Avete mai visto una mostra di disegni?
Sono una forma d’arte poco pubblicizzata ma molto importante in Italia, come racconta una mostra che aprirà a Milano il 23 novembre
Quando si pensa all’arte italiana vengono subito in mente affreschi, olii su tela e sculture di marmo: difficilmente si pensa ai disegni. Se poi per caso viene citato il disegno come forma d’arte nella storia italiana, si penserà forse alle bozze di Leonardo da Vinci, poco probabilmente a qualche artista del Novecento. Nel secolo scorso tuttavia molti artisti noti soprattutto per la pittura e la scultura hanno anche disegnato, e non solo per progettare opere che poi avrebbero preso altre forme. Da venerdì 23 novembre e fino al 24 febbraio, al Museo del Novecento di Milano, una nuova mostra darà attenzione a questa forma d’arte finora poco considerata. Si intitola Chi ha paura del disegno? e raccoglie più di cento disegni della Collezione Ramo, la collezione messa insieme dall’imprenditore Giuseppe “Pino” Rabolini, fondatore di Pomellato.
La mostra raccoglie opere di artisti conosciuti e rappresentativi come Umberto Boccioni, Alighiero Boetti, Lucio Fontana e Mario Schifano, ma anche di altri meno noti, “da riscoprire”, come si dice. Alcuni appartengono a movimenti artistici come il futurismo, mentre altri non si sono mai identificati in un gruppo. Il titolo della mostra è una provocazione legata al fatto che vengono organizzate pochissime mostre sul disegno e proprio per questo chi non si occupa d’arte non è molto abituato a osservare opere di questo tipo. La sfida con cui è stata pensata Chi ha paura del disegno? è di cambiare le cose.
Perché sappiamo poche cose sul disegno
«Molti degli artisti in mostra sono ben conosciuti nel panorama dell’arte italiana del Novecento, i loro disegni meno» ha spiegato la curatrice della mostra e della Collezione Ramo Irina Zucca Alessandrelli. La scarsa rilevanza data al disegno non dipende da una minor attitudine degli artisti italiani a questo mezzo d’espressione, ma fondamentalmente da ragioni economiche: i disegni hanno sempre avuto un valore minore sul mercato dell’arte, perché considerati secondari rispetto alle tele. Per questo peraltro i mercanti d’arte invitavano gli artisti a non disegnare, cosa che sappiamo perché molti di loro se ne lamentavano nei propri scritti e lettere. «Spesso le carte venivano intelate per dar loro un aspetto più da quadro che facesse vendere meglio» ha aggiunto Zucca Alessandrelli. Nonostante questo fino ai tempi più recenti gli artisti hanno sempre disegnato molto, perché era dai disegni che nascevano le loro opere.
Esistono poche collezioni d’arte dedicate al disegno che, come la Collezione Ramo, raccolgono opere uniche e non stampe in serie. Da un lato per questo minor risalto dato ai disegni sul mercato, dall’altro perché conservare i disegni è costoso. La carta è un materiale fragile e si rovina facilmente: si macchia, si scolora o si ossida se viene conservata male. Restaurare i disegni poi, ha spiegato sempre Zucca Alessandrelli, può costare molto in proporzione al loro valore, e costano molto anche i vetri antiriflesso che servono per esporli nel modo migliore. Il discorso cambia per i disegni antichi, che hanno grossi costi di conservazione ma anche un valore maggiore.
La Collezione Ramo e il disegno italiano del Novecento
Da bambino Pino Rabolini amava disegnare e negli anni si è appassionato al disegno come arte. Nel 2013 Zucca Alessandrelli fu chiamata ad ampliare il primo nucleo della sua raccolta di disegni trasformandolo in una collezione dedicata al disegno italiano del Novecento:
«Il compito che mi è stato dato era dimostrare, attraverso il disegno inteso come opera su carta in senso ampio (matita, gouache, tempera, pennarello, collage) che il secolo scorso italiano non fosse “secondo a nessuno”, come amava ripetere Rabolini, per importanza e originalità delle proposte artistiche».
Nel tempo più di 600 opere sono entrate a far parte della Collezione Ramo, che prende il suo nome dalla società della famiglia Rabolini. Chi ha paura del disegno? è la prima mostra in cui viene presentata la Collezione Ramo, a meno di un anno dalla morte del suo creatore. Finora le opere raccolte non erano mai state esposte insieme perché, ha spiegato Zucca Alessandrelli, si era deciso di aspettare di avere una collezione completa, che mostrasse il ruolo del disegno nell’arte italiana del Novecento senza lasciare fuori artisti importanti. La curatrice pensa che i disegni rivelino «molto di più del pensiero di un artista di quanto non facciano i dipinti o le sculture perché sono frutto dell’immediatezza e spesso eseguiti in solitudine senza l’idea di mostrarli al pubblico, non si correggono».
Come è fatta e cosa c’è dentro Chi ha paura del disegno?
Per riuscire a far apprezzare i disegni anche a chi non è abituato a vederne, alle opere esposte nella mostra sono stati tolti i “passepartout”, quei cartoncini color avorio che tradizionalmente vengono messi a inquadrare i disegni e li separano dalla vera e propria cornice. «Incorniciano il disegno e lo uccidono, confinandolo al ruolo di quadretti», ha detto Zucca, «il disegno deve vedersi per come è, con i buchi delle puntine che l’artista aveva usato per appendere il foglio alla parete, o con il bordo irregolare del pezzo di carta casuale o strappato. Va letto nel contesto della quotidianità da cui deriva».
La mostra è divisa in quattro sezioni, non cronologiche. Ognuna ha per nome una domanda aperta legata a un tema e cioè: “Astrattismi?”, “Figurazioni?”, “Parole + immagini = ?” e “E gli scultori?”. L’idea di questa divisione per temi è che siano gli stessi disegni a rispondere alle domande, attraverso il modo in cui sono stati associati in un unico spazio.
Molti degli artisti delle opere in mostra sono anche presenti nella collezione permanente del Museo del Novecento. Grazie a Chi ha paura del disegno? gli appassionati potranno scoprire opere che non conoscevano di pittori come Cagnaccio di San Pietro e Alberto Burri, e di scultori come Adolfo Wildt. Proprio di Wildt è uno dei disegni più notevoli della Collezione Ramo e della mostra: Animantium rex homo, un’illustrazione che rappresenta la creazione dell’uomo e degli animali da parte di Dio, realizzato nel 1925 per un’iniziativa di beneficenza agli orfani di guerra.
La “Gioconda della Collezione”, come la chiamava scherzosamente Rabolini, è però il disegno scelto per i manifesti della mostra: Controluce di Umberto Boccioni, del 1910.