Theresa May sta affrontando un problema alla volta
La mozione di sfiducia interna al partito sembra allontanarsi, mentre oggi tratterà di nuovo con Juncker a Bruxelles: ma l'ostacolo vero rimane il voto in Parlamento
Mercoledì la prima ministra britannica Theresa May incontrerà a Bruxelles il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il capo dei negoziatori europei su Brexit Michael Barnier, per discutere della bozza di accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea presentata la scorsa settimana. Il documento, lungo quasi 600 pagine e frutto di più di un anno di complicate trattative, è stato da subito criticato e osteggiato dagli avversari politici di May – dentro e fuori dal Partito Conservatore – che su questo accordo di compromesso ha investito tutto il suo capitale politico. Se all’inizio la posizione della prima ministra sembrava molto fragile, però, ora sembra essersi rafforzata.
Dopo la diffusione dell’accordo, la corrente dei Conservatori contrari all’accordo – quelli più intransigenti e sostenitori di un’uscita dall’Unione Europea senza compromessi (la cosiddetta “hard Brexit”) – avevano annunciato una guerra interna a May, avviando le procedure per arrivare a una mozione di sfiducia interna al partito. Finora, però, soltanto 26 parlamentari hanno detto pubblicamente di aver inviato una lettera di sfiducia all’apposito comitato: ne servono altre 22 perché la mozione sia valida. Jacob Rees-Mogg, tra i leader dell’opposizione interna a May, ha negato che l’iniziativa sia fallita, sostenendo che serve pazienza e invitando contemporaneamente i compagni di partito scettici sull’accordo a unirsi alla mozione.
Ma l’impressione è che la tanto rumorosa corrente degli “hard Brexiteers” sia più debole di quanto fosse sembrata, e molti giornali inglesi hanno descritto come “un’umiliazione” il tentativo fallito di sfiduciare May. Secondo le fonti del Guardian, alcuni esponenti della minoranza del Partito Conservatore hanno ammesso privatamente che la mozione di sfiducia rimarrà in sospeso finché May non dovesse perdere il voto parlamentare sull’accordo. Nel frattempo Michael Gove, ministro dell’Ambiente e considerato il principale mediatore tra May e la minoranza del Partito Conservatore, ha invitato la prima ministra a fare di più per convincere della bontà dell’accordo i suoi oppositori interni.
Anche se il pericolo di una sfiducia interna sembra per il momento accantonato, May ha infatti davanti il grande ostacolo dell’approvazione dell’accordo al Parlamento, dove il governo ha perso la maggioranza per via del ritiro del sostegno del Partito Unionista Democratico nordirlandese, contrario agli aspetti relativi al confine irlandese. Martedì il governo di May ha dovuto accettare due emendamenti alla legge di Bilancio presentati dai Laburisti e uno presentato dal Partito Nazionale Scozzese (SNP), entrambi di opposizione, per evitare di votarli e rischiare di andare in minoranza.
Absolutely staggering. The Government has just accepted all Labour amendments to the Finance Bill because they couldn’t rely upon DUP to support them. Tories in office not in power. A government falling apart in front of us.
— John McDonnell MP (@johnmcdonnellMP) November 20, 2018
Martedì la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon, del SNP, ha detto che i partiti europeisti del Regno Unito potrebbero unirsi in una coalizione per opporsi sia all’accordo di May sia a un’uscita sregolata dall’UE, cioè la temuta eventualità che potrebbe verificarsi se il Parlamento bocciasse l’accordo. Le dichiarazioni di Sturgeon sono arrivate dopo un colloquio con il leader del Partito Laburista Jeremy Corbyn, che ha notoriamente tenuto una posizione ambigua su Brexit, dovendo rappresentare una parte di elettorato favorevole al “Remain” e un’altra favorevole al “Leave”.
Ma Sturgeon ha detto che la nuova coalizione anti-May deve opporsi alla scelta binaria tra l’attuale accordo e il “no deal”, costruendo una alternativa che potrebbe essere per esempio un’unione doganale permanente, un accordo per rimanere nel mercato unico europeo o addirittura un nuovo referendum, un’ipotesi periodicamente sollevata e sulla cui fattibilità, però, gli esperti rimangono molto scettici. Sturgeon ha lasciato intendere che esista l’ipotesi di un’alleanza con i sostenitori della permanenza nell’UE interni al Partito Conservatore. Il Guardian ha confermato l’esistenza di queste trattative.
Ma non è ancora chiaro cosa voglia esattamente il Labour: Corbyn per ora ha detto che si deve evitare un’uscita senza accordo, e che la soluzione sono delle elezioni generali convocate dopo aver sfiduciato il governo May. Come ha ricordato la stessa Sturgeon, per ora la posizione ufficiale dei Laburisti non contempla un secondo referendum. Sia Corbyn che Sturgeon, in ogni caso, sono sembrati escludere la possibilità che il Parlamento permetta davvero un’uscita dall’UE senza accordo, come minacciato da May in caso di mancata approvazione dell’accordo: e mercoledì ha espresso la stessa posizione anche Amber Rudd, ministra delle Pensioni del governo May.
Domenica intanto ci sarà il summit del Consiglio europeo in cui l’accordo dovrebbe essere approvato dal Regno Unito e dai 27 paesi che rimarranno nell’Unione. Ma sembra ci siano ancora diversi punti da decidere. In sospeso c’è la questione di Gibilterra, il piccolo territorio britannico sulla costa della Spagna, che vuole avere il potere di veto sulle future trattative al riguardo in cambio dell’approvazione dell’accordo. Rimangono da chiarire anche altre questioni che hanno complicato le trattative negli ultimi mesi: l’accesso dei pescatori europei alle acque britanniche, e la questione del cosiddetto “frictionless trade”, cioè la pretesa del governo britannico che anche dopo Brexit sia mantenuta una forma di unione doganale con l’UE.