora viva e che la troveremo», ha spiegato. «Abbiamo sul campo tutte le risorse necessarie per l’operazione e sappiamo che è ancora in Kenya».

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Sono passati 34 giorni dal rapimento di Silvia Romano, la volontaria italiana sequestrata lo scorso 20 novembre a Chakama, un villaggio nel sud del Kenya dove lavorava come cooperante umanitaria. Le notizie nelle ultime settimane sono state poche, e quasi mai sono arrivate da fonti ufficiali: le informazioni più aggiornate sono state raccolte dai giornali e dalle agenzie di stampa italiane parlando con fonti della polizia kenyana. Probabilmente per non interferire con le ricerche di Romano, il governo italiano ha parlato poco o niente della questione.

Repubblica ha mandato l’inviata Raffaella Scuderi a Malindi, città costiera a poca distanza da Chakama: le ricostruzioni più aggiornate e affidabili sono le sue, pubblicate un paio di giorni fa. Ma bisogna tenere presente che si basano su informazioni non confermate e che raccontano una storia complicata e che si sta svolgendo in una zona di mondo nella quale è molto difficile riconoscere l’attendibilità delle fonti.

Tutte le informazioni fanno pensare che Romano sia ancora viva, e che i suoi rapitori siano criminali comuni non affiliati a gruppi terroristici, come temuto inizialmente per via della presenza dell’organizzazione somala al Shaabab in Kenya. Secondo l’intelligence kenyana, dice Scuderi, i rapitori sono probabilmente somali appartenenti all’etnia wardei, composta in larga parte da pastori. Con Romano hanno percorso circa 200 chilometri verso nord-est, e sarebbero arrivati nella zona del fiume Tana. Secondo le informazioni di Scuderi, la polizia ritiene che siano momentaneamente bloccati dall’esondazione di due affluenti: dopo averne attraversato uno su una barca, non sono più riusciti a superare il secondo. La polizia, continua Scuderi, sta cercando il complice che li ha aiutati nell’attraversamento, e nel frattempo ha chiuso i fiumi alle barche.

Proseguendo in quella direzione – ancora per un paio di centinaia di chilometri – i rapitori potrebbero arrivare nella riserva di Boni, una zona di foresta al confine tra Kenya e Somalia, nota per nascondere vari gruppi affiliati a al Shaabab. Non è chiaro quante persone siano attualmente con Romano: inizialmente i sospetti rapitori erano tre, ma uno di loro è stato arrestato lo scorso 9 dicembre nel villaggio di Bangali. Secondo Scuderi però il gruppo originario si è allargato e ora i rapitori sono sei.

Non si capisce bene come procedano le ricerche della polizia. Il territorio, coperto in buona parte da foreste, è difficile da perlustrare; inoltre Scuderi, citando “fonti vicine alle autorità”, parla di una presunta gara tra tre diversi corpi di polizia per ritrovare Romano, che starebbe rallentando le operazioni. Le forze dell’ordine stanno arrestando molte persone, secondo diverse ricostruzioni con modi arbitrari e violenti: in particolare, avrebbero arrestato per una notte 97 residenti di un villaggio – compresi anziani e bambini – accusati di avere informazioni sui rapitori. Fuori dal centro abitato erano infatti state ritrovate tracce che la polizia riteneva fossero state lasciate dai rapitori. In precedenza, la polizia aveva arrestato alcuni suoi stessi informatori, con l’accusa di aver messo in guardia i rapitori prima di un’operazione di polizia che era poi fallita.