Il triello tra Stati Uniti, Canada e Cina
Storia di un caso diplomatico complesso, tra ritorsioni e ricatti, iniziato con l'arresto della direttrice finanziaria di Huawei a Vancouver
Dall’inizio di dicembre è in corso una seria crisi diplomatica tra Cina, Stati Uniti e Canada, che sta avendo implicazioni sempre più serie e ampie. La crisi è iniziata con l’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria – e figlia del capo – della grande società tecnologica cinese Huawei, e si è arricchita di un nuovo capitolo mercoledì, quando è stato arrestato in Cina un imprenditore canadese – il secondo in pochi giorni – noto per i suoi stretti legami con il governo nordcoreano. In tutto questo gli Stati Uniti stanno preparando la richiesta di estradizione per Meng, che il presidente statunitense Donald Trump ha detto di essere disponibile a rilasciare in cambio di un accordo commerciale favorevole con la Cina dopo mesi di guerra commerciale e dazi reciproci.
Insomma, è una storia complessa che ha finito per coinvolgere anche il Canada, ma che ha a che fare con molte altre cose, tra cui le sanzioni statunitensi imposte all’Iran e il momento difficile nei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Partiamo dall’inizio.
L’arresto di Meng e la ritorsione cinese
Il primo dicembre Meng, direttrice finanziaria di Huawei e figlia del fondatore dell’azienda, è stata arrestata a Vancouver su richiesta degli Stati Uniti. Meng è accusata di avere mentito alle autorità finanziarie statunitensi nel 2013 riguardo ai rapporti esistenti tra Huawei e Skycom, società di Hong Kong: secondo gli americani, Skycom sarebbe una succursale di Huawei – che, in generale, gli Stati Uniti sostengono sia un’azienda usata al governo cinese per operazioni di spionaggio – e nel corso degli ultimi anni avrebbe svolto molte attività in Iran violando le sanzioni statunitensi. Meng ha negato tutte le accuse e ha sostenuto che Skycom fu venduta da Huawei nel 2009. Meng è stata rilasciata su cauzione mercoledì, decisione che comunque non è servita a ridurre la tensione che si era creata nel frattempo.
Dopo l’arresto di Meng, la Cina ha risposto fermando due cittadini canadesi. Il 10 dicembre è stato arrestato l’ex diplomatico Michael Kovrig, oggi analista del centro studi International Crisis Group, mentre il 12 dicembre è stata la volta di Michael Spavor, imprenditore noto per organizzare viaggi turistici e culturali in Corea del Nord (fu lui per esempio a facilitare l’incontro dell’ex campione di basket NBA Dennis Rodman con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un). Entrambi, ha confermato giovedì il governo cinese, sono stati arrestati per “essere stati coinvolti in attività che hanno messo in pericolo la sicurezza nazionale”, un’accusa molto vaga che non è stata meglio specificata dalle autorità cinesi.
La Cina ha negato che i due arresti siano legati con la vicenda Meng, ma l’ipotesi più accreditata è che siano ritorsioni per mettere sotto pressione il governo canadese. Con un editoriale pubblicato giovedì sul quotidiano cinese Global Times, controllato dal governo, la leadership cinese ha chiesto al Canada di distanziarsi dall’«egemonia» statunitense e far cadere le accuse contro Meng. Il primo ministro Justin Trudeau ha negato però che l’arresto di Meng avesse ragioni politiche e lui e altri membri del suo governo hanno ribadito che il Canada è uno stato di diritto, dove il potere esecutivo è ben separato da quello giudiziario. In altre parole, la posizione del governo canadese è che saranno i giudici canadesi a valutare e decidere come proseguire da qui in poi.
I tentativi di Trump di “usare” Meng
Il monito del Canada sull’indipendenza del potere giudiziario non è stato rivolto solo alla Cina, ma anche agli Stati Uniti: soprattutto dopo alcune controverse dichiarazioni del presidente Trump. Gli Stati Uniti sono parte in causa: la richiesta di arresto di Meng è partita da loro e sarà il dipartimento di Giustizia americano a presentare al Canada la richiesta formale di estradizione, che non potrà essere fatta oltre i 60 giorni successivi all’arresto.
