L’azienda di moda che toglie i loghi e vi lascia il resto
Italic vende beni di lusso fatti dai produttori che servono marchi come Gucci e Celine, ma senza logo e a prezzi ridotti
Italic è una start-up statunitense che permette di comprare a prezzi ridotti beni realizzati dagli stessi produttori di marchi di lusso come Prada, Celine, Gucci, Cartier, Louis Vuitton, Givenchy, Burberry e Miu Miu. Italic, che per il momento non spedisce in Europa, non vende i modelli dei grandi marchi famosi, ma altri nuovi e diversi, creati appositamente e senza logo dagli stessi produttori; per comprare gli oggetti bisogna sottoscrivere un’iscrizione annuale che costa 120 dollari (circa 105 euro) e consente di comprare, per ora, due oggetti al mese.
Spesso chi compra una borsa di Prada o una maglietta di Levi’s non lo fa solo per la garanzia di qualità, ma per sentirsi parte della storia e del sistema di valori di quel marchio. Italic punta sull’esistenza di una percentuale di persone interessata al valore opposto: solo alla qualità concreta di un oggetto, e non al suo valore simbolico e di appartenenza portato da un marchio. Bisogna capire se quella percentuale sarà sufficiente per tenere l’azienda in piedi: secondo uno studio di Daymon Worldwide solo il 29 percento dei millennials, cioè i nati dopo la metà degli anni Ottanta, è fedele a un marchio.
Vox ha comparato un po’ di prezzi per farsi un’idea della differenza: su Italic è possibile comprare all’equivalente di 127 euro una borsetta in pelle dello stesso produttore di quelle di Celine, che paghereste in media 2.900 euro; una giacca in pelle dal produttore di J Brand costa 370 euro anziché 870 dollari (765 euro circa), mentre le lenzuola che trovate al Ritz Carlton e al Four Seasons si aggirano sugli 88 euro.
Italic è stata fondata da Jeremy Cai, che vive a Los Angeles e viene dal mondo delle start-up tecnologiche. La sua famiglia è composta da cinesi immigrati a Chicago che gestiscono una fabbrica di componenti d’auto per Nissan, BMW e Tesla. Quattro anni fa Cai fondò Fountain, un’azienda di software per la gestione delle risorse umane, che lo mise in contatto con grosse aziende e gli diede l’idea di creare un intermediario tra i clienti finali dei beni di lusso e le aziende che li producevano. Così un anno fa iniziò a lavorare concretamente a Italic, assumendo 15 persone con esperienza nel mondo della tecnologia, come Snapchat e Shopify, e della moda, da Armani a Calvin Klein a Patagonia. Ha raccolto finanziamenti per 13 milioni di dollari (11 milioni di euro) da investitori come Index Ventures, Ludlow Ventures, Comcast Ventures e Global Founders Capita e dai fondatori di Coinbase, Behance e TravelBank, e aperto due sedi: una a West Hollywood, in California, l’altra a Shenzhen, in Cina, e progetta di aprirne un’altra a Milano per essere più vicino a molti produttori.
Cai vuole proporre un nuovo modo di fare shopping, dando «ai consumatori la possibilità di comprare direttamente dalle migliori aziende al costo di fabbrica». Il vantaggio sarebbe sia per i clienti, che comprano prodotti di alta qualità a prezzi contenuti, che per le fabbriche. «Se sei un produttore di camicie», ha spiegato, «potresti venderne una a Calvin Klein per 20 dollari e ricavarci il 20 per cento, 4 dollari. Se la compro io, le cose si capovolgono e devo ricavarci qualcosa. Posso farla pagare 100 dollari, ma ne ricavo ancora solo 4. Le cose costoso non costa tanto produrle, ma venderle». Italic consente alle aziende di decidere il costo dei propri prodotti, di cui prende soltanto una percentuale. Di fatto fornisce alle aziende le infrastrutture per vendere, occupandosi del marketing, del design, dell’immagazzinamento. Per le imprese significa profitti più alti ma anche rischi maggiori, visto che le entrate dipenderanno dalle vendite e non dalla soddisfazione degli ordini fatti dai grandi marchi.
Per le fabbriche può essere un’opportunità interessante visto che sempre più aziende di lusso, a partire da Gucci, stanno spostando la produzione internamente per avere il controllo su tutta la catena produttiva e velocizzare la messa in commercio dei beni più richiesti. Altri l’hanno invece dislocata in nuovi paesi, abbandonando per esempio le fabbriche italiane con cui collaboravano da decenni a favore di quelle cinesi. Le aziende prese in considerazione non sono comunque piccoli laboratori artigianali, ma realtà grosse e strutturate che esistono sul mercato da 50-60 anni e hanno almeno 30 mila dipendenti. La maggior parte ha una squadra di creativi o archivi da cui attingere per disegnare prodotti originali; Italic mette a disposizione due stilisti per le aziende che ne avessero bisogno e assicura che non venderà nessun prodotto lontanamente simile ad altri già esistenti.
Al momento Italic spedisce soltanto negli Stati Uniti e offre 60 oggetti nell’ambito della pelletteria, dell’ottica e dei beni per la casa, che raddoppieranno entro l’anno; intende espandersi a breve anche nello sport e nella cosmetica e allargare la lista di paesi serviti. Una settimana fa erano iscritte 100 mila persone, ora bisogna segnarsi in una lista d’attesa oppure ricevere l’invito da qualcuno già iscritto (ognuno può mandarlo a due persone); per ora l’iscrizione è gratuita, non viene cioè applicata la tariffa di 120 dollari annuali. Italic non è comunque la prima azienda a puntare su qualità, prezzi contenuti e assenza di loghi: in Cina nell’aprile del 2016 il miliardario cinese William Ding ha aperto Yanxuan, un sito di e-commerce dove si trovano prodotti senza logo che vengono dagli stessi posti che fabbricano Ugg, Burberry e Gucci. Nel 2017 le vendite sono state di 1,8 miliardi di dollari e quest’anno ci si aspetta arrivino a 3 miliardi.