Le cose da tenere d’occhio al G20 in Argentina
A Buenos Aires si vedono i leader dei paesi più industrializzati: si parlerà di Russia e Ucraina, dei dazi tra Stati Uniti e Cina e dell'omicidio di Jamal Khashoggi, tra le altre cose
Giovedì sono arrivati a Buenos Aires, in Argentina, i primi capi di stato e di governo dei paesi membri del G20, il gruppo che riunisce i 19 stati più industrializzati al mondo più l’Unione Europea. Le riunioni ufficiali inizieranno oggi – venerdì pomeriggio ora italiana – e andranno avanti fino a sabato: molte delle cose più rilevanti verranno decise però durante gli incontri laterali a margine della conferenza, dove si discuteranno questioni e crisi specifiche.
I temi sono moltissimi ma ce ne sono quattro più rilevanti di altri, verso i quali c’è molta attenzione e attesa: i rapporti tra Donald Trump e Vladimir Putin, messi sotto pressione negli ultimi giorni della crisi in corso tra Ucraina e Russia a causa di tre navi ucraine sequestrate dai russi; i dubbi su come accogliere al G20 il potente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, accusato da governi e intelligence di essere il mandante dell’omicidio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso a Istanbul lo scorso 2 ottobre; i negoziati per tentare di risolvere la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, iniziata lo scorso marzo e che coinvolge direttamente anche l’Europa; e l’effetto del G20 sulle ambizioni del presidente argentino Mauricio Macri, il quale sta cercando di attirare nuovi ingenti investimenti nel paese in un periodo di grave crisi economica e calo di consensi.
Per Trump e Putin non è il periodo migliore
Giovedì il presidente statunitense Donald Trump ha cancellato l’incontro che aveva in programma a Buenos Aires con il presidente russo Vladimir Putin. Trump ha citato come motivo la crisi in corso tra Russia e Ucraina, iniziata domenica con il sequestro di tre navi ucraine da parte della Russia nello stretto di Kerč’, che separa il Mar d’Azov e il Mar Nero. Negli ultimi giorni i due governi si sono accusati a vicenda di avere compiuto un atto di aggressione e il presidente ucraino ha parlato di «minaccia di una guerra su vasta scala con la Federazione Russa» (pericolo che però è stato ridimensionato da diversi esperti).
La decisione di Trump, inoltre, è arrivata poco dopo la notizia che Michael Cohen, ex avvocato di Trump e persona importante nell’indagine sui rapporti tra il comitato elettorale del presidente e la Russia, si era dichiarato colpevole di avere mentito al Senato riguardo alle trattative – avvenute durante la campagna elettorale del 2016, e sempre negate da Trump – per la costruzione di un grattacielo di Trump a Mosca (qui c’è la versione lunga della storia). È stata una novità importante nell’indagine che sta conducendo il procuratore speciale Robert Mueller, e arriva da una delle persone più vicine a Trump che hanno deciso di collaborare con l’inchiesta, minacciando seriamente la stabilità dell’amministrazione.
Il New York Times ha scritto che la cancellazione all’ultimo minuto dell’incontro tra Trump e Putin «mostra quanto siano diventate inquiete le relazioni tra la Russia e gli Stati Uniti, nonostante gli sforzi pianificati del presidente [Trump] di fare amicizia». E quanto Trump oggi forse consideri controproducente mostrarsi troppo amichevole con Putin.
La decisione di Trump è piuttosto importante, anche se non va letta come un cambio di strategia della sua amministrazione nei confronti del governo russo, ma solo come risposta alle molte e crescenti pressioni che riceve perché metta più distanza tra lui e la Russia di Putin. È comunque solo la seconda volta dal 1960, cioè dall’abbattimento in territorio russo di un aereo spia U-2 statunitense, che viene cancellato un incontro di alto livello tra leader statunitensi e russi: il precedente risale al 2013, quando l’allora presidente americano Barack Obama cancellò una visita a Mosca per protestare contro la decisione di Putin di accogliere in territorio russo Edward Snowden, ex collaboratore dell’intelligence statunitense che nel 2013 sottrasse migliaia di documenti riservati che furono poi oggetto di varie inchieste giornalistiche.
Cosa fare con Mohammed bin Salman?
La riunione del G20 in programma venerdì è vista da molti osservatori come il primo vero test internazionale per il principe saudita Mohammed bin Salman, accusato dall’intelligence statunitense e da diversi governi occidentali di essere il mandante dell’omicidio di Khashoggi.
