Boca-River, una storica finale di Copa Libertadores
La doppia finale tra i due club di Buenos Aires è un evento irripetibile per il calcio sudamericano
Questa sera le attenzioni del mondo del calcio saranno tutte in Argentina per un evento storico, la «fine del mondo» per i tifosi locali. Le due più importanti squadre di calcio di Buenos Aires, il Boca Juniors e il River Plate, si affrontano per la prima volta in una finale di Copa Libertadores, la Champions League sudamericana. Alle 21 di stasera, nello stadio della Bombonera di Buenos Aires, si gioca la finale di andata (in Italia trasmessa da Dazn); fra due settimane allo stadio Monumental, quello del River, è in programma il ritorno, che deciderà il campione del continente sudamericano. Si tratta di un evento storico che segnerà la storia delle due squadre. Chi perderà non avrà mai più la possibilità di rifarsi sulla rivale: dall’anno prossimo infatti la finale di Copa Libertadores si giocherà in gara secca e non più tra andata e ritorno. Una sconfitta o una vittoria rimarranno per sempre.
Boca Juniors e River Plate sono nate nello stesso quartiere di Buenos Aires, la Boca, più di cento anni fa. Dopo essersi divise e aver fatto nascere una delle più grandi rivalità calcistiche al mondo, si sono imposte come le migliori espressioni del calcio argentino e sudamericano. Da loro sono passati i più grandi campioni di tante epoche calcistiche, da Diego Armando Maradona ad Alfredo Di Stefano, due dei nomi più importanti assieme a tanti altri celebri giocatori, come Daniel Passarella, Mario Kempes, Gabriel Omar Batistuta, Juan Roman Riquelme e Hernan Crespo.
Pur essendo state fondate nel quartiere portuale di Buenos Aires da una comunità composta in prevalenza da immigrati genovesi, nel corso degli anni le due squadre hanno preso due strade opposte, che ne hanno definito le identità. Il Boca, fondato 117 anni fa da cinque amici genovesi — a cui si deve il soprannome della squadra, gli “Xeneizes” — rimase il club delle classi più povere. Il River, invece, dopo aver perso lo spareggio per restare nel quartiere, si trasferì nella parte settentrionale della città, una zona ricca e profondamente diversa dalla Boca. Divenne così la squadra delle classi agiate della capitale: deve il suo soprannome — i “Millonarios” — alla forza economica del club raggiunta in special modo nella metà dello scorso secolo.
Con il passare del tempo queste divisioni si sono inevitabilmente assottigliate, ma fra le due squadre è rimasta una rivalità talmente forte che ancora oggi impedisce alle tifoserie di riconoscere e accettare le sconfitte. Per questa doppia finale di Libertadores si è mosso di persona anche il presidente argentino Mauricio Macri — ex presidente del Boca Juniors — che per la straordinarietà dell’evento aveva proposto di sospendere il divieto delle trasferte per le tifoserie ospiti in vigore durante il resto della stagione. Ma la Bombonera e il Monumental non sono sufficientemente attrezzate, e quindi le finali resteranno senza tifosi ospiti.
Il Boca di Tevez e Barros Schelotto
Il Boca Juniors non vince una Copa Libertadores dal 2007, ma in Argentina ha vinto tre delle ultime quattro edizioni del campionato, di cui è campione in carica da due anni. Da tre stagioni è allenato da un suo ex giocatore, Guillermo Barros Schelotto, che prima di tornare al Boca fu vicino a diventare l’allenatore del Palermo (alcune complicazioni fecero saltare l’accordo). Schelotto era un giocatore arcigno e instancabile, due caratteristiche che ora sembra avere trasferito alla squadra. Negli ultimi due campionati vinti, inoltre, il Boca ha avuto sempre il miglior attacco del campionato: un dato che rispecchia effettivamente il maggior punto di forza della squadra.
