Quindi Ferrovie dello Stato salverà Alitalia?
C'è un'offerta di acquisto vincolante, ma non è l'unica: Di Maio dice che sarebbe la soluzione ideale, ma secondo molti è un'idea che non porterà nulla di buono
Negli ultimi giorni è diventato sempre più probabile che la compagnia aerea Alitalia – da molti anni in grandi difficoltà economiche, e i cui tentativi di stabilizzazione sono sempre falliti – sarà salvata dalle Ferrovie dello Stato. Alitalia perde un milione di euro al giorno ed entro poche settimane deve trovare nuovi acquirenti e nuovi partner industriali, per evitare un fallimento che potrebbe coinvolgere fino a 14 mila dipendenti. «La partnership con FSI è un punto di partenza, poi gli investitori arriveranno perché abbiamo contatti importantissimi», ha detto il ministro del Lavoro Luigi Di Maio al termine della riunione in cui si è accordato con il ministro dell’Economia per autorizzare FSI a presentare un’offerta.
Ferrovie dello Stato Italiane (FSI) è la più importante società di trasporto ferroviario e su strada in Italia, ed è una società per azioni che ha come unico azionista il ministero dell’Economia. Alitalia, che è la maggiore compagnia aerea italiana, è invece dal 2009 una società privata, controllata al 51 per cento da CAI, una cordata di imprenditori italiani, e da Poste Italiane (intervenuta nel 2014 comprando il 15 per cento delle quote), e per il restante 49 per cento dalla compagnia Etihad Airways degli Emirati Arabi Uniti. Da maggio del 2017 Alitalia è in amministrazione straordinaria, una procedura del diritto fallimentare che permette a un’azienda in difficoltà di elaborare e realizzare un piano per essere di nuovo funzionante e solvibile; da allora, di fatto, è amministrata dal governo.
Al momento l’acquisizione di Alitalia da parte di FSI, che sarebbe la prima del suo genere in Europa, non è ancora sicura. Il governo, che da 18 mesi amministra Alitalia tramite alcuni commissari dopo che alla fine del 2016 la società era arrivata a un passo dal fallimento (qui trovate tutti i nostri articoli sulla travagliata storia della società), ha ricevuto due offerte vincolanti, una da parte della compagnia aerea statunitense Delta e una di FSI, oltre a una manifestazione di interesse da parte di EasyJet. La compagnia aerea tedesca Lufthansa, per lungo tempo considerata uno dei partner più probabili di Alitalia, si è tirata indietro dopo che è diventato evidente che il governo italiano avrà quote della società almeno in un primo periodo. Lufthansa ha fatto sapere di non voler avere come partner azionisti pubblici o controllati dallo Stato, ma ha detto di essere disponibile a creare partnership in futuro.
Le tre società che hanno formulato proposte d’acquisto ora avranno accesso a tutti i dati di Alitalia tramite i quali potranno precisare ulteriormente le loro offerte: in particolare Ferrovie, che è entrata da poco nella partita, avrà bisogno di tempo per esaminare i conti. I suoi amministratori hanno comunque già posto una serie di condizioni: si sono offerti di rilevare il 100 per cento di Alitalia, ma hanno chiesto l’ingresso di altri azionisti che, nel futuro, portino la quota a scendere fino al 51 per cento del totale. Inoltre chiedono la presenza di un partner industriale, cioè la presenza tra gli azionisti di un’altra grande compagnia aerea con esperienza nel settore. Una possibile soluzione sarebbe quindi l’ingresso di Ferrovie dello Stato come azionista di maggioranza, affiancata da Delta o EasyJet come partner industriali.
Il problema in questi casi è trovare chi mette i soldi. Secondo quanto scrivono i giornali, Alitalia sarà divisa in due (probabilmente una parte sana e una parte caricata di una parte dei debiti della compagnia: oltre 3 miliardi di euro che nessun acquirente sembra disposto a sobbarcarsi). La nuova Alitalia “sana” avrà bisogno di un capitale di 1,5-2 miliardi, ha detto Di Maio, e avrà come azionista il ministero dell’Economia al 15 per cento. In un primo momento Ferrovie potrebbe decidere di versare tutto il capitale, cioè acquistare da sola i circa 2 miliardi in azioni, ma successivamente ha chiesto che si trovino partner in grado di rilevare almeno un miliardo di euro di quote.
Alcuni dei “candidati naturali” a soddisfare la richiesta di Ferrovie hanno già fatto sapere che non sono interessati. La Cassa depositi e prestiti, per esempio, è fuori da questa partita a causa del veto all’investimento messo dai suoi azionisti di minoranza, le fondazioni bancarie. Anche ENI e Leonardo, due delle poche società pubbliche con i capitali necessari a compiere l’investimento, hanno fatto sapere di non essere interessate. Rimane solo Poste Italiane, che però in passato ha già fatto un piccolo investimento in Alitalia in occasione di un precedente salvataggio: quei 75 milioni di euro che investì sono stati nel frattempo completamente persi e questo potrebbe spingere governo e amministratori della società a evitare un secondo intervento.
Nonostante le offerte siano state presentate, rimangono da svolgere complesse trattative, mentre il tempo a disposizione di Alitalia sta per finire. Il 15 dicembre scadrà il prestito ponte da 900 milioni di euro concesso dal governo nel maggio del 2017 e che da 18 mesi permette alla compagnia di continuare a operare. Lo scopo del prestito era permettere alla compagnia di sopravvivere il tempo necessario al governo per trovare un compratore, operazione che si è rivelata particolarmente complicata: gli acquirenti sanno che la società (e il governo italiano) ha pochissimo tempo e che quindi è possibile spuntare condizioni molto vantaggiose.
Il prestito è stato concesso con un interesse molto alto, pari al 10 per cento, e vale oggi circa un miliardo di euro, una cifra che Alitalia non è assolutamente in grado di restituire. Allungare la scadenza del prestito, che era già guardato con sospetto dalle autorità italiane ed europee (sembra infatti un aiuto di stato irregolare per il diritto comunitario), comporterà quasi sicuramente qualche tipo di sanzione da parte della Commissione europea. In molti dubitano che il governo riuscirà mai a farselo rimborsare. In passato, salvare Alitalia era già costato alle casse pubbliche un totale 7,4 miliardi di euro, secondo le stime più diffuse.
Ferrovie ha le risorse necessarie per investire in Alitalia e ha le spalle sufficientemente larghe per assorbirne le perdite: la compagnia aerea ha perso nel 2017 circa 470 milioni di euro, mentre Ferrovie dello Stato ha fatto nello stesso periodo 552 milioni di euro di utili. I sostenitori dicono che l’alleanza tra le due società potrebbe avere effetti benefici per gli utenti, per esempio il coordinamento degli orari di aerei e treni e la possibilità di utilizzare un unico sito Internet per acquistare un biglietto aereo e uno ferroviario. «Puntiamo ad una offerta di trasporto intermodale, per intercettare i flussi turistici in arrivo nel nostro Paese», ha detto il ministro Di Maio, il principale sostenitore dell’operazione.
L’idea di un qualche tipo di integrazione tra compagnie aeree e ferroviarie è già praticata in Francia e in altri paesi europei. Anche l’ex amministratore delegato di Ferrovie Renato Mazzoncini sostiene che è una buona idea: «Dal punto di vista commerciale, Trenitalia evidentemente ha interesse ad integrare la propria offerta con tutte le compagnie aeree che portano i turisti in Italia». La differenza con il caso italiano, come ha scritto Andrea Giuricin, professore di Economia dei trasporti, è che in Francia questa integrazione è stata raggiunta tramite accordi tra l’operatore ferroviario nazionale SNCF e diverse compagnie aeree, senza che fosse necessario uno scambio azionario. I vantaggi dell’integrazione, in altre parole, potrebbero essere raggiunti anche senza l’acquisizione di una società da parte dell’altra. Secondo Giuricin, l’operazione finirebbe per far confluire le perdite di Alitalia dentro Ferrovie. FSI si troverebbe così i suoi utili azzerati dalle enormi perdite annuali di Alitalia, senza che questo comporti un reale beneficio per i consumatori.
Secono Mazzoncini questo potrebbe anche tradursi in un peggioramento dei servizi. Nei prossimi anni la società dovrà rinnovare il suo parco di treni regionali, ma «se Fs acquistasse una quota di maggioranza di Alitalia, vedrebbe peggiorare drasticamente tutti gli indicatori del proprio bilancio di gruppo, bruciando anni di lavoro e di notevoli sacrifici interni. Il peggioramento del rating, unito al pericolo che resti alto lo spread Paese, renderebbe certamente maggiore il costo del denaro con il rischio che diventi troppo oneroso completare il rinnovo della flotta regionale».