La Bulgaria vuole riprendere a costruire una centrale nucleare di epoca sovietica
È la terza volta in quasi quarant'anni che ci prova, ma questa volta non vuole investire soldi pubblici: Cina e Russia si sono già fatte avanti
La Bulgaria vuole riprendere a costruire la centrale nucleare di Belene, che era stata progettata ancora in epoca sovietica, negli anni Ottanta, ma mai portata a termine. La costruzione era stata bloccata già due volte nel corso degli ultimi quarant’anni, nel 1990 e nel 2012, ma il governo, guidato dal partito conservatore GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria), ora ritiene che sia l’unico modo per ridurre la dipendenza del paese dal carbone. La Commissione Europea dovrà comunque approvare il progetto, per assicurarsi che rispetti gli elevati standard di sicurezza per le centrali di questo genere.
È probabile che a Bruxelles il progetto non sia visto di buon occhio, anche perché la Bulgaria si affiderebbe alla Russia per la costruzione e la manutenzione dell’impianto. Dall’altra parte, la Bulgaria prova da tempo ad essere sempre più indipendente dalle fonti non rinnovabili come il carbone, e in un paese che sfrutta già la sua disponibilità di risorse rinnovabili, il nucleare potrebbe essere una delle poche soluzioni sul tavolo.
La centrale nucleare, le cui fondamenta sono state costruite nel 1987, sorge a pochi chilometri dal paesino di Belene, sulla riva sud del Danubio nel nord della Bulgaria e al confine con la Romania: al momento vicino al sito, oltre alle gru ferme dagli anni Novanta, si possono vedere gli edifici diroccati di epoca sovietica che dovevano ospitare il personale della centrale e le loro famiglie, che però sono rimasti disabitati. Di recente, Bloomberg ha dedicato un reportage ai complessi residenziali abbandonati e ai lavori della centrale nucleare, che, se costruita, sarà la seconda della Bulgaria, dopo quella di Kozloduy.
La discussione sulla costruzione della centrale nucleare di Belene iniziò verso la fine degli anni Settanta e il progetto venne avviato nel 1981. In origine prevedeva la costruzione di quattro reattori nucleari da 1000 megawatt l’uno. Dopo la caduta del regime comunista e la disintegrazione dell’Unione Sovietica, il piano originale per la costruzione della centrale fu interrotto. Un secondo tentativo nel 2002 venne fermato un decennio più tardi, nonostante la Commissione Europea avesse approvato il progetto (la Bulgaria è membro dell’Unione Europea dal gennaio del 2007 e tra i requisiti di ingresso l’UE aveva richiesto la chiusura di quattro vecchi reattori presenti nella centrale di Kozloduy).
Durante il secondo tentativo, la Bulgaria comprò solo due reattori nucleari dalla Rosatom, l’agenzia nucleare russa. Dopo che prese il potere, il partito conservatore GERB – lo stesso che attualmente guida il paese – decise di cercare investitori esterni, statunitensi e europei, per evitare di dipendere completamente dai partner russi. La cosa finì nel nulla e il progetto venne chiuso nuovamente nel marzo del 2012, anche per divergenze sui costi della costruzione che i russi non volevano abbassare. Nel 2016 la Bulgaria ha dovuto pagare a Rosatom più di 620 milioni di euro per avere cancellato in anticipo il progetto, ma ha ricevuto l’attrezzatura necessaria per far comunque funzionare i due reattori da 1000 megawatt, in caso di ripresa dei lavori.
Quest’estate il parlamento bulgaro ha dato nuovamente al governo il mandato di riprendere la costruzione della centrale nucleare di Belene. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre la dipendenza energetica della Bulgaria dal carbone. La Bulgaria ha raggiunto da anni gli obiettivi per la produzione di energia rinnovabile previsti per il 2020: circa il 19 per cento del consumo di energia è prodotto da fonti di energia rinnovali, mentre la media europea è del 17 per cento. Rimane il problema dell’inquinamento generato dal carbone che viene estratto e lavorato in alcune delle centrali più inquinanti dell’UE, e che genera il 46 per cento dell’energia che serve al paese.
