Il Pakistan si è arreso agli islamisti radicali?
Lo sostengono in diversi: il governo si è accordato con un partito estremista che protestava contro l'annullamento della condanna a morte per una donna accusata di blasfemia
Il governo pakistano ha raggiunto un accordo con un partito radicale islamista per fermare le proteste che andavano avanti da giorni relative a una sentenza della Corte suprema su un caso di blasfemia. La vicenda, di cui si è molto parlato anche sulla stampa internazionale, riguarda la storia giudiziaria di Asia Bibi, una donna cristiana pakistana che nel 2010 fu condannata a morte per avere insultato il profeta Maometto, quindi per avere compiuto il reato di blasfemia, ma che la scorsa settimana è stata assolta dalla Corte suprema. La sentenza non è piaciuta ai gruppi islamisti più radicali del paese, tra cui il partito Tehreek-i-Labaik (TLP), che ha organizzato enormi proteste.
La storia è questa. Nel giugno 2009 Asia Bibi, il cui nome completo è Asia Noreen, ebbe una discussione molto dura con un gruppo di donne musulmane che l’accusarono di avere contaminato la loro acqua immergendo la sua tazza nella brocca comune. Secondo l’accusa, nella conversazione che seguì Asia Bibi fece dei commenti offensivi nei confronti del profeta Maometto. Quando tornò a casa, fu raggiunta da una folla di persone e fu picchiata: i suoi accusatori dissero che durante le violenze confessò il reato di blasfemia. Mercoledì la Corte suprema pakistana ha stabilito che la condanna si era basata su una confessione fatta di fronte a una folla che «minacciava di ucciderla», e che quindi non poteva essere considerata valida: ha assolto Asia Bibi, provocando le proteste degli islamisti.
L’accordo per fermare le proteste è stato trovato tra il governo e Tehreek-i-Labaik: in cambio della fine delle manifestazioni, il governo ha vietato ad Asia Bibi di lasciare il paese, nonostante negli ultimi giorni diversi paesi occidentali si fossero offerti di accettare una sua eventuale richiesta di asilo. Il governo si è inoltre impegnato a non opporsi a un eventuale appello contro la decisione della Corte suprema e ha stabilito la scarcerazione di tutti i manifestanti che a causa delle violenze degli ultimi giorni erano stati fermati dalla polizia.
Tutta la vicenda ha provocato enormi tensioni in Pakistan – l’avvocato della donna, Saif Mulook, ha detto sabato di avere lasciato il paese perché temeva per la sua vita – e ha riacceso il dibattito sulla blasfemia, un tema molto sentito dalla maggioranza musulmana pakistana. Alcuni osservatori hanno accusato il Pakistan di essersi arreso di fronte alle richieste degli islamisti radicali, che sono considerati piuttosto vicini all’attuale governo guidato dall’ex campione di cricket Imran Khan, leader del Movimento per la giustizia del Pakistan (PTI), partito centrista e islamista fondato nel 1996. Il governo ha però negato le accuse. Il ministro dell’Informazione pakistano, Fawad Chaudhry, ha detto a BBC: «Avevamo due opzioni: o usare la forza, e quando si usa la forza possono essere uccise delle persone. Non è una cosa che uno stato dovrebbe fare… Abbiamo provato a negoziare, e quando negozi ottieni qualcosa e concedi qualcos’altro».
In Pakistan il reato di blasfemia è appoggiato da molti partiti politici e dalla maggioranza della popolazione. Molti dei condannati per blasfemia sono musulmani o membri del movimento religioso musulmano Ahmadi, anche se dagli anni Novanta il numero dei condannati membri della comunità cristiana è aumentato. Dal 1990 almeno 65 persone sono state uccise in Pakistan dopo essere state accusate di blasfemia.