Il piano dell’Unione Europea contro le fake news fa acqua
I soldi sono pochi e gli strumenti non proprio efficacissimi (sempre che ce ne siano, di efficaci)
Mercoledì scorso la Commissione Europea ha presentato un “piano di azione” per contrastare la disinformazione e la diffusione di notizie false online in Europa in vista delle elezioni del Parlamento Europeo il prossimo maggio. Il timore della Commissione è che la Russia cerchi di influenzare le elezioni europee come ha fatto nel 2016 con la presidenziali negli Stati Uniti, con il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e con le elezioni francesi nel 2017, e ultimamente con molte altre importanti elezioni in Europa. Il piano prevede un maggiore stanziamento di risorse rispetto al passato, ma ci sono molti dubbi sulla sua reale efficacia.
A novembre un centro studi ceco aveva diffuso una lettera aperta firmata da giornalisti, esperti di sicurezza digitale, accademici, parlamentari europei ed esponenti della società civile, per denunciare che secondo loro l’Unione non stava prendendo le misure necessarie per proteggere i propri cittadini dalle campagne russe di disinformazione. Nella lettera, indirizzata al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e alla responsabile della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, i firmatari della lettera chiedevano che la Russia venisse considerata come la principale fonte di disinformazione ostile all’Unione Europea e ai suoi valori. Nella lettera accusavano anche Juncker e Mogherini di non aver fatto abbastanza negli ultimi tre anni per contrastare le interferenze della Russia, definendolo «un fallimento politico strategico» della Commissione.
L’Unione Europea aveva iniziato a muoversi già a partire dal 2015, quando l’European External Action Service (EEAS) – un’agenzia europea che dipende dall’Alta rappresentante dell’Unione Europea, quindi proprio da Mogherini – aveva messo insieme un gruppo di persone allo scopo di promuovere la libertà dei mezzi di informazione nell’Europa orientale e contrastare la propaganda russa, la “East StratCom Task Force”. I risultati di quell’operazione però non sono molto chiari: prima del 2018 le attività della “East StratCom Task Force” non avevano un budget dedicato e anche il personale era molto ridotto. Abbiamo chiesto dettagli ai funzionari dell’Alta rappresentanza dell’Unione, ma non abbiamo avuto risposta.
Con il nuovo piano di azione le cose cambieranno almeno un po’, ma non abbastanza. Nel 2019 il budget dell’EEAS sarà di 5 milioni di euro (poco più del doppio dei 1,9 milioni di euro stanziati nel 2018) e lo stesso Andrus Ansip, vicepresidente della Commissione e responsabile per il Mercato unico digitale, ha precisato che «non sono sufficienti» visto che «la Russia sta investendo enormi somme di denaro per supportare la propaganda pro-Cremlino». Si stima che il governo russo investa l’equivalente di oltre un miliardo di euro all’anno per le agenzie come l’Internet Research Agency (IRA) russa, la cosiddetta “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo dove centinaia di persone producono le notizie false poi diffuse sui social network e dai siti russi, sia i più noti Russia Today e Sputnik che altri meno famosi.
«Abbiamo assistito a tentativi di interferire in elezioni e referendum, con elementi che indicano la Russia come fonte principale di tali campagne», ha detto Ansip descrivendo il nuovo piano. Per far fronte a queste minacce la Commissione ora propone di migliorare il coordinamento tra gli stati europei attraverso un “Sistema di allarme rapido” (ci arriviamo), di rafforzare le squadre come l’East StratCom che denunciano i casi di disinformazione e di sostenere i media europei.
La maggior parte del budget (circa tre milioni di euro) andrà alla squadra dell’East StratCom, formata da quattordici esperti di comunicazione e di lingua russa che tra le altre cose curano il sito EUvsDisinfo, che non ha mai avuto un grande successo. Al momento, peraltro, solo quattro persone della redazione lavorano per contrastare la disinformazione russa, mentre dieci si occupano della comunicazione positiva dell’UE nei paesi dell’Europa orientale: Ucraina, Armenia e Georgia. Con l’aumento del budget a disposizione sono previste nuove assunzioni per provare ad analizzare e arginare le attività di disinformazione.
Il “Sistema di allarme rapido”, invece, teoricamente dovrebbe permettere agli Stati di condividere tra di loro i dati sugli attacchi informatici e segnalare quanto dovesse accadere di sospetto. Un funzionario della EEAS ha detto a Euractiv che il “Sistema di allarme rapido” sarà un network chiuso a cui potranno accedere gli stati membri, caricando le segnalazioni dei siti che diffondono notizie false online e condividendole con gli altri paesi. Non è immediatamente chiaro che efficacia possa avere questo sistema – che sarà pronto a marzo – nell’arginare la diffusione delle notizie false, visto che avviene in modo rapidissimo, attraverso siti che vengono aperti e chiusi rapidamente e piattaforme gestite da società private su cui gli stati hanno poco o nessun potere.
Lo scorso settembre, per esempio, era stato presentato un “codice di condotta” – a sottoscrizione volontaria – di buone pratiche contro la disinformazione e la diffusione di notizie false online. Il codice, che è stato sottoscritto da grandi società come Facebook, Twitter e Google, prevede che le aziende si autoregolino per contrastare ed eliminare le fake news dai propri siti (non accettare inserzioni pubblicitarie da siti che notoriamente diffondono disinformazione, eliminare gli account falsi sui social network, etc). Sono impegni generici che queste aziende hanno già preso in passato, senza grandi risultati. Entro la fine del 2018 i firmatari del codice dovrebbero iniziare a fornire alla Commissione degli aggiornamenti mensili sulla sua applicazione, che poi saranno pubblicati.
Prima della pubblicazione del codice la Commissione aveva chiesto il parere di un gruppo di esperti esterni, i quali erano stati piuttosto critici nei confronti dell’efficacia del codice di condotta. Avevano scritto che per come è ora non contiene «né un approccio comune efficace, né impegni significativi, né obiettivi misurabili o indicatori chiave di prestazione (gli indici che monitorano l’andamento di un processo aziendale), né strumenti che permettano di controllare il rispetto [del codice] o monitorare l’implementazione del processo» e quindi è molto difficile stabilire la sua efficacia. Tutto era affidato alla capacità di autoregolazione di piattaforme online e social network, che però finora non hanno dimostrato di essere particolarmente affidabili.