Davvero il governo ha rifiutato dei fondi europei per il dissesto idrogeologico?
Lo ha detto il ministro dell'Ambiente, ma poi ha cambiato versione
Il primo di novembre la Stampa ha raccontato che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa aveva rifiutato a nome del governo un prestito a tasso agevolato di 804 milioni di euro della Banca Europea degli Investimenti (BEI) per finanziare opere pubbliche contro il dissesto idrogeologico. In una lettera inviata successivamente proprio alla Stampa, il ministro Costa aveva confermato, spiegando che «il mutuo» contratto con la BEI sarebbe stato contrario «all’amministrazione dei soldi pubblici da buon padre di famiglia», poiché «gli interessi sarebbero stati pagati da tutti i cittadini».
Nei giorni successivi, complici i diversi problemi causati dal brutto tempo in tutta Italia, si è continuato a parlare molto di questa storia, anche se i termini sono cambiati: la BEI ha smentito che il governo abbia rifiutato il prestito, e anche il ministero dell’Ambiente ha cambiato la versione iniziale fornita dallo stesso ministro Costa. Secondo fonti interne alla BEI, riportate da Reuters Italia e confermate dal Post, in realtà l’accordo per gli 800 milioni di euro non è mai saltato, anzi è ancora in fase di contrattazione.
Come siamo arrivati fin qui
Nel 2014 il governo di centrosinistra guidato da Matteo Renzi aveva istituito una struttura chiamata “Italiasicura” con lo scopo di realizzare insieme alle regioni un piano per la riduzione del rischio idrogeologico in Italia. Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’ente pubblico di ricerca sulla tutela ambientale, l’anno scorso a causa del dissesto idrogeologico del territorio erano a rischio il 91 per cento dei comuni italiani – nel 2015 erano l’88 per cento – mentre oltre 3 milioni di nuclei familiari risiedevano in aree ad alta vulnerabilità.
Il piano di “Italiasicura” era stato presentato nel maggio del 2017 e prevedeva un budget di 1,150 miliardi di euro per un totale di circa novemila interventi. Di questi soldi, 804 milioni sarebbero stati coperti dal prestito della BEI; gli altri 346 milioni sarebbero arrivati dai fondi per la coesione europea (i cosiddetti fondi europei per lo sviluppo regionale) e dal Fondo di Sviluppo e Coesione, un altro importante fondo europeo. Insomma: l’intero progetto sarebbe stato finanziato con soldi pattuiti con l’Europa. Gli interventi, come descritto nel piano per la riduzione del rischio idrogeologico, avrebbero riguardato «la realizzazione o il rafforzamento degli argini dei fiumi a rischio esondazione, la risistemazione dei corsi d’acqua e dei canali di collegamento, le casse di espansione lungo fiumi e torrenti, interventi per prevenire erosioni costiere o frane».
Il 22 dicembre del 2017 la BEI e il ministero dell’Economia avevano annunciato di aver sottoscritto il prestito da 804 milioni: a quel punto toccava al ministero dell’Ambiente, che doveva sottoscrivere il contratto in quanto coinvolto direttamente nel monitoraggio degli interventi. Il prestito era stato inserito nella legge di bilancio per il 2018, e l’accordo era pronto per essere firmato all’inizio di quest’anno: per far partire gli interventi sul territorio mancavano solo gli ultimi passaggi. Dalla BEI fanno sapere che i negoziati avevano rallentato per alcune complicazioni e problemi fatti emergere da parte dei tecnici del ministero dell’Ambiente. Secondo la ricostruzione di Avvenire, compatibile con quella della BEI, l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni decise di non firmare l’accordo perché mancavano appena dieci giorni alle elezioni, lasciando così il compito al governo successivo.
A luglio il governo Lega-M5S decise di chiudere il progetto “Italiasicura”. All’inizio di novembre il ministro Costa ha fatto sapere alla Stampa che l’accordo per il mutuo con la BEI non sarebbe stato firmato, bloccando l’arrivo dei finanziamenti.
Un passo indietro: come funziona la Banca Europea degli investimenti?
La Banca Europea degli Investimenti è l’istituto di credito dell’Unione Europea e ha sede in Lussemburgo. Fornisce ai paesi membri dell’Unione finanziamenti per i progetti di interesse pubblico che sostengono gli obiettivi comunitari (come appunto il contrasto al dissesto idrogeologico in Italia), ma finanzia anche progetti in paesi terzi che non fanno parte dell’Unione, sostenendo le politiche di sviluppo e cooperazione dell’UE in tutto il mondo.
Il denaro prestato dalla BEI non viene dal bilancio comunitario: la BEI infatti compra capitale sui mercati internazionali con obbligazioni di rating AAA (il massimo), che poi presta agli stati a un tasso agevolato. Lo scorso anno l’Italia è stata il paese che ha beneficiato di più dei finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti, ricevendo prestiti per 11 miliardi di euro, circa un sesto del totale dei finanziamenti erogati nel 2017.
L’Italia ha qualche problema con la BEI?
Secondo una stima citata dalla Stampa, per mettere in sicurezza tutte le situazioni a rischio lo stato avrebbe bisogno di circa un miliardo l’anno per i prossimi sette anni, ma per ora «il bilancio pubblico ne garantisce meno della metà». Il piano che prevedeva il prestito della BEI avrebbe permesso di accedere a un finanziamento immediato per portare a termine buona parte degli interventi previsti dal piano di “Italiasicura”. L’Italia avrebbe restituito il prestito nell’arco di vent’anni con rate da 70 milioni di euro a un tasso d’interesse dello 0,70 per cento, quindi molto basso.
Intervistato dal Messaggero, il ministro Costa ha giustificato la chiusura di “Italiasicura” dicendo che «era una struttura emergenziale» e «una duplicazione burocratica e funzionale, quindi inutile, che anzi comportava dei costi di gestione, ora eliminati», mentre per quanto riguarda il prestito di BEI ha detto che «per adesso abbiamo scelto di non farlo» perché «in questa fase i fondi ci sono». Costa si riferisce a fondi che il ministero dell’Ambiente ha stanziato per le regioni più a rischio: in totale si parla di «circa 6 miliardi di euro» su base triennale, ha fatto sapere il ministro via Facebook, «quindi oltre 900 milioni a triennio da destinare alle Regioni, che così potranno progettare e realizzare gli interventi con la certezza della erogazione a corto raggio».
Se davvero il governo non userà il prestito della BEI, avrà bisogno di trovare gli 804 milioni di euro mancanti in un altro modo: o tagliando altrove (ma è un’opzione complicatissima, visto quanto sta faticando il governo a trovare i fondi per la manovra, oltre che inevitabilmente dolorosa) oppure prenderli in prestito sui mercati internazionali, vendendo titoli di stato. Solo che i titoli di Stato italiani hanno un rating molto inferiore rispetto a quelli che sarebbero arrivati dalla BEI, e questo per l’Italia comporta pagare tassi di interesse anche cinque volte superiori a quelli che l’Italia avrebbe pagato alla BEI. Secondo una stima di ANSA confermata da fonti della BEI, se l’Italia accettasse il prestito da 804 milioni risparmierebbe nel corso degli anni circa 150 milioni di euro di interessi che invece si troverebbe a pagare nel caso finanziasse il piano con i propri titoli di stato.
La versione della BEI
Secondo la Banca Europea per gli Investimenti, nonostante le dichiarazioni pubbliche di Costa la banca non ha mai smesso di lavorare con il ministero dell’Ambiente alla definizione del contratto di progetto che permetterebbe di sbloccare il finanziamento da 804 milioni pattuit0 dai governi di centrosinistra. Questa versione dei fatti, confermata al Post da fonti interne alla BEI, smentisce quella fornita dal ministro Costa alla Stampa secondo cui l’accordo era saltato.
Cambiando parzialmente versione rispetto alla lettera della Stampa e all’intervista data al Messaggero, lunedì sera una portavoce del ministero dell’Ambiente ha confermato a Reuters che il governo sta continuando a lavorare al prestito, anche se in un’altra forma: «C’è un’interlocuzione in corso con la BEI per capire se è possibile attualizzare il prestito per coprire nuovi progetti, dato che sono passati quattro anni e le priorità possono essere cambiate», ha spiegato la portavoce all’agenzia.