Il periodo d’oro degli smartphone sta finendo

Se ne vendono sempre meno e tendiamo a usarli più a lungo prima di sostituirli: un intero mercato da 500 miliardi di dollari l'anno sta cambiando, a nostro vantaggio

(JACQUES DEMARTHON/AFP/Getty Images)
(JACQUES DEMARTHON/AFP/Getty Images)

In meno di un decennio, gli smartphone sono diventati centrali nelle nostre vite. Per tantissime persone sono il punto di accesso privilegiato non solo a tutte le informazioni disponibili sul Web, ma anche alle nostre reti sociali, da quelle familiari a quelle più estese dei social network, con centinaia (a volte migliaia) di persone con cui condividiamo molti aspetti della nostra esistenza. Tra il 2007 e il 2013 le vendite degli smartphone sono aumentate enormemente, persino durante gli anni più difficili della crisi economica, creando di fatto una nuova economia con miliardi di ricavi e milioni di nuovi posti di lavoro. La loro crescita anno dopo anno sembrava inarrestabile, con una frenesia nel rincorrere gli ultimi e più potenti modelli. Ma ora che il mercato degli smartphone ha raggiunto una certa maturità, con tecnologie provate e sempre più affidabili, il periodo d’oro per i produttori di cellulari sembra essere indirizzato verso la fine, con una normalizzazione delle vendite che causerà grandi cambiamenti in un’industria ancora molto giovane, e con benefici per noi consumatori.

Come spiega Jack Swearingen in una dettagliata analisi pubblicata sul New York Magazine, tra il 2013 e il 2014 la crescita delle vendite di smartphone ha iniziato a rallentare, passando da doppia a singola cifra percentuale. Nel 2017 le consegne di nuovi smartphone sono diminuite per la prima volta, con meno dispositivi venduti rispetto al 2016. I principali produttori si stanno rassegnando a una realtà molto diversa rispetto a quella di qualche anno fa, con la prospettiva di vendite ridotte in buona parte dei mercati, compresi quelli emergenti dove confidavano di mantenere più a lungo alti livelli di vendite.

Livellamento delle vendite
Già da qualche anno alcuni analisti sostenevano che si sarebbe presto arrivati a un livellamento delle vendite di smartphone, considerata l’impossibilità di una loro crescita senza fine. Nel 2012 non era prevedibile quando questo sarebbe accaduto, ma le cause erano già immaginabili e identificabili in due principali fattori.

Il primo è che nel corso degli anni le innovazioni introdotte nei nuovi smartphone sono via via andate diminuendo, o sono per lo meno diventate meno interessanti rispetto al passato. Swearingen fa l’esempio degli iPhone, tra i dispositivi più famosi e costosi: chi nel 2008 aveva acquistato un iPhone 3G e nel 2010 era passato a un iPhone 4 – con uno schermo decisamente migliore, una batteria più affidabile e un design totalmente nuovo – poteva notare la differenza. Lo stesso non si può dire di chi aveva comprato un iPhone 6 nel 2014 ed era poi passato a un iPhone 7 nel 2016: le differenze c’erano, ma entrambi i modelli erano due smartphone potenti e di qualità sufficiente. L’incentivo a cambiare telefono era improvvisamente diventato meno pressante.

Il secondo fattore è strettamente legato al primo e riguarda una generale riduzione delle vendite. Dal 2015 al 2017, su scala globale sono stati venduti ogni anno circa 1,4 miliardi di nuovi dispositivi. I dati sul 2018 non sono ancora definitivi, ma ci sono numerosi indizi che segnalano un declino e il fatto che sia stato superato il picco. La maggior parte degli analisti è convinta dal fatto che non si tornerà a salire e che ci sarà un lento, ma progressivo, declino delle vendite. Molti mercati, a partire da quello degli Stati Uniti, sono arrivati al livello di saturazione, con la maggior parte degli utenti contenti dello smartphone vecchio di qualche anno in loro possesso, e quindi poco o per nulla propensi a cambiarlo.

(Jake Swearingen/Intelligencer)

Qualcosa di analogo sta avvenendo nei mercati in via di sviluppo, visti dai produttori di smartphone come una riserva in cui crescere ancora. India, Sudest asiatico, parti dell’Africa e del Sudamerica non sono arrivati alla saturazione, ma si sta assistendo a un crollo dei prezzi determinato dall’ingresso di produttori che con meno di 200 dollari offrono buoni smartphone, con capacità sufficienti per le esigenze degli acquirenti. I margini di guadagno sono molto bassi e per i produttori già affermati, come Samsung, diventa complicato competere con le altre aziende, soprattutto cinesi, che rinunciano a buona parte dei guadagni pur di espandersi nei nuovi mercati.