L’Unione Europea ha chiesto a tutti i paesi membri di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 40 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e il governo della Bulgaria ritiene che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sia la costruzione di una seconda centrale nucleare. A inizio dicembre la ministra dell’Energia Temenuzhka Petkova ha detto che il governo indirà una gara d’appalto per riprendere la costruzione e che deciderà il vincitore entro la fine del 2019. La costruzione non dovrebbe durare più otto anni, secondo le stime del governo, e il tetto di spesa è fissato a circa 10 miliardi di euro.
Il problema è che il governo bulgaro non vuole investire nel progetto un euro in più. Il terreno, i comprensori residenziali per il personale, le fondamenta della centrale e i due reattori russi verranno messi a disposizione della futura ditta di costruzione e saranno gli unici incentivi previsti.
La Bulgaria vuole essere libera da qualsiasi tipo di responsabilità finanziaria, per cui non parteciperà economicamente a nessuna fase della costruzione della centrale di Belene – nemmeno per attrarre investitori privati – e per questo motivo il numero di potenziali investitori potrebbe essere limitato alle grandi società russe e asiatiche, che spesso intrecciano le proprie operazioni con gli interessi dei rispettivi governi. Per i cinesi la centrale di Belene potrebbe essere un punto di accesso strategico al mercato europeo, mentre la Russia potrebbe usare la centrale nucleare come strumento di pressione sul governo e il dibattito politico bulgaro.
Al momento, riporta Reuters, si sono fatte avanti la compagnia cinese China National Nuclear Corp. e la coreana Hydro & Nuclear Power Co. Anche Rosatom e la compagnia francese Framatome sono state invitate dal governo bulgaro a partecipare alla gara, ma per ora un portavoce di Fromatone ha fatto sapere che la compagnia è interessata solo alla costruzione dell’impianto, e non alla gestione.
Secondo gli esperti, la costruzione di Belene sarà un’operazione difficile. In tutta Europa i governi, costruttori e investitori si stanno orientando verso le fonti di energia rinnovabili come solare ed eolico anche a causa degli elevati costi di costruzione del nucleare. Secondo gli analisti del settore, difficilmente il piano del governo potrà funzionare.
«Una delle ragioni principali per cui non vale la pena costruire questo impianto è che sarà estremamente costoso e non offrirà prezzi competitivi», ha detto a Bloomberg un analista del Centro di Studi sulla Democrazia – che ha sede nella capitale della Bulgaria, Sofia – «diventerà un impianto fantasma che non giocherà alcun ruolo nel sistema energetico del paese». Secondo i calcoli del Centro, l’impianto genererà perdite per almeno 4,5 miliardi di euro entro il 2050.
Anche se dovesse trovare un investitore disposto a farsi carico di tutti i costi, la Bulgaria dovrà comunque aspettare il via libera dell’Unione Europea per la costruzione della centrale. Il commissario europeo per l’Azione per il clima e l’Energia, Miguel Arias Cañete, ha detto che l’approvazione della Commissione risalente al 2007 non è più valida. Il progetto dovrà essere trattato come se fosse nuovo e dovrà essere sottoposto nuovamente alla Commissione Europea.
Uno dei motivi è che dopo il disastro nucleare di Fukushima, causato da uno tsunami che si è abbattuto sulla costa giapponese nel marzo 2011, l’Unione Europea ha cambiato i protocolli di sicurezza per le centrali nucleari, rendendoli più severi. L’Agenzia bulgara per il nucleare ha detto di essere consapevole che il progetto deve passare nuovamente dall’approvazione dell’UE, ma ritiene questo passaggio una mera formalità, mentre il governo non ha risposto alle affermazioni di Cañete.