Che sta succedendo nella Striscia di Gaza?
Lo scambio di razzi e bombe delle ultime ore sembra essere iniziato dopo un'operazione israeliana sotto copertura finita male, di cui però si sa molto poco
Da lunedì mattina vanno avanti lanci di razzi e bombe tra fazioni palestinesi della Striscia di Gaza e Israele, che finora hanno ucciso quattro persone e hanno fatto decine di feriti. Le violenze, le più gravi dalla guerra del 2014, sono iniziate con il lancio di decine di razzi dalla Striscia di Gaza verso i territori nel sud di Israele, dove lunedì sono suonate per tutto il giorno le sirene di allarme. L’esercito israeliano ha risposto con attacchi mirati contro Hamas, che controlla la Striscia, e il Jihad islamico, altro gruppo radicale palestinese, entrambi considerati responsabili dei lanci di razzi verso Israele. Diversi giornali, tra cui l’israeliano Haaretz, sostengono che ci sia il rischio di una nuova guerra, scenario però che finora il governo israeliano ha detto di voler evitare.
La situazione nella Striscia è precipitata in maniera improvvisa e inaspettata nel giro di poche ore. Due settimane fa Hamas e Israele avevano raggiunto un’importante intesa per ridurre le tensioni nella Striscia ed evitare il rischio di una nuova escalation di violenze.
Grazie a questa intesa, tra giovedì e venerdì della scorsa settimana era arrivato a Gaza il gasolio necessario per azionare il secondo generatore dell’unica centrale elettrica della Striscia, che aveva permesso di aumentare in maniera significativa la fornitura giornaliera di elettricità. Erano arrivati inoltre 15 milioni di dollari in contanti per saldare parte degli stipendi dei dipendenti pubblici impiegati da Hamas nella Striscia, e che a causa di uno scontro tra Hamas e Fatah, gruppo palestinese più moderato che controlla la Cisgiordania, non venivano pagati da mesi. In altre parole, sembrava che fosse l’inizio di una nuova fase nei rapporti tra i gruppi della Striscia di Gaza e Israele: non una pace politica, ma almeno una riduzione delle violenze al confine tra i due territori. Lo scenario, però, è cambiato di nuovo domenica, a causa di un’operazione israeliana sotto copertura finita male.
Non si sa molto dell’operazione sotto copertura, anche perché il governo israeliano ha dato poche informazioni al riguardo. Si sa che l’operazione è stata compiuta vicino a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, che è stata scoperta da alcuni membri di Hamas e che ne è seguito uno scontro a fuoco. Sono morti in otto: sette miliziani palestinesi e un tenente colonnello israeliano. Perché, si sono chiesti in molti, Israele ha compiuto un’operazione così rischiosa proprio dopo avere raggiunto un’intesa con Hamas per ridurre la tensione nella Striscia?
Secondo una prima ricostruzione fatta dai palestinesi, quella di Israele è stata una missione mirata a uccidere o sequestrare un importante leader di Hamas. Israele, però, ha smentito questa versione e ha parlato di un’operazione con fini di sorveglianza. Tal Rousso, generale israeliano che si è occupato per buona parte della sua carriera di operazioni speciali, ha detto ad Haaretz: «Queste operazioni vengono fatte in continuazione, ogni notte, in tutte le divisioni. È un’operazione [quella di domenica] che probabilmente doveva rimanere sotto copertura. Non un tentativo di uccidere qualcuno. Abbiamo altri modo per uccidere qualcuno». La maggior parte degli analisti ha ritenuto credibile la versione israeliana. Il giornalista israeliano Amos Harel ha scritto che molto probabilmente l’operazione era finalizzata a raccogliere informazioni di intelligence su Hamas, forse sulle sue infrastrutture, e ha aggiunto di ritenere l’ipotesi di un assassinio mirato poco plausibile: per settimane, infatti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva investito molte risorse nell’intesa con Hamas, e non era nel suo interesse farla saltare con un’operazione spregiudicata come sarebbe l’uccisione di un leader palestinese.
Anche il giornalista del New York Times David Halbfinger è della stessa opinione. Halbfinger ha scritto che «nessuno si aspettava che il commando israeliano venisse scoperto». Giora Eiland, ex generale ed ex consigliere israeliano per la sicurezza nazionale, ha spiegato al New York Times che il presupposto da cui si parte per pianificare e compiere operazioni di questo tipo – cioè missioni sotto copertura finalizzate a raccogliere informazioni – è che rimarranno segrete: «Non si può parlare del 100 per cento, ma si può stimare che il 99 per cento di queste operazioni non vengano rivelate, e il 99 per cento è una percentuale sufficientemente buona per decidere di autorizzare una forza a entrare, eseguire e uscire senza essere scoperta». L’operazione di domenica però è andata male: Israele è stato scoperto e Hamas ha risposto lanciando oltre 300 razzi, ferendo gravemente un 19enne israeliano e colpendo diverse case vicino al confine con la Striscia.
È difficile dire cosa succederà ora, se ci sarà una escalation di violenza oppure se Hamas e Netanyahu decideranno di fermare gli attacchi e di tornare alla situazione di relativa tranquillità che c’era prima dell’inizio degli attacchi. Diversi analisti hanno scritto nelle ultime ore che alla fine prevarrà la linea più cauta e che si riuscirà ad evitare una nuova guerra a Gaza. Non tutti però sono d’accordo.
Noa Landau, giornalista di Haaretz, ha scritto che uno dei principali ostacoli a questo scenario è il fatto che Netanyahu non ha un piano di azione a lungo termine per la Striscia di Gaza e non crede che esista una soluzione diplomatica al conflitto tra Hamas e Israele. «Non posso fare un accordo diplomatico con un’organizzazione la cui ideologia è quella di distruggerci. Non esiste una soluzione politica per Gaza. Non ho soluzioni per l’ISIS, non ho soluzioni per l’Iran finché [l’Iran] continua a dire di volerci distruggere», ha detto due giorni fa Netanyahu. Questo significa una cosa precisa, ha scritto Landau: se non esiste un piano a lungo termine per Gaza – a parte intese temporanee, come quella recente tra Israele e Hamas, e tentativi continui di prendere tempo – «è difficile credere che le affermazioni roboanti di Netanyahu saranno in grado di resistere alla spinta delle circostanze». In altre parole: è difficile credere che, senza un piano politico a lungo termine, incidenti come quello dell’operazione sotto copertura finita male passino senza lasciare conseguenze e vengano assorbiti dalle due parti in nome di un obiettivo più importante e ambizioso.