La fine del ciclo di due anni
Soprattutto negli Stati Uniti e parte dell’Europa, i primi anni di esistenza degli smartphone sono coincisi con un ciclo di vendite basato sui due anni. In pratica, la maggior parte di noi acquistava un cellulare un anno, per poi sostituirlo con un modello nuovo due anni dopo. L’andamento di questo ciclo era determinato dagli operatori telefonici, con i loro piani biennali per avere uno smartphone molto costoso e pagarlo a rate, nel corso appunto di 24 mesi. Al termine del biennio, l’operatore proponeva di passare a un modello più recente, avviando un nuovo ciclo di due anni per il pagamento a rate. Gli operatori telefonici sono stati molto abili nel gestire queste offerte, ottenendo buoni margini dalla vendita di smartphone per i quali i loro clienti pagavano di più, rispetto a un acquisto in un’unica soluzione. Gli stessi aumenti di prezzo dei modelli costosi erano nascosti, grazie alla possibilità di spalmarli su 24 mesi di rate, con un incremento di pochi euro sulla bolletta mensile.

La possibilità di passare a modelli molto più avanzati e innovativi era un incentivo sufficiente per spingere i clienti degli operatori mobili ad avviare un nuovo ciclo, ma con l’appiattimento delle novità e una maggiore durata degli smartphone ora le cose sono cambiate. Al termine del contratto a rate molti preferiscono tenersi lo smartphone, pagato mese dopo mese, e passare a contratti più economici risparmiando qualche soldo sulla bolletta. Negli Stati Uniti, dove la frequenza di rinnovo degli smartphone era molto alta, si è ormai passati da 20,6 a 24,1 mesi. In Europa molti mercati hanno rallentato ulteriormente con clienti che si tengono per anni lo stesso smartphone, fino a quando non si rompe irrimediabilmente.

Un prodotto come un altro
Swearingen scrive che man mano che il settore matura, gli smartphone diventano sempre più un prodotto come un altro, un oggetto comune che non è più necessariamente definito dalla sua marca. È un processo inevitabile nell’economia di consumo, ma è la cosa che spaventa di più Apple e Samsung, i due più famosi produttori al mondo di smartphone, che devono parte del loro successo proprio alla riconoscibilità e reputazione del loro marchio.

Il mercato dei televisori è in questo senso un ottimo esempio. Da bene eccezionale e per pochi, la televisione è diventata un prodotto molto comune facendo via via ridurre la fedeltà dei consumatori verso marche specifiche. Nuove aziende da poco nel mercato, come la cinese Hisense, producono buoni televisori con caratteristiche analoghe a quelle delle marche più famose e stanno insidiando aziende come Sony, Panasonic e Samsung. Queste ultime, del resto, avevano a loro volta insidiato e poi sconfitto altri produttori di televisori nei decenni precedenti.

Quando un bene diventa comune è molto difficile trovare qualcosa che lo renda di nuovo eccezionale agli occhi degli acquirenti. I produttori di televisori ci provarono qualche anno fa con schermi 3D e curvi, un tentativo di rilancio delle loro vendite che si rivelò fallimentare. Ora la frontiera è offrire schermi sempre più definiti, ma dall’HD i miglioramenti nella qualità delle immagini sono talmente lievi da essere superflui per la maggior parte delle persone, che nemmeno riescono a rendersene conto (salvo non abbiano davanti due schermi con definizioni diverse per fare qualche confronto diretto).

Salvo grandi pensate da parte di qualche produttore, qualcosa di analogo ai televisori e ad altri beni di consumo sta avvenendo con gli smartphone: non c’è più questa grande differenza tra un modello uscito oggi e uno di un anno fa, i consumatori ne sono consapevoli e sono più restii a spendere soldi per cambiare, e se lo fanno si rivolgono a marche più economiche, ma che offrono comunque buoni prodotti.

I grandi rischi per Samsung
Tra i produttori, Samsung è secondo gli analisti una delle aziende più esposte al rallentamento e ai cambiamenti cui stiamo assistendo nel mercato. Certo, i suoi smartphone di alta fascia come le serie Galaxy S e Galaxy Note hanno una base di fedeli utenti, ma una parte consistente dei ricavi deriva dalla vendita di modelli più economici, anche questi basati su Android come centinaia di altri cellulari prodotti dai suoi concorrenti.

Samsung ritiene di avere ancora un buon vantaggio nei mercati in via di espansione dove si vendono molti telefoni di fascia medio-bassa, ma sta sottovalutando la crescente concorrenza. Interessati a espandersi velocemente e il più possibile, aziende cinesi come Xiaomi, Huawei e Oppo offrono buoni prodotti a prezzi molto vantaggiosi, anche se questo implica rinunciare a guadagni più consistenti. Lo possono fare grazie a strutture più agili, incentivi fiscali, bassi costi di produzione e del personale rispetto a Samsung, che rischia di perdere importanti fette di mercato.

Il caso di Apple
Apple almeno nel breve periodo è meno esposta al passaggio degli smartphone a bene qualunque. L’azienda ha una base di clienti estremamente fedeli e, negli anni, è stata abile a costruire servizi per trattenerli sempre di più e indurli ad acquistare altri suoi prodotti. Alcuni chiamano questa strategia “la gabbia dorata”: ti offro prodotti belli e potenti che ti permettono di fare moltissime cose, ma entro certi limiti e a caro prezzo. Gli iPhone sono stati i primi smartphone di successo, quelli che hanno seriamente aperto una nuova economia, ma alcuni dei loro punti di forza potrebbero trasformarsi in debolezze nei prossimi anni (e in parte la trasformazione sta già avvenendo).