Il campionato argentino è all’undicesima giornata e il miglior marcatore del Boca è Carlitos Tevez, ex attaccante di United, City e Juventus, tornato lo scorso gennaio nella squadra in cui è cresciuto dopo un anno passato nel campionato cinese. Tevez gioca come seconda punta e fin qui ha segnato tre gol. In Copa Libertadores, tuttavia, i migliori marcatori sono i due veri centravanti: Dario “El Pipa” Benedetto e Ramon “Wanchope” Abila. Sono stati gli autori dei quattro gol con cui il Boca ha eliminato il brasiliani del Palmeiras in semifinale. Un ulteriore apporto alla qualità dell’attacco della squadra è dato poi dagli esterni, che ruotano molto fra di loro. C’è Cristian Pavon, convocato dall’Argentina agli ultimi Mondiali, il colombiano Edwin Cardona e Mauro Zarate, talentuoso ex attaccante che ha giocato anche in Italia — con molta incostanza — tra Lazio, Inter e Fiorentina. Dietro di loro, a centrocampo, il capitano Fernando Gago.
Il periodo d’oro del River di Marcello Gallardo
Anche il River Plate è stato ripagato dalla scelta di affidarsi a un suo ex giocatore: Marcelo Gallardo, che in carriera giocò undici anni al Monumental, fra le esperienze in Francia con Monaco e Paris Saint-Germain. Dal 2014, anno in cui è stato assunto, Gallardo si è rivelato un allenatore promettente e capace di assorbire le pressioni e le aspettative di un incarico al River Plate. Questo ha sorpreso i molti che lo ricordavano come un calciatore talentuoso ma principalmente “solista” e dal rendimento incostante. Ha due soprannomi: “el Muñeco”, cioé “la bambolina”, per il volto apparentemente tranquillo che nasconde un carattere irascibile, e “Napoleón” per via dei successi ottenuti da allenatore. Gallardo si ispira a due fra gli allenatori argentini più noti del momento: Marcelo Bielsa e Jorge Sampaoli. È riuscito a portare il River in una dimensione più moderna e vicina a quella del calcio europeo, più organizzata e lungimirante.
Nel suo primo anno di incarico, Gallardo vinse subito quasi tutto: Copa Sudamericana, Recopa e Copa Libertadores, diventando l’unico ad aver vinto quest’ultima con il River sia da giocatore che da allenatore. Già da calciatore si era guadagnato un posto nella storia del River, ma ora i tifosi gli riconoscono anche il merito di aver ridato lustro alla squadra dopo anni complicati, per esempio “vendicando” l’eliminazione nella semifinale di Libertadores del 2004 contro il Boca Juniors — quando Tevez esultò al Monumental facendo il verso della gallina, in segnol di disprezzo verso il River, i cui tifosi sono chiamati “gallinas” da quelli del Boca — battendolo nella semifinale di Copa Sudamericana.
Sul piano del gioco il River è una delle migliori squadre sudamericane, ma sa anche adattarsi ad affrontare partite più dure e bloccate, come potrà essere il “Superclasico” di questa sera. Propone un calcio offensivo che si affida molto alle qualità tecniche individuali dei suoi giocatori. Ha uno dei migliori portieri sudamericani, Franco Armani, e tanta qualità soprattutto fra centrocampo e la trequarti, dove giocano il ventenne Ezequiel Palacios, l’ex trequartista di Pescara e Porto Juan Fernando Quintero e l’esterno di origini italiane Gonzalo Martinez.
Come nella finale vinta nel 2015, stasera Gallardo non potrà seguire la squadra da vicino alla Bombonera per aver violato una squalifica durante la semifinale contro il Gremio, dove è sceso negli spogliatoi durante l’intervallo per incitare con la squadra, che fino a quel momento era in svantaggio. Per Barros Schelotto, invece, il risultato della doppia finale determinerà il futuro in squadra, dato che il suo contratto è in scadenza: il suo Boca è solido ma non entusiasma granché.
In campo stasera ci saranno complessivamente nove Copa Libertadores: sei per il Boca Juniors, che non la vince da undici anni, e tre per il River, che però ha vinto l’ultima tre anni fa. La Bombonera sarà naturalmente piena in ciascuno dei suoi 50.000 posti.