In Belgio – indovinate? – il governo se la passa male
I nazionalisti fiamminghi hanno lasciato la maggioranza e ora il governo di Charles Michel è in una posizione più che mai precaria
In Belgio potrebbe iniziare molto presto una nuova crisi politica. Sabato scorso la Nuova alleanza fiamminga (N-VA), partito fiammingo indipendentista di destra, ha tolto il suo appoggio al governo del primo ministro belga Charles Michel, rifiutandosi di firmare un importante documento ONU sull’immigrazione. Quello di Michel è ora un governo di minoranza, molto precario e instabile, che secondo Politico «potrebbe cadere in qualsiasi momento».
Non è la prima volta che il Belgio si trova in una situazione politica complicata, negli ultimi anni. Tra la metà del 2010 e la fine del 2011, per ben 540 giorni, rimase senza un governo, bloccato dall’impossibilità di trovare una maggioranza dopo le elezioni che avevano sancito il grande successo dei fiamminghi della N-VA. Le divisioni tra la regione delle Fiandre, più ricca e popolosa, e la Vallonia, francofona e meno ricca, sono sempre state motivo di debolezza e instabilità dei governi nazionali. Diverse altre disfunzioni, come per esempio l’inefficacia delle forze di sicurezza nazionali e i molti problemi ai livelli inferiori di governo, hanno fatto parlare in passato di “stato fallito“. Ora, con l’uscita dalla maggioranza della N-VA e l’ascesa del politico separatista fiammingo Theo Francken, la politica belga sembra stare vivendo un altro momento molto complicato.
Il tema su cui si sta sviluppando la crisi politica in Belgio è l’immigrazione, questione che è stata sfruttata soprattutto dalla N-VA, che da forza politica con un’agenda quasi esclusivamente separatista è diventata negli ultimi anni un grande partito di destra capace di spingere il governo ad adottare misure sempre più restrittive nel campo della sicurezza e della difesa dei confini.
Il politico che più ha contribuito a questo cambiamento è stato Francken, fino a domenica ministro per l’Immigrazione del governo guidato da Michel. Francken, noto per il suo stile diretto e brusco e per le sue uscite imprevedibili, è diventato secondo i sondaggi il politico più popolare del Belgio. È stato lui a guidare l’opposizione della N-VA all’accordo ONU sull’immigrazione, chiamato Global Compact for Migration e considerato da alcuni partiti europei, tra cui la Lega di Matteo Salvini, troppo sbilanciato a favore dei migranti. Per criticare l’accordo, Francken ha usato la retorica sovranista ormai comune a molti paesi europei: ha detto che il Global Compact for Migration «tocca il nocciolo della questione: il trasferimento della sovranità e del diritto di autodeterminazione e la salvaguardia dei propri confini. Abbiamo trasferito troppo e questo deve finire».
Negli ultimi anni Francken si è fatto conoscere anche grazie ad alcune dichiarazioni molto forti e a mosse in grado di mettere in imbarazzo i suoi alleati di governo. Tra le altre cose, accusò la ong Medici senza Frontiere di essere coinvolta nel contrabbando di esseri umani e offrì all’ex presidente indipendentista catalano Carles Puigdemont, che se n’era andato dalla Spagna per sottrarsi a diversi processi, l’asilo politico. Questo secondo episodio in particolare provocò una specie di caso diplomatico e si risolse solo dopo che il primo ministro belga Michel disse chiaramente che il governo belga non aveva fatto alcuna offerta di quel tipo a Puigdemont. Francken sarà uno dei leader della campagna elettorale che si terrà in vista delle elezioni europee, regionali e federali del maggio 2019.
La posizione di Michel, francofono e di orientamento liberale, è oggi molto precaria e in generale i successi del suo governo sono stati piuttosto limitati, soprattutto in ambito economico. Michel è riuscito a sopravvivere come primo ministro crisi dopo crisi, tanto da arrivare a definire se stesso come l'”Houdini” della politica belga. Secondo diversi osservatori, comunque, il suo governo potrebbe non durare molto: l’assenza di una maggioranza potrebbe costringere alla convocazione di elezioni anticipate per eleggere un nuovo Parlamento, anche prima delle elezioni europee di maggio.