Un giudice ha respinto il ricorso di Julian Assange contro le nuove regole che gli ha imposto l’ambasciata ecuadoriana di Londra
Un giudice ecuadoriano ha dato ragione all’ambasciata dell’Ecuador di Londra, che a inizio ottobre aveva imposto nuove regole di comportamento a Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che vive nell’edificio dal 2012, dove aveva ottenuto asilo per evitare di essere arrestato dalla Svezia che stava indagando su di lui per molestie sessuali e stupro (e, dice lui, anche per evitare anche il rischio di essere estradato negli Stati Uniti). Le norme prevedono che Assange paghi l’uso di internet – che gli era stato tolto a marzo con l’accusa di interferire negli affari degli altri paesi, e poi ripristinato – tenga pulito il bagno, si faccia il bucato e provveda a pagarsi il cibo; chiedono anche che si occupi dell’igiene, del benessere e dell’alimentazione del suo gatto, che altrimenti sarà affidato ad altri o a un rifugio per animali.
Assange aveva contestato le norme e fatto causa al governo dell’Ecuador; durante l’udienza, che si è tenuta nella capitale Quito e che lui ha seguito in teleconferenza, ha detto che violano «i suoi diritti e le sue libertà fondamentali» e ha accusato l’Ecuador di volerlo mettere sotto pressione per terminare il suo asilo e consegnarlo agli Stati Uniti. Il procuratore generale dell’Ecuador Inigo Salvador ha risposto che Assange può restare quanto vuole nell’ambasciata a patto di seguire le regole; ha aggiunto che finora ospitarlo è costato all’Ecuador sei milioni di dollari, 5,3 milioni di euro. Gli avvocati di Assange hanno fatto appello contro la decisione e le loro ragioni verranno ascoltate in udienza nei prossimi giorni.