In un commento a Reuters questa settimana, Trump ha detto che potrebbe interessarsi e interferire nel caso di Meng nel caso in cui valuti che un suo intervento sia utile agli interessi di sicurezza nazionale, o a concludere un accordo commerciale favorevole con la Cina. In altre parole, Trump ha ipotizzato la possibilità di far cadere le accuse contro Meng in cambio di una posizione cinese più conciliante nei complicati negoziati che dovrebbero mettere fine alla guerra commerciale iniziata mesi fa. Come ha scritto il New York Times, le dichiarazioni di Trump sono state «un chiaro segnale che la Casa Bianca non ha alcun problema a intervenire nel sistema giudiziario per raggiungere quello che considera essere un vantaggio economico».
Mercoledì diversi esperti si sono espressi sulla reale possibilità di Trump di intervenire nel procedimento in corso. L’interpretazione più accreditata è che Trump avrebbe i poteri per farlo, ma che sarebbe un caso quasi senza precedenti.
Nicholas Burns, ex sottosegretario di stato ed ex ambasciatore statunitense alla NATO, ha detto al New York Times che mischiare la giustizia e lo stato di diritto con questioni commerciali rischia di avere conseguenze molto serie e potrebbe spingere altri paesi ad agire allo stesso modo: «Interferendo nelle decisioni del dipartimento di Giustizia e dando l’impressione di rilasciare [Meng] in cambio di concessioni nei negoziati sul commercio, Trump potrebbe spingere altri leader autoritari a fare la stessa cosa agli americani in giro per il mondo». In altre parole, cittadini americani potrebbero essere arrestati dalle autorità di paesi autoritari e poi essere usati come strumento per ottenere qualcosa dagli Stati Uniti, una mossa simile a quella fatta dalla Cina con i due cittadini canadesi arrestati negli ultimi giorni. Trump, ha detto Wendy Cutler, negoziatrice durante l’amministrazione di Barack Obama, sta dicendo in pratica che «tutto è in vendita».
Non tutti però sono d’accordo con questa interpretazione. Curtis Bradley, docente di Legge all’Università di Duke ed esperto di diritto internazionale, ha detto che in questa faccenda la cosa inusuale è che Trump abbia reso pubblica la sua intenzione di intervenire nel procedimento giudiziario e far cadere le accuse. Da una prospettiva legale, ha detto Bradley, la decisione di richiedere l’estradizione o rinunciarvi è presa per lo più per ragioni di politica estera, sulla quale il presidente ha un’autorità molto ampia.
Cosa potrebbe succedere ora?
Le dichiarazioni di Trump, oltre ad avere prodotto molto scompiglio e proteste da parte del Canada, potrebbero finire per dare una mano a Meng.
Esperti di legge e funzionari canadesi pensano infatti che i commenti di Trump possano ora essere usati dagli avvocati di Meng per sostenere che l’arresto è stato motivato politicamente. Un argomento del genere, ha scritto Reuters, potrebbe trovare appoggio in Canada, un paese in cui i giudici sono particolarmente sensibili alle interferenze politiche nel sistema giudiziario nazionale. Robert Currie, docente di diritto internazionale all’Università Dalhousie di Halifax (Canada), ha detto a Reuters che «Trump ha dato agli avvocati di Meng l’opportunità di sostenere che l’intero processo è stato politicizzato e che il procedimento dovrebbe terminare».
È difficile dire cosa succederà ora. Se i giudici canadesi dovessero decidere di non considerare l’argomento della “motivazione politica”, sarebbe il ministro della Giustizia canadese ad avere l’ultima parola sull’estradizione di Meng negli Stati Uniti. A quel punto, una volta estradata, Meng sarà costretta ad affrontare un processo con le accuse di cospirazione e frode verso diverse istituzioni finanziarie, reati che prevedono molti anni di carcere.