Chi non si fida di Huawei
La società cinese offre le migliori infrastrutture per le nuove tecnologie cellulari, ma molti temono che sia uno strumento del governo per fare spionaggio internazionale
Gli Stati Uniti – e con loro altre nazioni – non vogliono che la società cinese Huawei si occupi della gestione di alcune importanti infrastrutture necessarie per il 5G, la nuova generazione della tecnologia mobile digitale. Potrebbe sembrare una cosa solo da addetti ai lavori – da gente che ne legge sul Wall Street Journal e sul Financial Times – ma non è così. Entro qualche anno la tecnologia 5G prenderà quasi di certo il posto di quella 4G, che usiamo tutti da quasi un decennio per connetterci a internet con i nostri smartphone; i paesi che sono contrari ad affidarne le infrastrutture a Huawei dicono che la società potrebbe usarle per fare spionaggio, d’accordo con il governo cinese. L’Italia per ora non ha ancora vietato a Huawei di mettere mano al 5G, ma è una cosa di cui con ogni probabilità si parlerà anche qui.
Per i non addetti ai lavori, le cose fondamentali da sapere sono queste. Huawei, che ha 150mila dipendenti in più di 150 paesi, è una società che ha sede a Shenzhen, in Cina. È conosciuta per i suoi smartphone e dispositivi digitali, ma è anche leader mondiale nella componentistica per le telecomunicazioni, perché riesce a far convivere una buona qualità con prezzi piuttosto bassi. Senza entrare troppo nei dettagli, Huawei è tra le principali aziende che realizzano infrastrutture e componenti per il 5G, una tecnologia che in futuro offrirà una velocità di connessione mobile maggiore e migliore copertura.
In media una nuova generazione di tecnologie cellulari diventa standard ogni 10 anni. La più recente, il 4G, è emersa all’inizio di questo decennio ed è diventata uno standard a partire dal 2012, dopo non poche difficoltà nel mettere d’accordo governi, operatori e produttori di telefoni sulle frequenze e i sistemi da utilizzare. Ci si aspetta che il 5G diventi la norma un paio d’anni dopo il 2020.
Il 23 novembre il Wall Street Journal ha raccontato che il governo degli Stati Uniti aveva chiesto agli operatori telefonici di non usare componenti di Huawei, temendo possibili futuri attacchi informatici e operazioni di spionaggio compiute dalla Cina. Il 28 novembre Spark, il più grande operatore di telecomunicazioni in Nuova Zelanda, ha detto che l’intelligence del paese ha bloccato, per simili ragioni, un possibile ruolo di Huawei nei lavori per il 5G. Sempre per lo stesso motivo, l’Australia aveva già deciso ad agosto di fare lo stesso.
Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda fanno parte, insieme a Canada e Regno Unito, del “Five Eyes”: un accordo per lo scambio di informazioni tra le agenzie di intelligence dei cinque paesi. Il Canada è tra i paesi che gli Stati Uniti hanno invitato a non fare accordi per il 5G con Huawei. Il Regno Unito ha mostrato diffidenza, ma sembra voler provare un approccio diverso: il 29 novembre l’intelligence britannica ha detto pubblicamente che, così com’è ora, Huawei non è considerata affidabile per realizzare infrastrutture per il 5G, che è comunque una cosa diversa da bloccarne la partecipazione alle gare. Un portavoce del governo britannico ha detto al Financial Times che il NCSC (l’agenzia governativa che si occupa di cybersicurezza) «ha dubbi riguardo a una serie di questioni tecniche, facendo presente quali miglioramenti Huawei deve implementare» per poter essere ritenuta sicura. Al momento Huawei non è bandita dal lavorare al 5G britannico; la società è solo stata allertata affinché provveda ad adeguarsi a certe norme. Ma, scrive il Financial Times, «il messaggio mandato alla società cinese» è chiaro. C’è anche chi sostiene che la mossa serva per rallentare Huawei e permettere ad altre società di mettersi in pari e offrire infrastrutture per il 5G di livello simile.
Il Financial Times racconta che anche in Germania, secondo le loro fonti, «l’approccio del governo si sta facendo sempre più diffidente nei confronti di un possibile ruolo di Huawei nella realizzazione della rete 5G nel paese»; anche se è «troppo presto per dire se la Germania impedirà la partecipazione della società cinese».
Insomma, anche se con intensità diversa e motivi in parte differenti, molti importanti paesi hanno palesato notevoli preoccupazioni nel ruolo di una grande società cinese in una delle più importanti opere di progresso tecnologico dei prossimi anni. Alcuni di questi hanno parlato apertamente del rischio che un altro paese, la Cina, possa usare una sua grande società e le sue infrastrutture per spiarli, vista la delicatezza del settore delle telecomunicazioni. In particolare gli Stati Uniti – la cui intelligence è descritta come molto attiva nel cercare di convincere altri paesi a non fare accordi con Huawei – fanno riferimento a una legge cinese del 2017 secondo la quale aziende e cittadini devono supportare e collaborare con le attività nazionali di intelligence. Vuol dire, in altre parole, che se la Cina dovesse chiederle di fornire informazioni, Huawei difficilmente potrebbe dire di no.
Huawei tra l’altro ha una struttura societaria complicata e non particolarmente limpida. La maggior parte delle azioni della società sono infatti controllate da una specie di sindacato dei lavoratori (di cui fa parte la grande maggioranza dei dipendenti cinesi della società): sono azioni non vendibili e quando un dipendente lascia Huawei le azioni tornano alla società. Si pensa che, nonostante questa struttura, gran parte del controllo continui a essere in mano a Ren Zhengfei, che ha 74 anni ed il è fondatore e attuale presidente. Fino a cinque anni prima di fondare Huawei era stato un ufficiale dell’esercito cinese: un fatto spesso citato da chi sostiene che sia impossibile pensare a Huawei come a una società davvero indipendente dal governo (detto che nessuna società in Cina può esserlo completamente).
C’è comunque chi sostiene che Huawei vada considerata una multinazionale autonoma e indipendente dal governo cinese. In questo caso l’idea è che Stati Uniti e altri paesi stiano usando il pretesto del possibile spionaggio per impedire a una società straniera di prendersi una grande fetta di un importante mercato. La linea di Huawei è stata semplice: ha ripetuto di essere una società privata, indipendente dal governo. Eric Xu – uno dei presidenti del consiglio di amministrazione di Huawei (la società fa ruotare diverse persone nel ruolo) – ha detto che gli Stati Uniti rischiano anche di restare indietro sul 5G.
Non tutti i paesi la pensano però come gli Stati Uniti. Molti altri hanno infatti scelto di affidarsi a Huawei. Il New York Times ha scritto: «Si sta creando un muro che divide il mondo in due. Da una parte ci sono posti che accettano tecnologia cinese in importanti aree come le telecomunicazioni; dall’altra quelli che non lo fanno». L’Italia sembra voler stare dalla parte che accetta la tecnologia cinese. A inizio ottobre, con molto anticipo su altri paesi, si è chiusa l’asta per le frequenze del 5G, in cui lo Stato ha incassato 6,55 miliardi di euro da Tim, Vodafone, Iliad, Wind e Fastweb. Restano da fare le infrastrutture, ambito in cui Huawei potrebbe avere un ruolo. Alla fine di settembre c’è stato alla Camera il ”Huawei 5G Summit” a cui ha partecipato, tra gli altri, Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico.