Israele vende sistemi di sorveglianza a mezzo mondo
Anche a regimi autoritari e repressivi che li usano per perseguitare dissidenti e minoranze: lo racconta un'inchiesta di Haaretz
Haaretz ha pubblicato una lunga inchiesta sul commercio di tecnologie e sistemi di sorveglianza prodotti in Israele e venduti a molti paesi poco democratici: Bahrein, Azerbaijan, Bangladesh, Messico, Uzbekistan ed Etiopia, tra gli altri. L’indagine, basata su un centinaio di testimonianze raccolte in 15 paesi, ha mostrato come in passato questi sistemi siano stati spesso usati per localizzare e arrestare attivisti per i diritti umani, perseguitare attivisti per i diritti delle persone LGBT, e creare dei casi giudiziari attorno a figure pubbliche poco compiacenti verso i loro governi. Le vendite del settore, che è considerato molto importante in termini di sicurezza nazionale, sono state sempre autorizzate dal ministero della Difesa israeliano, anche quando erano rivolte a paesi in cui il rispetto dei diritti umani era molto dubbio.
Haaretz ha scritto che la maggior parte delle persone con cui ha parlato non ha voluto che la propria testimonianza fosse riportata con troppi dettagli, a causa dei contratti di riservatezza firmati con le rispettive aziende; in diversi punti dell’inchiesta, inoltre, si cita il grosso lavoro fatto da Citizen Lab, istituto di ricerca canadese, nel rivelare la presenza di software di sorveglianza nei dispositivi elettronici. L’inchiesta di Haaretz è molto solida: contiene parecchi particolari ed elenca diversi casi in cui le tecnologie israeliane sono state usate a favore di regimi autoritari e repressivi.
Il caso di Santiago Aguirre
Uno dei casi raccontati da Haaretz, che fa capire abbastanza bene il tipo di sorveglianza di cui si sta parlando, è quello di Santiago Aguirre, attivista messicano per i diritti umani che negli ultimi anni si è occupato a lungo dei 43 studenti scomparsi nella città di Iguala, nello stato messicano di Guerrero. Le indagini furono criticate da molti attivisti e organizzazioni, che accusarono le autorità locali di essere colluse con le bande criminali che si contendevano il controllo dei territori e del mercato della droga.
Nell’estate 2016, Aguirre stava investigando sulla scomparsa dei 43 studenti: più andava avanti con le indagini, più gli era chiaro che le prove che stava trovando erano incompatibili con la versione ufficiale del governo. Un giorno ricevette sul suo cellulare alcuni messaggi di testo con dei link rotti, che sembravano non portare da nessuna parte: non ci fece troppo caso, ma tempo dopo scoprì che cliccando su quei link aveva permesso a uno spyware di nome Pegasus di entrare nel suo cellulare e avere a disposizione tutte le informazioni contenute al suo interno (uno spyware è un software che raccoglie informazioni dai dispositivi di un utente senza il suo consenso). Pegasus era stato mandato dalle autorità locali, le stesse che Aguirre aveva preso di mira con le sue indagini: oltre a lui, si scoprì poi che erano state messe sotto sorveglianza altre 21 persone, tra cui giornalisti, avvocati, politici, ricercatori e attivisti.
Pegasus e gli altri
Pegasus, ha raccontato Haaretz, è stato progettato dalla società NSO a Herzliya Pituah, un quartiere di Tel Aviv che affaccia sul mare e uno dei principali centri dell’industria israeliana di alta tecnologia. Nel 2016 Forbes definì Pegasus «il kit di spionaggio più invasivo al mondo». Permetteva di fare moltissime cose: scoprire la localizzazione del cellulare, ascoltare e registrare conversazioni, fotografare le persone e le cose attorno al dispositivo, leggere e scrivere messaggi di testo ed email, entrare nelle app, vedere foto e video salvati in memoria, gli appuntamenti nel calendario e la rubrica dei contatti: tutto in maniera invisibile.
La società che ha progettato Pegasus, la NSO, è però solo una delle tante che hanno sede in Israele e che si occupano di sistemi di sorveglianza. Oggi, ha scritto Haaretz, «ogni agenzia governativa che si rispetti e che ha deciso di non rispettare la privacy dei suoi cittadini è dotata di sistemi di spionaggio sviluppati a Herzliya Pituah».
Oltre alla NSO, per esempio, c’è la Verint Systems, uno dei giganti nell’industria tecnologica israeliana, che a differenza di tante altre società offre una gamma molto vasta di sistemi e servizi: i prodotti di Verint sono stati usati da alcuni regimi autoritari contro minoranze, comunità discriminate e nemici. Un istruttore di sistemi di sorveglianza in Azerbaijan, identificato solo con il nome Tal, ha raccontato ad Haaretz che durante un suo corso alcuni partecipanti andarono da lui per sapere come controllare le inclinazioni sessuali delle persone tramite Facebook. Nel 2017 la polizia azera arrestò e torturò 45 persone, uomini gay e donne transgender: secondo Haaretz, questa operazione di polizia sarebbe legata all’uso del sistema Verint.
I sistemi israeliani di sorveglianza sono in mezzo mondo
I sistemi israeliani, dice l’inchiesta di Haaretz, vengono usati da anni in molti paesi diversi per scopi diversi dall’antiterrorismo e dalla lotta contro il crimine. Per esempio il sistema Verint è stato usato in Indonesia per creare un database di attivisti per i diritti della comunità LGBT e in almeno un caso per colpire una figura pubblica non musulmana e accusarla di blasfemia, un reato che comporta fino a cinque anni di carcere. Un ampio uso del sistema Verint c’è stato anche in Bahrein, dove negli ultimi anni la famiglia reale al potere, sunnita, ha represso oppositori, dissidenti e manifestanti, sciiti, che chiedevano più diritti.
In Africa i sistemi di sorveglianza israeliani sono stati venduti a otto paesi: il caso più inquietante è quello del Sud Sudan, paese diventato indipendente nel 2011 e che da allora attraversa periodi di violenza e instabilità dovuti a una sanguinosa guerra civile. Secondo la ricostruzione di Haaretz, fin dai giorni dell’indipendenza il governo sud sudanese cominciò a discutere l’acquisizione dei sistemi israeliani: nel 2016 l’ONU disse che le società israeliane vendevano al Sud Sudan i dispositivi necessari per intercettare le conversazioni degli oppositori. I sistemi di sorveglianza israeliani sono arrivati anche in America Latina. Il Perù, per esempio, ha acquistato sia un prodotto chiamato SkyLock, il cui messaggio promozionale è «Localizza. Traccia. Manipola», sia Verint, che qualche anno fa fu coinvolto in uno scandalo dopo che si era scoperto che l’allora prima ministra Ana Jara aveva usato questi sistemi per mettere sotto sorveglianza deputati, giornalisti e uomini d’affari.
Si può fare?
La legge israeliana non vieta la vendita di sistemi di sorveglianza a governi stranieri, che spesso li usano per combattere il terrorismo e altri tipi di crimini. Il trasferimento viene approvato dall’Agenzia di controllo delle esportazioni della difesa, un’unità speciale del ministero della Difesa, ed è quindi tutto legale. Per esempio, i sistemi di Verint sono stati usati in legittime azioni di polizia sia in Mozambico, per fermare i sequestri, sia in Botswana, per bloccare le attività di bracconaggio; in Nigeria invece sono stati impiegati nella lotta contro l’organizzazione terroristica Boko Haram. Il problema, hanno detto alcuni funzionari ad Haaretz, è che non c’è modo di prevenire il loro abuso: una volta venduti, nessuno può dire con certezza in che modo vengano usati dai vari governi.
Questo però non significa che società del genere possano fare qualsiasi cosa senza limiti, come dimostrano alcune cause intentate contro la NSO e la Circles Technologies, un’altra azienda fondata da israeliani che si occupa di sistemi di sorveglianza.
Una di queste cause è iniziata nell’agosto del 2014 e ruota attorno a due personaggi: Eric Banoun, importante dirigente della Circles Technologies, e Ahmad Ali al Habsi, funzionario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti. La denuncia si riferisce a una email che Habsi mandò a Banoun, dicendogli che il Consiglio supremo avrebbe presto preso una decisione sull’acquisto di sistemi di sorveglianza della Circles Technologies. Habsi chiese a Banoun di dimostrargli l’efficacia dei sistemi della sua azienda, «anche se questo non è incluso nella licenza» ed è quindi contrario alle regole del ministero della Difesa israeliano: in particolare gli chiese di intercettare per 48 ore le conversazioni del direttore del quotidiano qatariota Al Arab. Banoun accettò e due giorni dopo mandò ad Habsi le conversazioni registrate. Eventuali responsabilità penali della Circles devono ora essere valutate dai tribunali israeliani.
I sistemi di sorveglianza israeliani potrebbero diffondersi ulteriormente in futuro, ha scritto Haaretz, soprattutto per tre ragioni: la segretezza mantenuta dal ministero della Difesa sui compratori, la flessibilità delle norme che regolano questo tipo di commercio e la difficoltà dell’Istituto israeliano per le esportazioni di tenere traccia dei trasferimenti delle tecnologie legate alla sorveglianza.
Finora il governo israeliano si è difeso dalle critiche di ong e attivisti dicendo che il suo operato risponde agli standard internazionali richiesti per questo tipo di attività, aggiungendo che nel processo decisionale viene coinvolto anche il ministero degli Esteri, che dà molta importanza alla difesa dei diritti umani. Le ultime cause intentate contro società che si occupano di sistemi di sorveglianza, però, potrebbero essere un segnale che si sta sviluppando un dibattito sulla possibilità introdurre nuovi controlli e regole affinché questi sistemi non finiscano nelle mani di governi autoritari e repressivi.