C’è un grosso problema con gli orfanotrofi
Un po' in tutto il mondo la maggior parte dei bambini ospiti di queste strutture non sono veri orfani, ma sono tolti alle famiglie con false promesse, e poi sfruttati per attirare donazioni
Il 29 novembre, in seguito all’approvazione del “Modern Slavery Bill” da parte del Parlamento, l’Australia è diventata il primo paese al mondo a equiparare il trattamento ricevuto dai bambini in molti orfanotrofi a una forma di schiavitù moderna. Secondo la legge australiana, i bambini orfani che si trovano negli istituti di alcuni paesi, specialmente i più poveri, in molti casi non sono davvero orfani ma vengono sfruttati per ottenere donazioni di denaro dai turisti e dai volontari occidentali. La questione dello sfruttamento degli orfani in alcuni paesi del mondo è conosciuta e dibattuta da diversi anni, e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America già nel 2017 l’aveva definita una forma di schiavitù.
Secondo Lumos, un’organizzazione benefica fondata dall’autrice dei libri di Harry Potter J.K. Rowling, circa l’80 per cento degli 8 milioni di bambini presenti in tutti gli orfanotrofi del mondo non sono davvero orfani. Quello che succede, infatti, è che in alcuni paesi le famiglie più povere decidano di affidare i propri figli agli orfanotrofi con la speranza che lì possano essere sfamati e ricevere un’istruzione, e che in realtà quei bambini vengano sfruttati dagli stessi istituti per ottenere donazioni. La legge approvata in Australia vuole fermare i soggetti che nel corso degli anni hanno involontariamente contribuito alla crescita di questo fenomeno: associazioni di volontariato o semplici turisti che hanno finanziato gli orfanotrofi credendo di fare del bene.
Cambogia, Haiti e Nepal sono alcuni dei paesi in cui questo fenomeno è più diffuso. Secondo un’indagine del 2017 condotta dal governo cambogiano e dall’UNICEF, nel 2017 in Cambogia ci sarebbero stati 16.579 bambini in 406 orfanotrofi: la maggior parte di questi avrebbe avuto almeno un genitore vivente. Nel giro di dieci anni, dal 2005 al 2015, nonostante gli orfani registrati nel paese siano sempre diminuiti, il numero dei bambini presenti negli orfanotrofi è cresciuto dell’80 per cento e il numero degli orfanotrofi è salito del 60 per cento. La stessa cosa è successa ad Haiti, dove dopo il terremoto del 2010 il numero di orfanotrofi è cresciuto del 150 per cento. Si stima che ci siano 30mila bambini in 750 istituti, nonostante il governo del paese ritenga che l’80 per cento di questi abbia almeno un genitore ancora in vita.
Georgette Mulheir, direttore esecutivo di Lumos, ha raccontato a CNN come funzionano questi finti orfanotrofi: innanzitutto ci sono i cosiddetti “cercatori di bambini”, persone senza molti scrupoli che hanno il compito di viaggiare tra le città, soprattutto quelle colpite da disastri naturali, guerre e povertà, e parlare con le famiglie per convincerle a affidare loro i figli. «Ti dicono “sei povero, non puoi badare all’educazione di tuo figlio. Dallo all’orfanotrofio. Noi gli garantiremo istruzione, cure sanitarie, e gli daremo opportunità che tu non potresti mai dargli”», ha raccontato Mulheir.
Una volta arrivati negli orfanotrofi, però, a questi bambini tocca una sorte decisamente diversa: i loro nomi vengono cambiati per non potere essere più identificati, e vengono sfruttati dagli operatori degli istituti che li costringono a fingere di essere orfani con turisti e volontari per raccogliere fondi. Spesso i bambini vengono tenuti in condizioni di salute precaria, proprio per impietosire i visitatori e convincerli a donare denaro alle strutture.
CNN ha raccontato la storia di uno dei tanti genitori che si sono trovati da un momento all’altro a dover rinunciare ai propri figli. È il caso di Mireille, una donna di Haiti che il 12 gennaio del 2010, in seguito al terremoto, si è ritrovata a vivere per quattro anni in un rifugio temporaneo, insieme ai tre figli. Un giorno le si avvicinò un uomo, Jonathas Vernet, il proprietario dell’orfanotrofio “Four Winds Spirit”, che le propose di prendere con sé i tre figli per far avere loro una vita più dignitosa. Mireille accettò ma due anni dopo, quando andò in visita all’orfanotrofio, scoprì che le cose erano molto diverse: i suoi figli vivevano in condizioni precarie, dormivano senza coperte, bevevano acqua sporca ed erano malati.
Durante una conferenza sul tema del traffico degli orfani nei paesi poveri organizzata dalla Thomson Reuters Foundation, l’avvocata Kate van Doore ha parlato di come durante una visita in Uganda scoprì come funziona il traffico degli orfani, raccontando che in un orfanotrofio creato da Forget Me Not, l’organizzazione benefica da lei fondata, i bambini le si avvicinarono e le iniziarono a dire cose come «Posso andare a casa ora? Vorrei vedere mia mamma. Il mio vero nome è Joseph, io ce l’ho una famiglia».
I bambini erano «in condizioni pietose» e molti di loro erano malnutriti o avevano la malaria. In un altro orfanotrofio di Katmandu, in Nepal, Forget Me Not scoprì che erano stati anche creati dei falsi certificati di morte dei genitori dei bambini, per convincere turisti e associazioni di volontariato a fare donazioni. Da allora van Doore è stata tra le principali sostenitrici in Australia della necessità di una legge che condannasse il business del traffico di orfani, e si è battuta perché finissero le donazioni da parte delle organizzazioni benefiche: «Sappiamo fare di meglio che perpetrare questo sistema continuando a donare, finanziare e fare volontariato in questi istituti, e dobbiamo dire basta ora». ha detto van Doore. «Non fate volontariato negli orfanotrofi. Non è mai una buona scelta».