I moduli nel calcio non contano più come prima
L'Ultimo Uomo spiega come sia cambiata la concezione del modulo di gioco nel calcio contemporaneo, ed espressioni come "4-4-2" e "4-3-3" siano diventate obsolete
L’ultimo decennio è stato uno dei più complicati per il calcio italiano: l’ultima e più difficile fase di un lungo declino sportivo e commerciale. Un club italiano non vince una Champions League da otto stagioni e la Nazionale maschile attenderà complessivamente otto anni per tornare a giocare un Mondiale dalla sua ultima partecipazione, per via della mancata qualificazione a quelli disputati la scorsa estate. Di recente, tuttavia, ci sono stati degli evidenti miglioramenti nella qualità del calcio espresso dalle squadre di club.
Le quattro squadre italiane in Champions League possono qualificarsi tutte alla fase a eliminazione diretta, come non accadeva dalla stagione 2002/2003. I risultati di Juventus, Napoli, Inter e Roma sono la testimonianza più recente del progressivo ritorno delle squadre italiane nelle coppe europee. Questa nuova competitività in campo internazionale si deve, oltre che a una maggior qualità delle rose, a una generale evoluzione tattica, di tendenza mondiale, che è evidente anche nel resto del campionato.
L’evoluzione tattica del calcio italiano ha mostrato un gioco più propositivo rispetto a quello spesso attendista e difensivo del passato (il cosiddetto “catenaccio”). Come ha scritto Fabio Barcellona sull’Ultimo Uomo, questo si nota anche dalla maggior fluidità dei moduli di gioco, che non sono più quelli rigidi, identificativi e facilmente riassumibili con le ormai note formule numeriche (4-4-2, 4-3-3, eccetera). Queste formule hanno avuto senso quando la maggioranza delle squadre italiane difendeva “a zona” e i giocatori avevano un compito ben preciso e limitato a una zona precisa del campo. Oggi in campionato si vedono tante squadre che alternano diversi moduli a seconda delle fasi di gioco, offensiva o difensiva, cambiando schieramento in continuazione. Di conseguenza ai giocatori è richiesta più duttilità e qualità tecnica per saper far fronte a tante diverse situazioni di gioco. La posizione in campo, quindi, non definisce più il ruolo dei giocatori, ma sono i compiti svolti in campo a farlo.
Lo scorso lunedì 22 ottobre, il Sassuolo è stato ospite della Sampdoria per uno scontro tra due delle squadre di Serie A tatticamente più interessanti. La squadra di De Zerbi è scesa in campo con quello che sulla carta era un 3-4-3, con Federico Di Francesco, un giocatore particolarmente offensivo, come esterno a tutta fascia; ma è stato chiaro da subito che quello era solo lo schieramento usato durante la fase di possesso palla e che, durante quella difensiva invece, il Sassuolo avrebbe mosso le pedine e mutato la propria forma. Partendo dal 3-4-3, la punta di destra Domenico Berardi stringeva la propria posizione e si sistemava alle spalle del centravanti, Babacar; mentre contemporaneamente, dall’altro lato, la punta di sinistra Djuricic si abbassava in posizione di mezzala sinistra, e uno dei due interni di centrocampo, Bouarabia, si allargava in posizione di mezzala destra. In fase di non possesso il Sassuolo si schierava quindi con quello che può essere disegnato come un 3-5-1-1, con un rombo in mezzo al campo e due esterni a coprire l’ampiezza.
Il giorno dopo, la Juventus ha affrontato all’Old Trafford il Manchester United di Mourinho. I bianconeri hanno controllato tatticamente la partita, utilizzando il possesso palla sia per attaccare che per difendere: la squadra di Allegri ha registrato un possesso palla del 60%, con una punta del 70% nell’intero primo tempo: un dominio ottenuto grazie all’estrema fluidità delle posizioni in campo e alla formazione continua di triangoli/rombi che hanno agevolato la circolazione della sfera, fornendo al portatore di palla più soluzioni di passaggio.
La sera successiva, è stato il turno del Napoli al Parco dei Principi di Parigi, dove la squadra di Ancelotti ha sfiorato la vittoria mettendo sotto per gran parte del match il PSG di Thomas Tuchel: il Napoli ha difeso contro il terribile tridente dei parigini con due linee strette da 4 giocatori che disegnavano un classico 4-4-2 ma, in fase di possesso, si alzava Mario Rui mentre Maksimovic stringeva accanto ad Albiol, lasciando libero Fabian Ruiz di esplorare l’half-spaces di sinistra. A quel punto il Napoli era disposto in campo con una specie di 3-4-3.
Tre partite, in tre giorni, emblematiche delle tendenze del calcio italiano e, più in generale, del calcio di oggi, in cui il modulo di gioco non è più fisso ma sempre più fluido e flessibile.