Nonostante le molte prove e ricostruzioni emerse finora, non c’è accordo tra i paesi occidentali sulla risposta da dare a Mohammed bin Salman. Dieci giorni fa Trump aveva diffuso il comunicato forse più incredibile e unico della storia recente delle comunicazioni pubbliche della Casa Bianca, nel quale diceva che il suo governo avrebbe continuato in ogni caso ad appoggiare l’Arabia Saudita e il suo politico più potente, indipendentemente dalla responsabilità del regime saudita nell’omicidio di Khashoggi. Molti governi europei si erano regolati però in maniera diversa, approvando sanzioni o interrompendo la vendita di armi verso i sauditi. Non è ancora chiaro chi incontrerà Mohammed bin Salman e chi no: Trump ha detto che gli avrebbe fatto piacere, ma aveva già l’agenda piena; il presidente francese Emmanuel Macron ha invece confermato l’incontro.
Intanto in Argentina è stato avviato un procedimento contro Mohammed bin Salman per violazione dei diritti umani. Il procedimento è stato iniziato questa settimana dall’ong Human Rights Watch, che accusa il principe saudita di essere responsabile delle torture inflitte a Khashoggi e ad altri prigionieri sauditi, e sostiene che sia tra i responsabili dei crimini di guerra compiuti nella guerra in Yemen, che prosegue dal 2015. Diversi esperti sostengono che le accuse non possano essere formalizzate prima della fine del G20, ma intanto il giudice incaricato del caso ha chiesto formalmente al ministero degli Esteri argentino informazioni relative all’immunità legale di cui gode Mohammed bin Salman in Argentina.
Stati Uniti e Cina troveranno un accordo sui dazi?
Una delle decisioni più attese che potrebbero uscire dalla riunione di Buenos Aires è quella di un’eventuale tregua nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, in corso ormai da mesi. Tra azioni e ritorsioni, i due paesi hanno imposto dazi alle importazioni reciproche di centinaia di prodotti, per un valore di molti miliardi di euro l’anno, e con ripercussioni che entrambi i paesi stanno iniziando a soffrire.
Parlando ai giornalisti della Casa Bianca, giovedì Trump ha detto di essere «vicino» a fare qualcosa in relazione al commercio con la Cina, ma poi ha aggiunto: «Non so se lo voglio davvero fare, perché quello che abbiamo ora sono miliardi e miliardi di dollari che arrivano negli Stati Uniti sotto forma di dazi o tasse». Secondo alcuni funzionari europei, però, quella di Trump sarebbe una tattica per affrontare da una posizione di forza i negoziati con il presidente cinese Xi Jinping, anch’egli presente al vertice di Buenos Aires.
I più preoccupati per un eventuale accordo, ha scritto Politico, potrebbero essere i paesi europei, che temono di risultare danneggiati dall’intesa e che da tempo hanno un rapporto con Trump molto conflittuale: la Cina potrebbe infatti ordinare alle sue aziende di comprare di più dagli Stati Uniti e meno dall’Europa, e garantire alle società statunitensi un accesso privilegiato al proprio mercato. Un funzionario dell’UE sentito da Politico ha inoltre detto: «Abbiamo offerto ai nostri amici americani di affrontare insieme i problemi che le nostre società stanno avendo in Cina. Ma Trump ha rifiutato. Vogliono tutto il bottino per loro, non vogliono dividere la torta». Tra i funzionari europei c’è anche la preoccupazione che Trump finisca per farsi manipolare da Xi Jinping, un leader molto più esperto e abile di lui, così come successo in altri incontri bilaterali senza mediatori che il presidente ha avuto negli ultimi mesi (come quello che ebbe con Putin a Helsinki, raccontato qui).
Il brutto momento di Macri
Per Mauricio Macri, presidente dell’Argentina dalla fine del 2015, il G20 avrebbe dovuto essere un momento importante, di grande prestigio internazionale, possibilmente tale da indurre alcuni tra i paesi più industrializzati del mondo a stringere accordi e investire. Il G20, però, non arriva in un momento facile.
Da tempo l’Argentina attraversa una crisi economica seria che ha portato Macri ad annunciare diverse misure straordinarie, tra cui il dimezzamento del numero dei ministri del suo governo e nuove tasse sulle esportazioni. Per Macri è stata una completa marcia indietro, visto che tra le prime misure che aveva adottato dopo essere stato eletto presidente c’era proprio il taglio delle imposte sulle esportazioni, introdotte dalla presidente Cristina Kirchner. Oggi l’Argentina attraversa una situazione complicata: l’inflazione è alta, la crescita economica molto lenta, il valore del peso (la valuta nazionale) è precipitato e il governo ha dovuto fare affidamento su un prestito di 57 miliardi di dollari concesso dal Fondo Monetario Internazionale.
Per Macri potrebbe quindi non bastare il fatto di stringere rapporti privilegiati con gli ospiti del G20, soprattutto alla luce di tutti i problemi interni che sta affrontando e in vista delle prossime elezioni, previste per ottobre 2019.