Cos’è questa sanatoria sulle professioni sanitarie
Un criticato emendamento alla legge di bilancio permetterà a migliaia di persone senza un titolo di studio riconosciuto di continuare a lavorare: perché?
Un emendamento alla legge di bilancio approvata nel weekend al Senato è al centro di molte discussioni, perché accusato di rappresentare una specie di condono a favore di chi esercita abusivamente una professione sanitaria. L’emendamento, che è stato voluto dal Movimento 5 Stelle, prevede che chi ha svolto una professione sanitaria per 36 mesi negli ultimi dieci anni, anche non continuativamente e in modo dipendente o autonomo, possa continuare a farlo iscrivendosi entro il 2019 a un albo speciale.
L’emendamento è stato pensato come correttivo a un problema di una legge del precedente governo che istituiva 17 nuovi ordini professionali in campo sanitario, a cui è obbligatoria l’iscrizione per poter esercitare la professione. Migliaia di lavoratori del settore non hanno però potuto iscriversi perché sprovvisti di un titolo di studio riconosciuto dallo Stato, e ora potranno farlo grazie a un albo speciale: secondo qualcuno è un condono del loro abusivismo, secondo altri è un modo per evitare che persone che svolgono un lavoro da anni lo perdano. Il problema alla base della discussione è perché queste persone non abbiano un titolo di studio riconosciuto, e perché abbiano potuto continuare a esercitare fino a poco fa.
Per professioni sanitarie si intendono normalmente quelle infermieristiche, ostetriche, tecniche-sanitarie (come quelle radiologiche), logopedistiche o fisioterapiche. Dal 1998, per esercitare una di queste professioni è necessario un diploma universitario: ma i primi corsi furono attivati soltanto dall’anno accademico 2001/2002. Una legge del 1999 aveva riconosciuto come equipollenti (uguali dal punto di vista legale) ai diplomi universitari gli attestati ottenuti con i corsi triennali specialistici o regionali organizzati prima della riforma. Ma furono inclusi in questa legge soltanto gli attestati ottenuti entro il 17 marzo del 1999.
Ci sono quindi molte persone – non è chiaro esattamente quante, ma si parla di diverse migliaia – che prima di quella data stavano già frequentando uno di quei corsi specialistici o regionali, o che ne iniziarono uno dopo la riforma ma prima dell’attivazione dei corsi universitari. Gli attestati ottenuti da queste persone non furono mai ufficialmente riconosciuti come equivalenti al diploma universitario, ma in moltissimi casi permisero loro di iniziare a lavorare per via della fase di transizione attraversata dal settore.
Con casistiche individuali molto varie e complesse, ci furono in pratica migliaia di persone che cominciarono a esercitare grazie a un titolo di studio che non era stato riconosciuto come equivalente a quello universitario, e che quindi era ancora valido ma solo per poco, o che non era più valido da poco tempo. Questi attestati, in ogni caso, smisero di essere riconosciuti come abilitanti alla professione nel giro di pochi anni, ma di fatto permisero a migliaia di persone di continuare a esercitare la professione. Abusivamente, secondo molti; con un titolo che era valido quando iniziarono il loro percorso professionale, secondo altri.
Negli anni, alcune professioni sanitarie – tra cui gli infermieri, nel 2006 – sono state regolamentate da un albo specifico. Per altre professioni invece non è stato previsto un ordine fino alla scorsa primavera, quando è entrata in vigore una legge voluta dall’ex ministra della Salute Beatrice Lorenzin che obbliga i lavoratori, autonomi e dipendenti, delle professioni sanitarie ancora sprovviste di un ordine a iscriversi a un albo speciale istituito per l’occasione. In particolare, la legge ha interessato i tecnici sanitari di radiologia medica e quelli delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione: in tutto, cioè, 19 tipi di professioni diverse, dai fisioterapisti ai podologi, dai logopedisti agli igienisti dentali.
Le persone i cui attestati non erano stati equiparati ai diplomi universitari, e che ciononostante esercitavano una di queste 19 professioni da anni, non hanno però potuto iscriversi. L’emendamento incluso nella legge di bilancio dal M5S è quindi una sanatoria per questo gruppo di persone, che si dovranno iscrivere entro il 31 dicembre 2019 a un elenco speciale, di cui però non si sa ancora nulla.
Tra le motivazioni presentate a favore dell’emendamento dal M5S c’è il fatto che il licenziamento dei professionisti sprovvisti di un titolo equivalente a quello universitario comporterebbe delle nuove spese pubbliche sia per le liquidazioni che per le nuove assunzioni.
Secondo quanto ha detto il ministero della Salute a Repubblica, le persone interessate sono «decine di migliaia (…) in grande prevalenza di massofisioterapisti ed educatori professionali, ma anche di altre categorie più circoscritte». Molte associazioni di categoria hanno criticato l’emendamento. L’Associazione italiana fisioterapisti, per esempio, dice che permetterà di continuare a esercitare la professione abusivamente, spiegando che «manca la previsione di quali titoli di studio permetterebbero tale iscrizione, mancano le modalità di verifica delle reali competenze degli iscritti agli elenchi speciali necessarie per potersi occupare della salute delle persone». La Federazione nazionale degli ordini della professione di ostetrica ha anche aggiunto che «appartenere a un albo non è una semplice iscrizione, ma significa dover dimostrare al nostro Sistema nazionale, e quindi alla collettività tutta, di possedere una serie di requisiti: un percorso formativo di base e di specializzazione nel settore sanitario, di aver acquisito competenze e abilità, di aver superato esami e prove».
La legge di bilancio è stata approvata dal Senato tra sabato 22 dicembre e domenica 23; ora dovrà essere approvata dalla Camera entro il 31 dicembre.