Negli Stati Uniti e in diversi paesi europei gli iPhone sono tra gli smartphone più diffusi, con il loro sistema operativo iOS che si integra con buona parte degli altri dispositivi Apple, facendo da leva per indurre ad acquistare un MacBook al posto di un PC o un HomePod per ascoltare la musica a casa e usare Siri, al posto di un Echo di Amazon o di Google Home.

A livello globale la storia è però diversa: iOS non è così diffuso. Se negli Stati Uniti occupa il 40 per cento del mercato, nel mondo è appena al 14 per cento, schiacciato da Android e le sue innumerevoli versioni. Per la maggior parte delle persone il sistema operativo di uno smartphone non è per nulla determinante, soprattutto se a parità di condizioni permette di utilizzare le stesse applicazioni. Nel momento in cui uno smartphone è compatibile con WhatsApp, fa le foto in modo decoroso, permette di navigare sul Web e di usare qualche social, per la maggior parte delle persone è sufficiente.

Apple ha comunque la capacità di esercitare un notevole controllo sui suoi clienti più fedeli. Consapevole che la quantità di smartphone venduti inizierà a scendere, da un paio di anni ha iniziato a seguire una nuova strategia: far pagare ancora di più i suoi iPhone e indurre più persone a sottoscrivere i suoi servizi in abbonamento, come Apple Music e iCloud. La strategia per ora sembra funzionare, ma nel medio periodo potrebbe rivelarsi dannosa. Meno iPhone venduti, seppure a maggior prezzo, implica una minore scala di produzione di massa e quindi costi più alti, senza contare il rischio di vedere diminuire ulteriormente la diffusione di iOS e dei servizi esclusivi per quel sistema operativo.

Apple si sta collocando in una posizione in cui vende uno smartphone a un prezzo medio intorno agli 800 dollari, mentre i nuovi concorrenti offrono modelli di qualità a 300 dollari. Una differenza così marcata di prezzo, giustificata solo in parte dal maggior pregio del prodotto, potrebbe spingere diversi clienti fedeli a cambiare marchio e ad abbandonare gli iPhone. Per Apple è un grande rischio: seppure molto solida economicamente, l’azienda in questi anni non ha per nulla differenziato le sue attività. La stragrande maggioranza dei suoi ricavi, diretti tramite le vendite o attraverso i servizi su iOS, dipende dagli iPhone: se le vendite degli iPhone vanno male, va male tutto il resto dell’azienda. Questo spiega, in parte, l’andamento negativo delle azioni in borsa di Apple nelle ultime settimane, con gli investitori preoccupati e già intimoriti dalle prospettive di una più generale crisi nel settore tecnologico.

E noi nel mezzo?
Il rallentamento delle vendite degli smartphone e l’affermarsi di nuove aziende con prodotti più economici avranno grandi ripercussioni per gli attuali produttori, alcune molto negative. Per dirla in freddi termini utilitaristici ed economici, saranno sostanzialmente fatti loro: saremo spettatori di importanti stravolgimenti, ma ne potremo beneficiare ottenendo smartphone meno costosi e che durano più a lungo.

In un certo senso, scrive Swearingen, il settore assumerà caratteristiche tali da poter essere trattato come quello dell’auto: “Se qualche imbecille ti rompe lo specchietto laterale mentre fa una manovra in un parcheggio e non ti lascia i suoi dati, non butti via la tua automobile e ne prendi una nuova: fai riparare lo specchietto. Se rompi lo schermo del tuo smartphone, non prenderne uno nuovo, fallo riparare”.

E proprio come con le automobili: quando ormai il tuo smartphone non ne può proprio più, sta acceso per pochi minuti o gli mancano dei pezzi, non buttarti sull’acquisto del costosissimo modello appena uscito. Poche persone acquistano auto appena introdotte sul mercato quando devono cambiare la loro, semplicemente perché non ha molto senso in termini economici. Un’automobile si svaluta enormemente in appena un anno, quindi per molti ha più senso orientarsi sull’usato o su modelli rimasti invenduti, a chilometro zero e senza optional all’ultima moda.

Il mercato degli smartphone usati non è ancora molto florido e non è sempre affidabile, anche se stanno emergendo sempre più opportunità con i modelli “ricondizionati”: smartphone ormai usati e resi perché danneggiati, rimessi a nuovo e venduti a prezzi ribassati. La strategia economicamente più sensata resta orientarsi verso modelli recenti, ma non nuovi e usciti già da almeno un anno. Un Google Pixel 3 è un ottimo smartphone da poco uscito e costa 899 euro; il modello precedente, il Pixel 2, si trova a meno di 600 euro. Su modelli di produttori come Xiaomi e Huawei, le differenze di prezzo con i modelli di un anno più vecchi sono ancora più marcate, per via delle loro politiche sui prezzi. Apple e Samsung andranno in guerra contro gli altri, con probabili benefici per tutti noi.