Ci lasceremo dietro soltanto ossa di pollo?
Un nuovo studio ipotizza che i miliardi di polli che macelliamo ogni anno possano diventare la nostra principale eredità fossile per i geologi del futuro
Un articolo pubblicato questa settimana sulla rivista scientifica Royal Society Open Science ipotizza che il pollo da allevamento possa essere considerato come uno dei principali tratti identificativi dell’attuale era geologica, quella caratterizzata dalle trasformazioni terrestri dovute all’attività umana, e che sempre più scienziati identificano come Antropocene. Lo studio, guidato dalla biologa dell’Università di Leicester Carys E. Bennett, suggerisce che uno dei lasciti più importanti e concreti che trasmetteremo ai geologi del futuro saranno infatti le ossa dei miliardi di polli che macelliamo ogni anno, diversi da tutti i polli che siano mai vissuti sulla terra prima di una sessantina di anni fa.
Negli anni Ottanta la scienza iniziò a teorizzare l’Antropocene come definizione dell’era geologica attuale, cominciata quando le attività dell’uomo hanno iniziato a modificare la geologia e l’ecosistema terrestre, anche oltre il riscaldamento globale. Biologi, chimici e geologi hanno continuato per decenni a interrogarsi sulle caratteristiche distintive di quest’era, la cui definizione è stata presentata all’Unione internazionale di scienze geologiche perché venga formalmente adottata nella scala dei tempi geologici come successiva all’Olocene, che si fa iniziare dopo l’ultima glaciazione oltre 10.000 anni fa.
Ma sugli elementi concreti che distinguano l’Antropocene dall’Olocene gli scienziati discutono ancora. La chiave perché sia riconosciuta una transizione simile, infatti, è individuare delle prove concrete che possano testimoniare questo passaggio ai geologi del futuro: secondo Bennett e i suoi colleghi, dovremmo concentrarci sul pollo da allevamento. In ogni momento, sulla Terra ci sono circa 23 miliardi di polli, dieci volte più di qualsiasi altro uccello, e con una massa complessiva superiore a quella di qualsiasi altro uccello sul pianeta. Ogni anno ne vengono macellati circa 60 miliardi.
Ancora più che la loro quantità, è la loro qualità a renderli potenzialmente un segno inconfondibile della nostra era geologica, secondo Bennett. Se l’uomo alleva i polli da circa 8.000 anni, quando dal sud est asiatico si diffusero in tutto il mondo, negli ultimi sessant’anni sono diventati un’altra cosa. Fino all’inizio del Novecento i polli erano allevati soprattutto per le uova, ed erano macellati soltanto in occasioni speciali. Le cose cambiarono a partire dagli anni Venti, quando si iniziarono ad allevare al coperto per tutto l’anno. Ma la vera rivoluzione avvenne con la crescita tecnologica del secondo dopoguerra, che introdusse nuovi ed efficienti metodi per incubare artificialmente le uova, per aumentare le possibilità di sopravvivenza dei polli con farmaci e antibiotici, e per allevarli e macellarli in enormi quantità in spazi coperti limitati. Secondo una stima sul consumo di pollo in Regno Unito, nel 1950 ne vennero mangiati un milione: nel 1965, 150 milioni.
Si stima che i polli da allevamento attuali abbiano una massa cinque volte superiore a quella dei loro antenati, nonostante siano tenuti in vita dalle cinque alle nove settimane prima di essere macellati. L’aspettativa di vita di un pollo va dai cinque ai dodici anni, a seconda delle razza. Ma i metodi di allevamento, indirizzati a garantirne una crescita rapida, ne hanno modificato l’aspetto genetico: i polli da allevamento oggi mangiano insaziabilmente, e seguono una dieta – basata sui cereali e non su semi e sugli insetti – che ne ha alterato la composizione chimica delle ossa.
Vien da sé che una produzione così sostenuta si lasci dietro enormi quantità di scarti, dalle piume alle interiora agli escrementi. E comprese le ossa di pollo, che per rimanere in eredità ai geologi che studieranno la Terra tra qualche secolo dovrebbero fossilizzarsi. Più che alla fossilizzazione, però, le ossa di pollo vanno incontro – una volta finite nelle discariche – a un processo di mummificazione, cioè a una rapida perdita dei liquidi che le preserva in un modo simile, tipico delle inumazioni in mancanza di ossigeno.
Secondo Bennett, le ossa di pollo mummificate sopravvivrebbero quanto prodotti umani come plastiche e lattine. E gli scienziati del futuro, studiando queste ossa, le riconoscerebbero come molto diverse da quelle dei polli allevati prima del secondo dopoguerra, per le mutazioni genetiche avvenute nel frattempo.