L’App Store di iPhone è un monopolio?
Lo sostiene una causa civile che va avanti da anni, e sulla cui legittimità sta decidendo la Corte Suprema
Lunedì si è tenuta un’udienza alla Corte Suprema degli Stati Uniti che era molto attesa tra gli esperti e appassionati di tecnologia: è la prima sessione nella più alta corte statunitense su una causa civile che va avanti dal 2011, e che riguarda il presunto monopolio di Apple nella vendita delle app per i propri dispositivi mobili. La causa civile, nota come Pepper v. Apple, sostiene che Apple, costringendo i possessori di iPhone ad acquistare le app esclusivamente sull’App Store ufficiale, e chiedendo una quota del 30 per cento dei ricavi agli sviluppatori, abbia creato un sistema monopolistico che aumenta i prezzi per gli utenti.
La prima cosa da tenere a mente è che la Corte Suprema non si esprimerà nel merito della questione, ma dovrà solo decidere se la causa civile sia legittima, cioè se Apple possa essere il bersaglio di una causa civile per questa presunta violazione. Il nodo da sciogliere, in pratica, è se Apple abbia ragione quando sostiene che in base alla corrente legislazione statunitense i consumatori possono fare causa per danni legati a un monopolio del mercato soltanto a chi vende direttamente loro il bene: e secondo Apple questo qualcuno sono gli sviluppatori, perché l’App Store è soltanto un rivenditore terzo. La causa civile sostiene invece che Apple abbia riversato sugli utenti centinaia di milioni di dollari di costi aggiuntivi sui prodotti acquistati.
I giornali americani scrivono che la prima udienza non sembra essere andata benissimo per Apple, anche se è sempre prematuro fare previsioni su una sentenza basandosi sulle domande e sulle osservazioni dei giudici nelle fasi preliminari. In particolare, scrive NBC News, i giudici conservatori sono sembrati comprensivi verso i consumatori che hanno mosso la causa civile, e si sono chiesti se non sia il caso di mettere in discussione l’attuale legislazione che regola le cause civili per questioni di antitrust: quella ambigua sull’eventuale responsabilità di Apple, che risale al 1977. Ci si aspetta che una decisione finale arrivi a fine giugno.
Il tema centrale, ha spiegato Rhett Jones sul sito di tecnologia Gizmodo, è che sembra piuttosto ragionevole ritenere Apple come venditore diretto delle app per iPhone, visto che non esiste una piattaforma alternativa all’App Store. Se dovesse perdere la causa, Apple dovrebbe probabilmente attrezzarsi per consentire la creazione di piattaforme alternative, come fa già Google con il sistema operativo Android. Sarebbe un cambiamento enorme per il funzionamento di Apple, che con il controllo totale delle app disponibili per iPhone non ha avuto solo vantaggi economici, ma anche di sicurezza.
Su Android, infatti, sono molto più frequenti truffe, furti di dati e attacchi informatici compiuti attraverso la diffusione di app (capita anche con l’App Store, ma molto meno). Jones spiega che è d’accordo con il principio secondo cui un utente dovrebbe disporre come vuole del dispositivo che ha acquistato, senza che il produttore gli imponga cosa può e cosa non può installare. Ma secondo Jones l’alternativa all’App Store c’è già e si chiama proprio Android, su cui sono disponibili praticamente tutte le app per iPhone, originali oppure copiate. Jones ritiene che sia accettabile che, sui dispositivi mobili, Apple abbia il tipo di controllo che ha con l’App Store: un calo degli standard di sicurezza comporterebbe rischi per tutti. Per capirci, un attacco informatico compiuto violando un poco sicuro sistema per la gestione di telecamere di sicurezza, o in generale di un’app della cosiddetta “internet delle cose”, può creare danni enormi.
Ma Jones ritiene anche che, comunque vada a finire, per gli utenti sarà un bene: anche se alla fine la causa civile dovesse essere autorizzata, e Apple dovesse perderla, dovrà aprire il mercato a nuove piattaforme per la vendita delle app, e quindi gli utenti avranno un’alternativa. Contemporaneamente, però, cercherà di tenere gli utenti sull’App Store rendendolo ancora più sicuro.